Pur con il dovuto rispetto che si deve a qualsiasi forma di protesta sociale e disobbedienza civile, una fondamentale conquista nel secolo del dopoguerra, non si può non rilevare le implicite contraddizioni che emergono soventi dalla protesta del movimento Blackoccupy, che nella giornata di mercoledì ha messo a ferro e fuoco Francoforte in occasione dell'inaugurazione della nuova maestosa sede della Banca Centrale Europea.
Al di là dei consumati slogan che rievocano un sessantottismo di ritorno un pò datatato ("Il Capitalismo uccide", ndr) si ravvisa molto fumo ideologico nel nuovo fronte anti-austerity che prende di mira direttamenta il cuore finanziario ed economico dell'Europa.
I problemi derivanti da una difficile integrazione europea, emersi ancora di più con la crisi scoppiata nel 2008 ed a seguito dell'insostenibilità dei debiti sovrani, sono ascrivibili in misura maggiore all'incapacità dei leader dei singoli Stati di portare avanti un reale processo di unificazione politica, scaricando i fallimenti sul capro espiatorio di turno: la Bce di Mario Draghi.
Un'istituzione che ha la colpa principale di far
"parte della troika, che toglie il pane di bocca ai greci e distrugge la classe media", quando proprio con il varo del
quantitative easing è l'unico vero attore che sta cercando, nei limiti del proprio mandato e dei poteri concessi, di dare uno scossone alla dormiente economia europea, aiutando gli Stati e le banche a far circolare quella tanto attesa "liquidità" che dovrebbe, nei migliori auspici, rilanciare il credito, gli investimenti, i consumi.
Proprio il contrario di quelle politiche di austerità contro cui si scagliano i giovani di Blackoccupy (che ricordiamo, rappresentano una fetta estremista e minoritaria della popolazione).
Se da un lato viene attaccata dal così detto fronte anti-austerity, per uno strano paradosso la Banca Centrale Europea si trova altresì accusata in Germania di "essere la banca più sinistra del mondo, perché usa moneta per salvare paesi mal ridotti e peggio governati, favorisce i debitori e deruba i creditori".
Delle due l'una e forse, come al solito, la Verità sostanziale sta nel mezzo di due posizioni così talmente opposte e distanti da convergere comunque verso un unico nemico comune.
Lo stesso Draghi ha più volte ribadito che la Banca Centrale non può sostituirsi alla politica e che l'Europa, insieme ai singoli Governi, deve agire in fretta per avviare quel necessario processo di riforme interno che riporti l'economia complessiva in un sentiero di crescita virtuosa.
Anche il presidente della Commissione Juncker, durante l'ultimo consiglio europeo di febbraio, ha affermato che "non possiamo lasciare tutto sulle spalle di Mario", sottolineando l'irresistibile tentazione della classe politica di nascondere la polvere sotto il tappeto della Bce per giustificare la propria oggettiva inconcludenza.
E' lapalissiano constatare che il consenso dei cittadini ai governi aumenta quando migliora la situazione economica ed ormai la distanza tra gli elettori e gli eletti risulta sempre più profonda e difficile da rinsaldare, ma non è con la demagogia e con i proclami populisti che si possono realmente affrontare i problemi, come vogliono fare i movimenti di protesta (siano di destra o di sinistra poco importa) e quelle forze di partito che nei vari paesi europei soffiano sul vento del disagio.
Alimentare sentimenti nazionalisti contro l'Unione potrà sicuramente migliorare l'appeal nei sondaggi, paventare improbabili svolte economiche tornando alle vecchie monete locali o rafforzando un regime di protezionismo autarchico, farà sognare chi da questa crisi ne è uscito con le ossa rotte, ma non è il vero antidoto alle difficili sfide globali del capitalismo del Ventunesimo secolo.