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Per Putin liberalismo e ghette pari sono

È questione di moda, per l’abbigliamento come per le conquiste sociali. Oggi una cosa “tira” mentre domani è costretta a lasciare il posto a qualcos’altro, e secondo il presidente russo Vladimir Putin in questo momento a essere demodé sarebbe l’approccio liberale che, esattamente come un fenomeno di costume qualsiasi, verrebbe progressivamente abbandonato dalla gente.

 L’ascesa al potere di personaggi politici identitaristi, da Putin stesso a Donald Trump, e la manifestazione in senso nazionalista della volontà popolare come nel caso della Brexit ne sarebbero la prova evidente, sempre a detta del presidente.

In effetti qualche punticino certe tendenze reazionarie lo hanno conquistato un po’ in tutte le parti del globo, su questo Putin non ha tutti i torti, e la preoccupazione che possano esserci ulteriori regressi sul piano dei diritti civili è tutt’altro che infondata, ma da qui a dare per definitivamente tramontata la stagione dei progressi sul piano dei diritti umani ce ne corre. In Russia di sicuro il ventennale presidente ha fatto di tutto per soffocare qualunque rivendicazione da parte di minoranze varie, a cominciare da quella Lgbt di cui ha avuto modo di parlare proprio durante l’intervista rilasciata al Financial Times. «Noi non abbiamo alcun problema con le persone Lgbt», ha dichiarato Putin con la più classica delle premesse, proseguendo poi con l’altrettanto classico spauracchio del gender che a quanto pare si approssima agli Urali: «dicono che i bambini possono avere cinque o sei ruoli di genere […] non possiamo permetterci di far passare in secondo piano la cultura, Soffocare qualunque rivendicazione da parte di minoranze varie le tradizioni e i valori della famiglia che sono alla base della società».

Già, le tradizioni culturali. Magari anche le radici cristiane, pure esaltate da Putin nella ricorrenza del battesimo di Vladimir il Grande. Tutte cose che cozzano col principio di laicità, ma del resto anche a proposito della laicità Putin si espresse a suo tempo in termini non molto differenti da quelli che usa adesso riguardo all’approccio liberale. «Rinunciare alla concezione volgare e primitiva di laicità» era l’imperativo dello zar appena sei anni fa, mentre all’Università Nazionale di Ricerche Nucleari veniva istituita una cattedra di teologia e nel codice penale russo veniva introdotto il reato di offesa al sentimento religioso, quest’ultimo fortemente voluto dalla Chiesa ortodossa del patriarca Kirill dopo due scandalose condanne: quella del gruppo punk Pussy Riot prima e l’altra del giocatore di Pokémon Go Ruslan Sokolovsky poi, tutti riconosciuti colpevoli di incitamento all’odio religioso per aver sfidato l’istituzione ecclesiastica Nel codice penale russo veniva introdotto il reato di offesa al sentimento religioso con esibizioni in un edificio di culto.

In base al nuovo reato si può rischiare una condanna fino a cinque anni di carcere anche solo per aver negato pubblicamente l’esistenza di Dio, come successo due anni fa al blogger Viktor Krasnov. Il suo processo fu perfino preceduto da una perizia psichiatrica durata un mese intero, evidentemente perché le autorità ritenevano, o volevano far passare il messaggio, che per arrivare a negare Dio bisogna non avere tutte le rotelle a posto. L’omosessualità in Russia viene invece vista come un vero e proprio pericolo soprattutto per i minori, tanto che nel 2013 è stata approvata la cosiddetta legge sulla propaganda gay che ha introdotto severe sanzioni contro qualunque forma di attivismo Lgbt. Fu proprio sulla base di questa legge che nella vicenda dell’attacco da parte di una frangia estremista ortodossa al Sakharov Center, che in quel momento ospitava un’iniziativa con annesso meeting di persone Lgbt, la polizia intervenuta finì per identificare i partecipanti invece che gli attaccanti. Non a caso subito dopo gli estremisti dichiararono su Twitter il loro apprezzamento per la collaborazione delle forze dell’ordine.

E pensare che la Russia sarebbe pure un Paese formalmente laico, un Paese formalmente laico, almeno dal punto di vista costituzionale almeno dal punto di vista costituzionale, ma la pratica comune è molto distante dalla forma e probabilmente lo era già prima dell’era Putin. Nonostante un’ampia minoranza della popolazione sostenga di non essere credente, ben quattro russi su cinque si dichiarano ortodossi. Tutti ortodossi non praticanti comunque, che considerano l’appartenenza alla Chiesa russa non come appartenenza religiosa ma piuttosto culturale. Il rimanente quinto della popolazione è composta in prevalenza da musulmani che nelle zone in cui prevalgono riescono a esercitare a loro volta un’egemonia culturale. Ci sono poi minoranze ebree e buddiste, ma guai a professarsi Testimoni di Geova perché si rischiano gravi conseguenze, dal momento che quel culto è stato dichiarato fuorilegge dalla Corte suprema, due anni fa. In questo caso più che passare di moda, il culto è diventato di moda perseguitarlo. E a sentire Putin si capisce che questa specifica moda è destinata se non a dilagare almeno a consolidarsi.

Massimo Maiurana

Questo articolo è stato pubblicato qui

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