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Passeggiando nel primo maggio

Passeggiando nel primo maggio

Occhi chiusi, mani di uomo, scivolano via sulla fronte, sudore, respiro affannato, silenzio...
La sigaretta giunge alla sua fermata.
Seduto sul carro che conduce l’uomo animale per le varie mete ab oginine predeterminate, ma a volte inaspettate osservo, penso, ascolto.

Sole, caldo. Piccoli ma densi spiragli d’aria soffiano sulla mia fronte.
Il carro procede, cammina, cammina, cammina.
Ogni centinaia di metri percorsi una piccola sosta, persone che salgono, persone che scendono.
Squilli e non suoni di modernità turbano il pensiero.
Salvo una dolce voce, la voce, giungere d’impeto. Un lungo sorriso, tutto acquisisce colore.
Il carro continua a percorrere il suo percorso ordinariamente anomalo. Strade definite, curve, piccoli dossi. La strada ruvida costruita con il sudore della fatica dell’operaio uomo sfruttato dal padrone accoglie i nostri passi, i nostri cammini, il carro.
Una piccola sosta, anche questa predefinita. Alberi, neve di polline.
Tanti pilastri eretti nelle campagne che circondano il centro della città racchiudono mille ed infinite vite di proletari.
La periferia è il vero cuore pulsante della città.
Il conducente del carro è come rapito dal prato che si pone innanzi al suo sguardo.
Mani poggiate sui fianchi, in piedi.
Ragazzi che giocano con la palla, sorrisi, urla di felicità, grida di vita.
Si riparte.
Il carro continua a percorrere il suo tragitto. Suo come l’emozione di un sogno desiderato e sospirato carpito nella notte di luna piena riflessa nella pozzanghera d’acqua divenuta lago.
La periferia con i suoi colori, con le persone viandanti la cui dimora è il mondo sedute sull’asfalto rovente consumando un breve pasto salutano il mio sguardo di vita.
Il centro della città si avvicina.
Ma ecco il caldo fondersi con il freddo che impavido scorre sulla mia pelle.
Nasce la nebbia dell’odio, della rabbia.
Il lager che rinchiude esseri umani, persone figlie di questo mondo.
Avevo detto ci rivedremo presto al mio amico.
Il mio amico non aveva documenti, quel maledetto pezzo di carta voluto dalla legalitaria borghese società.
Figlio del mare, pesce come tutti noi.
Il mio amico rullandosi l’ultima sigaretta, con lo sguardo basso, profondamente basso, immensamente basso, abbandonato dal sistema, rapito dal sistema, sequestrato dal sistema nel sistema, viene un giorno imbarcato sull’uccello volante che lo ha ricondotto nel luogo ove non aveva più nulla. Nel luogo ove ha ritrovato la propria solitudine di essere figlio di questo mondo.

Ma la tua musica vibra ancora tra i vicoli di questa città rossa di vergogna, si la stessa vergogna infame che scorre sul viso del padrone che compratosi i tutori dei lavoratori massacra la dignità dell’essere ogni giorno.

Rossa di vergogna come quella provata e vissuta dalla madre che rinnega il proprio figlio, rossa di vergogna come quella dell’uomo che rinnega i sogni e si abbandona al ponte sotto il quale scorrono i binari del treno che uccide il tempo.

Mura, che un tempo dividevono i ricchi dai poveri, i sogni dalla realtà, l’odio dall’amore si sgretolano lentamente nelle acque funeste della realtà sociale.
Mura di sabbia.
Mura.
Il silenzio è interrotto bruscamente dal rumore proveniente dal palco eretto nella piazza centrale della città. Ecco il palco di chi è complice dei padroni, del sistema, di chi ha venduto e tradito le speranze dei lavoratori.
Rivolta, rivolta , rivolta.
Portici, passegianti essere umani non pensanti stilizzati sulle colonne secolari di questa non città.
Come vorrei che all’improvviso sorgesse dalla terra nuda e pura la colonna della vita di Venezia.
Gira, voltati, e gira intorno a quella colonna...
Cadrai, e non ti rialzerai...essere non pensante.

Il primo maggio, giorno della solidarietà internazionale dei lavoratori, ecco scorgere le porte dei luoghi del consumismo aperte alla massa non pensante. Nella società delle contraddizioni accanto ai detti luoghi aperti si nota un luogo chiuso.
Tanti caffè ha partorito, tanti assaggi di vino ha offerto, ma sulla pelle dei lavoratori . Si perchè il padrone è fuggito senza pagare, e pagare i lavoratori.
Eh la società dei consumi e dello sfruttamento, quante riflessioni che offre... immense.

E’ come la mano del pittore che offre infinite pennellate di colore eterogeneo e contrastante alla natura non pià naturale umana.

Giunto alla fine del mio cammino, ecco che i miei occhi inorriditi dalla merceficazione della dignità del lavoratore, hanno conferma che il primo maggio non è più il primo maggio.

Uomini e donne palloncino. Dall’uomo sandwich all’uomo palloncino...
Passeggiano con la maglietta della catena commerciale che sponsorizzano tra i banchetti dei traditori, distribuiscono i loro volgari volantini, con addosso mille palloncini...

Ridere, o piangere?
Nessuna lacrima per il sistema, nessun sorriso per il sistema.
Rivolta, rivolta, rivolta...

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