Per la Cina si avvicina la resa dei conti di una crescita drogata
Tra lockdown, scoppio della bolla immobiliare e incertezza regolatoria, la Cina vive un periodo delicato che potrebbe sfociare in aggressività esterna
di Mario Seminerio – Domani Quotidiano
La Cina sta vivendo un periodo molto delicato e difficile. Il contrasto al Covid a mezzo di reiterati lockdown gela la crescita e accentua l’incertezza di imprese e consumatori, mentre lo scoppio della bolla immobiliare rischia di destabilizzare il sistema finanziario e causare instabilità sociale che potrebbe minare la leadership assoluta di Xi Jinping.
I gestori internazionali, dopo aver lanciato la corsa all’oro verso la Cina, sono ora confusi e preoccupati dagli eventi ma anche dalla crescente incertezza regolatoria che il regime continua a iniettare nel sistema economico. Si moltiplicano le voci critiche di quanti ritengono la Cina “non investibile”. Altri investitori non se la sentono di tagliare i legami con un’economia di tali dimensioni, e mantengono gli investimenti entro le soglie di peso della Cina sui benchmark internazionali, comunque non esigue.
IL PROBLEMA RUSSO
La cosiddetta “amicizia illimitata” di Pechino verso Mosca, anche se mossa dal desiderio di indebolire gli Usa e portare a casa a prezzo scontato materie prime russe non solo energetiche, non aiuta la fiducia degli investitori globali.
Nel secondo trimestre di quest’anno, il Pil cinese è cresciuto di solo lo 0,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. In termini congiunturali, ciò significa che tra il secondo e il primo trimestre di quest’anno l’economia di Pechino si è contratta del 2,6%. Il tasso di disoccupazione giovanile, nella fascia 16-24 anni, è giunto nelle statistiche ufficiali a un “mediterraneo” 19,3% e colpisce soprattutto i lavoratori migranti interni. Lo stesso target di crescita per il 2022, posto al 5,5%, appare di non facile conseguimento. In un paese in contrazione demografica, la crescita è affidata ai progressi di produttività e utilizzo estensivo e intensivo della forza lavoro, cioè aumento della partecipazione e delle ore lavorate.
I governi locali sono messi in crescente difficoltà da un modello di sviluppo e reperimento di risorse finanziarie centrato sull’immobiliare, con cessione di terreni pubblici e incasso di oneri di urbanizzazione. Dopo il crack dello sviluppatore immobiliare Evergrande, le autorità affrontano la gelata del mercato e il nervosismo di compratori che si vedono rinviare a tempo indeterminato la consegna degli immobili.
Le banche locali che hanno fatto credito ai costruttori sono in difficoltà con tensioni di liquidità che potrebbero divenire sofferenze. Alcune hanno già limitato i prelievi da parte dei depositanti, causando tensioni e manifestazioni che, malgrado l’asfissiante censura, sono approdate sui social.
Il regime è costretto ad autorizzare liquidità ai governi locali, consentendone l’indebitamento aggiuntivo motivato dalla necessità di proseguire gli investimenti infrastrutturali, ormai diventati una foglia di fico delle difficoltà del sistema. Molte amministrazioni locali, la cui liquidità è bloccata dai pegni verso le banche, sono costrette a creare veicoli di finanziamento per collocare prodotti di risparmio presso i piccoli risparmiatori, visto che gli investitori istituzionali domestici sono diventati molto selettivi ed evitano di mettere soldi nel debito di enti locali a minore rating.
I privati sottoscrivono tali prodotti con promesse di rendimento che spesso si avvicinano alla doppia cifra sperando che, in caso di difficoltà finanziaria locale, il governo centrale stenda il proprio mantello a garanzia del debito. Un evidente caso di azzardo morale.
TRA LOCKDOWN E CRESCITA
Il tentativo di risolvere la contraddizione tra lockdown e crescita ha spinto alcune province ad allentare le tutele del lavoro, attraverso una loro interpretazione meno rigida da parte di autorità locali e tribunali che si traduce in maggiore tolleranza per violazioni “lievi”; ad esempio su orari, discriminazione etnica e di genere nelle assunzioni, e persino sulle prassi dei datori di lavoro di confiscare i documenti di identità dei lavoratori per impedire loro di andarsene o di esigere una “commissione” dai richiedenti lavoro. Ridurre gli oneri per le imprese ponendoli a carico dei lavoratori entra in rotta di collisione con la teorizzazione di Xi sulla “prosperità condivisa”.
La resa dei conti di una crescita spinta dalla droga del credito al settore delle costruzioni è sempre più vicina. La crisi di debito che ciò porta con sé rischia di trasmettersi anche al resto del mondo, sotto forma di pesante frenata dell’economia di Pechino ma anche di maggiore aggressività nazionalistica verso l’esterno, per compattare il consenso della popolazione.
(Pubblicato il 18 luglio 2022)
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