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Perché la rivolta in Algeria sembra già finita

A metà gennaio, l'Algeria fu il primo paese del Maghreb dal quale ci giunsero notizie di rivolte in corso. Col propagarsi delle sommosse nel resto della regione, il Paese è stato di fatto scomparso dai media, eclissato dai ben più noti sconvolgimenti in Tunisia e Egitto prima, e della guerra in Libia poi.

Una mirata combinazione di bastone e carota hanno consentito al presidente Bouteflica di restare in sella sedando le rivolte. Almeno per ora.

Conclusa la fase calda delle sommosse, infatti il governo ha varato una serie di misure sociali volte soprattutto alle classi più povere: stanziamento di fondi per sussidi alimentari, trasferimenti di denaro e mobili per le famiglie povere in 14 regioni isolate, aumenti retributivi a cancellieri e funzionari comunali, incentivi all'iniziativa privata offrendo ai giovani imprenditori prestiti senza interessi e l'esenzione fiscale per tre anni. Inoltre, il presidente ha anche revocato lo stato di emergenza dopo 19 anni.

Provvedimenti più o meno dello stesso tenore di quelli annunciati da Mubarak in Egitto o da re Abdullah in Arabia Saudita, senza però riscuotere successo. Come mai in Algeria la situazione pare essersi stabilizzata?

In linea di massima, per quattro ragioni.

1) L'Algeria ha un tessuto sociale frammentario, che le guerre civili negli anni Novanta hanno contribuito a sfilacciare ulteriormente. Solo parte del popolo sembra condividere le ragioni delle rimostranze. Le proteste nazionali hanno mobilitato soltanto poche migliaia di manifestanti, dunque una massa gestibile da parte delle forze di sicurezza. Più copiose sono state le manifestazioni di particolari gruppi, come le associazioni dei lavoratori petroliferi, i dipendenti della sanità pubblica, studenti e disoccupati. Proteste specifiche, come quella contro la riforma universitaria a partire da metà febbraio o lo sciopero a tempo indeterminato da parte dei medici negli ospedali pubblici, sono stati in grado di mobilitare più persone rispetto alle manifestazioni contro il regime.

2) A parte le norme che limitano il diritto di manifestare e le restrizioni imposte sia ai sindacati indipendenti che alle organizzazioni dei diritti umani, l'opposizione sconta il fatto di essere molto divisa al suo interno. L'esperimento di una coalizione ad hoc - il Coordinamento Nazionale per il cambiamento democratico (CNCD in francese) – promossa nel mese di gennaio per chiedere un cambiamento attraverso un programma di riforme, per ora non sta funzionando. Aldilà delle manifestazioni organizzate, il sodalizio non è finora stato in grado di avanzare alcuna proposta condivisa. Troppi disaccordi al suo interno ne stanno paralizzando la capacità propositiva. Si è venuta a creare una spaccatura tra sindacati e ong da un lato e partiti politici dall'altro, incapaci di mobilitare il popolo sotto la spinta di motivazioni comuni.

3) L'Algeria può vantare un forte apparato di sicurezza. Negli ultimi anni, il Paese è passato da 50.000 agenti di polizia a metà degli anni 1990 agli attuali 170.000. Ufficiali sono ben pagati (circa i due terzi in più rispetto alla media degli altri dipendenti pubblici) e godono di buone prospettive di carriera, il che rende improbabile una rivolta contro il governo.

Inoltre la loro tattica di dividere i manifestanti in piccoli gruppi si è rivelata vincente, consentendo alle forze in campo un'efficace gestione dei sommovimenti di piazza. La prova è data dalla circostanza che in Algeria, a differenza del resto della regione, la polizia non ha esercitato (troppa) violenza sulla folla.

4) Analogo discorso vale per l'esercito. I militari in Algeria sono ben integrati nella sfera politica del Paese, a differenza di quelli in Tunisia o in Egitto. L'esercito conta circa 140.000 membri attivi e 100.000 riservisti, e ha sempre svolto un ruolo di primo piano negli affari interni di Algeri. Tutti i presidenti di Algeria sono stati sostenuti dall'esercito. Lo stato di emergenza, recentemente revocato dopo quasi un ventennio, ha contribuito a rafforzare l'autorità dei militari del Paese, al punto che molti ufficiali sono ora a a capo delle più grandi aziende del settore pubblico, dando loro accesso privilegiato ai settori strategici dell'economia. È facile intuire che l'esercito non abbia alcun interesse a passare dalla parte dei manifestanti.

Non è detto che l'Algeria sia ormai al riparo dall'onda lunga del rinnovamento. Gli sconvolgimenti nella regione potrebbero comunque portare ad effetti inattesi. Ma lo spettro delle guerre civili negli anni Novanta, che secondo alcune stime hanno causato oltre 120.000 morti, sono ancora impressi nella mente delle persone, e i timori di un nuovo periodo di violenze e di insicurezze appaiono prevalere sulle rimostranze economiche e sociali.

La voglia di cambiamento, pur diffusa nella popolazione, paga la realtà delle divisioni interne nella società algerina. Nonostante le manifestazioni sporadiche e gli inviti al cambiamento da parte di personalità politiche e intellettuali, in Algeria un movimento unificante che trascenda tali divisioni è ancora aldilà dal venire.

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