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Politica e rifiuti. Connessioni socio-tecniche nella governance dell’ambiente. Una recensione non-umana

di Ivano Scotti

Politica e rifiuti. Connessioni socio-tecniche nella governance dell'ambiente. Una recensione non-umana

Da non molto tempo è disponibile nelle librerie, per i tipi Liguori, l’agile ed impegnativo testo di un giovane sociologo dell’Università di Napoli, Dario Minervini, dal titolo “Politica e rifiuti. Connessioni socio-tecniche nella governance dell’ambiente”. Nel testo è narrata la vicenda decisionale della localizzazione e messa in funzione dell’impianto di termodistruzione dei rifiuti “Fenice” nella Piana di San Nicola di Melfi in Basilicata. L’evento è analizzato utilizzando il costrutto teorico dell’Actor-Network Theory (ANT), approccio legato ai nomi di Bruno Latour (2005) e Michel Callon (1986) e qui messo utilizzato per comprendere ed approfondire il tema delle politiche ambientali attraverso lo studio di caso.
 
Minervini, infatti, fa una scelta di campo nel suo volume, quella di considerare la prospettiva sociologica sull’ambiente come analisi della co-influenza del mondo fisico e sociale (Pellizzoni, Osti, 2008) andando tuttavia ben oltre questa impostazione con l’adozione del frame teorico dell’ANT. In questo costrutto soggetti eterogenei, umani e non-umani, sono considerati come inseriti in un network di relazioni simmetriche in cui ciò che costituisce il filo conduttore dell’analisi è il coerente programma d’azione che un “attante” mette in pratica in modo situato per raggiungere pragmaticamente il proprio scopo. In questa prospettiva, cioè, non esiste un attore sociale inteso come soggetto agente intenzionale, ma attanti, cioè entità (uomini, animali, piante, cose, tecnologie, ecc.) che compiono o subiscono l’azione. Latour (1984) nota come un fatto sociale emerge dalla rete di relazioni in cui sono allineati gli interessi di diversi attanti in modo strategico per un percorso d’azione. Pasteur, ad esempio, riuscì a coinvolgere nelle sue ricerche sul bacillo del carbonchio imprese zootecniche e medici “traducendo” il problema in termini gestibili secondo le usuali pratiche di entrambi i gruppi ed ottenendo il risultato sperato.
 
Il bacillo, però, nel mondo sociale non pre-esiste all’esperimento in quanto tale ma neppure è un puro artefatto. Il bacillo dell’antrace è piuttosto un ibrido o meglio, un assemblaggio (De Landa, 2006). In questa prospettiva il dualismo tra società e natura è un artificio moderno, questi sono co-costruiti. Il bacillo, ad esempio, emerge quale entità fisica attraverso il lavoro di Pasteur che lo isola, lo rende visibile e dotato di senso in un certo ambiente sociale e tecnico. Attraverso la medesima prospettiva Minervini considera i diversi attanti del caso “Fenice”, individua coalizione, tradimenti e percorsi d’azione intrapresi nella rete di relazioni in cui emerge il potere decisionale e la forza di una coalizione sull’altra.
 
Aldilà dell’indubbio pregio di questo lavoro e del dibattito che potrà stimolare, la lettura del testo ha avuto l’effetto su chi scrive di fargli ricordare quegli eventi come le madeleine fecero con Proust. Ricordo quando il vento candelese divenne alleato nella battaglia contro l’inceneritore. Questo vento non avrebbe consentito infatti una omogenea distribuzione della ricaduta dei fumi dal camino dell’inceneritore disperdendo gli inquinanti su una vasta area come avrebbero voluto i tecnici del gruppo Fiat, promotori dell’opera, ma avrebbe concentrato il suo impatto proprio sulla cittadina di Lavello, a pochi chilometri dall’area. La presenza e l’azione del candelese ebbe un ruolo tutt’altro che secondario nel mobilitare la cittadinanza.
Ricordo anche la manifestazione contro “Fenice” che coinvolse tutta la cittadina di Lavello ed i paesi contermini della provincia di Potenza, i trattori dei contadini del luogo che percorrevano la strada che conduceva al sito in cui era già a buon punto la costruzione dell’impianto. Ricordo in modo vivido lo sconquassarsi delle consuete logiche politiche tanto da non capire perché parte dell’ambientalismo fosse divenuto favorevole all’incenerimento, come mai i locali circoli dei partiti del nascente centro-destra si fossero schierati decisamente contro questa tecnologia, l’ambiguità del sindacato, preoccupato di mantenere insieme questione ambientale e lavoro. L’impianto Fenice era infatti strettamente legato a Fiat che in quel punto a Nord della Basilicata, area baricentrica del Mezzogiorno continentale, decise di costruire il suo più importante stabilimento automobilistico con annessa tecnologia di smaltimento e valorizzazione dei suoi scarti.
 
Da studente delle scuole superiori osservavo i soggetti in campo, le forze in gioco (funzionari e politici regionali e nazionali, gli esperti della Fiat, del Comitato “No a Fenice”, ) e partecipavo agli scioperi ed agli incontri realizzati tra gli esperti dell’Università della Basilicata ed i tecnici Fiat contrapposti ad un sapere esperto altro, della controparte, del movimento “No a Fenice” che mobilitò persino il prof. Paul Connet dell’Università Lawrence (USA). Ricordo le tante informazioni tecniche e scientifiche che animavano i discorsi di tutti, i tanti scontri verbali sulle ricadute economiche e politiche se avessero vinto i “no” oppure i “si”. Una effervescenza sociale che potrei solo paragonare alla contestazione di Scanzano Jonico, dove avrebbero voluto realizzare un sito di stoccaggio nazionale di scorie nucleari alcuni anni dopo.
 
Ricordo, infine, come, pian piano, dopo quasi due lustri di incontri, riunioni, lotte fatte di carte bollate, ricorsi, articoli di giornale ecc., l’inceneritore Fenice vince la battaglia, riuscì ad essere messo in piedi ed a condizionare la gestione dei rifiuti (industriali ed urbani) particolarmente nella provincia potentina. Oggi, dopo circa dieci anni di funzionamento, i giornali locali riportano notizie inquietanti che confermano i ricordi sui pericoli che avremmo potuto correre con la presenza di questa tecnologia. Non solo il piano provinciale dei rifiuti è in estremo ritardo, mettendo così in forse l’intero ciclo integrato dei rifiuti che avrebbe dovuto garantire anche il corretto ed economico funzionamento di Fenice, ma che almeno da settembre 2007 i rilevamenti delle acque di falda indicano un forte inquinamento di metalli pesanti nei pozzi di controllo dell’inceneritore.
 
Il proprietario dell’impianto, attualmente EDF, inviava documentazione tecnica poco comprensibile alle autorità competenti. Le istituzioni, peraltro, sono state completamente assenti su questo tipo di controllo. L’Arpab, cioè l’agenzia regionale che avrebbe dovuto controllare l’impianto, sino al poco tempo fa versava in stato comatoso – così dichiarò il nuovo direttore dell’Ente alla stampa. Una notizia bomba, che avrebbe potuto scatenare un nuovo conflitto, una nuova mobilitazione contraria all’impianto, ma ad oggi si è mosso poco, qualche sparuto personaggio locale e qualche piccolo movimento politiche, non ancora capaci di fare massa critica. Fenice è quindi una vertenza ambientale ufficialmente chiusa, ma che potrebbe esplodere nuovamente se l’insieme della coalizione che ne permise la realizzazione fosse nuovamente messa in discussione.
 
Il testo di Minervini, che prende ad esempio di studio “Fenice”, affronta quindi un tema che non è solo più “caso”, evento passato, ma società viva che si muove nelle maglie di una apparente immobilità. L’autore studia l’attualissimo tema della gestione delle problematiche ambientali attraverso il confronto delle principali modalità con cui le scienze sociali hanno trattato il tema, affrontando il problema delle policy pubbliche e di come la questione ambientale appartenga oggi profondamente all’ambito di gestione ed organizzazione della cosa pubblica. L’autore, tuttavia, non scrive un manuale in cui si confrontano posizioni teoriche e paradigmi. Il libro è insieme sintesi ed esposizione di una chiara prospettiva teorica che ci consegna una chiave di lettura interessante (su cui discuteree) di un caso concreto. Un lavoro utile per chi si oppone ma (sì!) anche per chi gestisce.
 
 
Bibliografia
 
Callon M. (1986), “Some Elements of a Sociology of Translation: Domestication of the Scallops and the Fishermen of St Brieuc Bay”, in Law J. (ed.), Power, Action and Belief: A New Sociology of Knowledge, Routledge & Kegan Paul, London, pp.196-233.
De Landa M. (2006), A New Philosophy of Society. Assemblage Theory and Social Complexity, Continuum, New York.
Latour B. (2005), Reassembling the Social: An Introduction to Actor-Network Theory, Oxford University Press, New York.
Latour B. (1984), Les microbes. Guerre et paix, Métailié, Paris.
Latour B. (1999), Pandora’s Hope, Harvard University Press, London.
Pellizzoni L., Osti G. (2008), Sociologia dell’ambiente, il Mulino, Bologna.
 
Biografia dell’autore: (Melfi - PZ, 1980) Laureato in Sociologia presso l’Università degli Studi di Napoli, ha qui conseguito il dottorato di ricerca in “Sociologia e Ricerca Sociale”. Cultore della Materia in Comunicazione d’Impresa presso la Facoltà di Sociologia dell’Ateneo federiciano, ha recentemente pubblicato articoli e contributi scientifici con Francesco Pirone e Fiorenzo Parziale.

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