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Perché l’Algeria non si fida della nuova Libia

In occasione della Conferenza Internazionale degli Amici della Libia, la nuova leadership di Tripoli ha ottenuto il riconoscimento da parte di Russia e Cina, ma non quello della vicina Algeria, che aldilà della disponibilità di facciata nutre non poche perplessità nei confronti del Consiglio transitorio di Bengasi.

La diffidenza di Algeri è testimoniata da due fatti: l'asilo offerto ai familiari di Gheddafi e i dubbi espressi in merito alla effettiva volontà dei ribelli di contrastare al-Qa'ida. Episodi che hanno visibilmente irritato i nuovi vertici della Libia, al punto che il portavoce del Cnt Mahmoud Shamman li qualifica al pari di un “atto di aggressione" da parte di Algeri.

Il presidente algerino Bouteflika ha detto che non ci sarà nessun riconoscimento del Cnt se non in cambio di un impegno preciso a stroncare l’azione dell'Aqmi (al-Qa'ida nel Maghreb Islamico). Algeri teme infatti che l'Aqmi, i cui membri avevano partecipato alla lunga guerra civile che ha infiammato il Paese negli anni Novanta sotto la bandiera del Gruppo salafita per la Predicazione e il Combattimento, potrebbero sfruttare i disordini in Libia per pianificare nuovi attacchi terroristici nel Paese. Le autorità di Algeri hanno anche il sospetto che alcuni membri di al-Qa'ida abbiano lottato a fianco dei ribelli contro il colonnello Gheddafi, oltre a fornire armi e supporto nel corso delle operazioni.

Se da un lato le paure dell'Algeria non sono del tutto irrazionali, dall'altro stupisce il dissidio tra il governo algerino e il nuovo governo libico. Il rifiuto, o meglio, l'esitazione del presidente Bouteflika nel provvedere al riconoscimento del nuovo regime assume un significato se esaminato alla luce delle dinamiche di rinnovamento politico attualmente in corso nel Nord Africa. La primavera araba e la caduta di Gheddafi potrebbero aver mutato non poco lo scenario delle alleanze nella regione. Ad esempio, il Colonnello è stato a lungo alleato dell'Algeria, sostenendo le rivendicazioni territoriali avanzate da quest'ultima nei confronti del vicino Marocco. Inoltre, sia Tripoli che Algeri hanno appoggiato politicamente, militarmente e finanziariamente il Fronte Polisario, movimento che da anni lotta per l'indipendenza del Saharawi (Sahara occidentale) dal regno del Marocco. Gheddafi e il governo algerino si erano impegnati con successo per promuovere l'ingresso del Saharawi nell'Unione Africana, spingendo il Marocco a ritirarsi dall'organizzazione (di fatto rimane l'unico Stato dell'Africa continentale a non farne parte).

Si comprende perché allo scoppio della guerra in Libia il Marocco abbia fin da subito sostenuto i ribelli, anche se non troppo apertamente. Rabat ha partecipato a tutte le riunioni del Gruppo di contatto con la Libia e ha sostenuto presso la Lega Araba l'imposizione della No-Fly Zone richiesta dalle potenze occidentali. All'indomani della caduta di Tripoli, il ministro degli esteri marocchino si è recato a Bengasi e ha formalmente riconosciuto il Consiglio dei ribelli come l'unico legittimo rappresentante del popolo libico. Un gesto che il Consiglio ha apprezzato e ricambiato con la promessa di sostenere la posizione del Marocco sulla questione del Saharawi, oltre a cessare ogni forma di collaborazione con il Fronte Polisario – segno che i ribelli non sono poi così d'ispirazione democratica come ai media nostrani piace farli apparire.

Quando Gheddafi era al potere, l'Algeria sapeva di poter contare sull'alleanza di una Libia favorevole. Ora che a Tripoli il regime è cambiato, Algeri dovrà accollarsi tutti gli oneri che l'appoggio al Fronte Belisario comportava. Oltre a ciò, l'Algeria si trova di fatto isolata nella regione. Con le rivoluzioni (formalmente) in corso in Tunisia ed Egitto, il cambio della guardia in Libia e le riforme (quasi) democratiche in corso in Marocco, l'Algeria, che la sua primavera araba l'ha attraversata in modo pressoché indolore, si trova ad essere l'unico regime socialista al centro di una rosa di venti di libertà.Il tempo dirà se il Paese riuscirà ad integrarsi con i suoi vicini nella (ri)costruzione delle relazioni politiche ed economiche nel Maghreb.

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