• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cultura > Parlare e scrivere in o del napolitano

Parlare e scrivere in o del napolitano

Il ‘Comitato Scientifico per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio linguistico napoletano’ ha ripreso i suoi ‘Incontri sul dialetto’ presso il MUSAP (Museo Artistico Politecnico), nello storico Palazzo Zapata in piazza Trieste e Trento (per i napolitani doc, Piazza San Ferdinando).

Il programma stilato dal COM.VAL.NAP (orribile acronimo del predetto Comitato) ha compreso nel proprio calendario – che va dal 20 gennaio al 19 maggio – una dozzina di tali ‘incontri’, che affrontano gli aspetti più disparati. Si va dall’uso del dialetto “tra serie e cinema” (che ha inaugurato questa seconda stagione) al dialetto ‘nelle mani degli scrittori’; dalla ‘rimediazione musicale’ (sic) alle ‘lingue del teatro’, ma anche della pubblicità e del fumetto. Ovviamente senza tralasciare la nostra tradizione musicale, per passare di nuovo alla produzione registica ed a quella strettamente letteraria (poesia, narrativa).

Non so chi sia stato l’estensore materiale del programma, ma non posso fare a meno di notarvi due espressioni ricorrenti che mi hanno lasciato quanto meno perplesso: “uso del dialetto” e “il dialetto nelle mani di…”. Entrambe mi suonano piuttosto sgradevoli, per la loro evidente connotazione utilitaristica, tipica di chi il c.d. ‘dialetto’ l’osserva dall’esterno, più come una materia da studiare scientificamente, che come un proprio patrimonio, di cui farsi continuatore e difensore. Ancora una volta, insomma, sembra affiorare la preoccupante dicotomia che ho sintetizzato nel titolo di questa mia nota.

Si direbbe infatti che parlare e scrivere del napolitano risulti più ‘utile’ e socio-culturalmente accettabile che adoperarsi affinché ci siano sempre più persone che parlino e scrivano ancora in napolitano, possibilmente in un modo corretto ma non artificiale. Il napolitano, quindi, risulta più che altro un serbatoio linguistico cui fare riferimento non solo con lodevoli motivazioni di studio e approfondimento, ma spesso anche come un ‘patrimonio’ nel senso meno nobile, ma più pratico, del termine. Ossia vedendolo come una ricca e invitante fonte da cui attingere strumentalmente per fare poesia, scrivere canzoni, infarcire e caratterizzare produzioni teatrali, cinematografiche, televisive e musicali.

Non ho invece citato la narrativa in lingua napolitana, di cui da decenni si è ormai persa traccia (eccezion fatta per alcune pregevoli traduzioni di testi stranieri), ed altre produzioni più ‘laiche’ o comunque meno consacrate dalla tradizione, come quelle giornalistiche e più latamente mediatiche. La cosa più sorprendente è che si ritiene non praticabile o perfino inutile l’utilizzo più naturale ed ovvio per una qualsiasi espressione linguistica. Mi riferisco ovviamente al suo insegnamento, sia all’interno delle varie fasi del percorso educativo- scolastico, sia mediante iniziative per adulti, promosse da associazioni culturali e università popolari, sebbene da molto tempo non ne manchino lodevoli esempi, ignorati dalle istituzioni e snobbati dall’accademia. Evidentemente queste attività dal basso provocano un certo disagio anche in coloro i quali, ignorando del tutto tali esperienze formative, hanno impostato le iniziative dello stesso CON.VAL.NAP. su due esclusivi filoni tematici,

Il primo è la preesistente ed istituzionale ricerca universitaria sul dialetto, la sua storia e la sua evoluzione, come peraltro c’era d’aspettarsi da un comitato formato da 6 docenti universitari su 7 componenti. Il secondo si basa invece sull’esplorazione di come esso sia comunque riuscito, nonostante tutto, a trovare spazi d’indubbia diffusione e popolarità, sia che si tratti di manifestazioni artistiche (poesia, musica, cabaret, serie televisive etc.), sia di fenomeni assai meno tradizionali, come il loro utilizzo (spesso spregiudicato ed approssimativo) nella pubblicità commerciale, nel linguaggio giovanile veicolato dai social media o nel colorito eloquio di alcuni esponenti politici. In entrambi i casi, a mio avviso, all’accento sul rispetto per una tradizione linguistica millenaria - da raccogliere, valorizzare e vivificare - si sovrappone (e talora si contrappone) un palese intento utilitaristico, che nelle sue manifestazioni cosiddette ‘popolari’ sembra proprio un’irritante mancanza di rispetto nei suoi confronti.

In effetti, oggi del dialetto napolitano – per continuare ad usare questa equivoca espressione, di solito premettendo che non si tratta però di una diminutio… - si può fare qualunque ‘uso’, lasciandolo senza problemi ‘nelle mani’ di chi pensa solo di utilizzarlo strumentalmente, senza alcuna finalità formativa o socioculturale. Ecco allora che, come è emerso già dal primo incontro, il cinema e la televisione vi hanno attinto sempre più, ma con scarsa consapevolezza di questo mezzo espressivo e solo per rendere più ‘colorite’ le loro produzioni. Ecco che un’intera generazione di rapper se n’è appropriata a modo suo, diffondendo tra i giovani una parlata improbabile a sentirsi e terrificante da leggere. Ecco che aziende, spesso paradossalmente settentrionali, nelle loro pubblicità hanno rispolverato strumentalmente espressioni tipiche della parlata napolitana, senza preoccuparsi di maltrattare il nostro idioma pur di catturare l’interesse dei potenziali clienti, nella solita chiave puramente folkloristica.

Mentre del napolitano tutti ormai possono servirsi senza problemi, da parte di chi dovrebbe invece occuparsi della sua ‘salvaguardia e valorizzazione’, si preferisce oscillare tra le profondità della ricerca glottologica e le sue assai meno elevate utilizzazioni, facendosene testimoni neutrali ed osservatori non partecipanti, più che soggetti critici verso tale deriva ‘populista’. Ne deriva che in questa seconda edizione dei suddetti Incontri – promossi dal COM.VAL.NAP. e sponsorizzati dalla Fondazione Campania dei Festival, si continuerà a spaziare da un profilo antropologico culturale ad uno estetico e sociologico, ma sempre evitando accuratamente l’imbarazzante questione di dove, come e perché il nostro idioma andrebbe insegnato. In effetti se n’era già parlato all’inizio del primo ciclo degli ‘incontri sul dialetto’, ma evidentemente l’argomento è considerato ormai chiuso ed archiviato, per cui chi lo risolleva, come è avvenuto all’inizio di questo secondo ciclo, deve quasi scusarsi con gli autorevoli – ma un po’ stizziti – interlocutori.

Concludo ricordando però che la legge regionale della Campania n. 14/2019 prescrive quattro compiti fondamentali al Comitato Scientifico da essa istituito. Oltre alle ovvie iniziative di studio e ricerca ed a quelle di diffusione di tali riflessioni (tramite conferenze, convegni ed eventi vari), al punto b si parla esplicitamente di “progetti specifici di tutela e valorizzazione del patrimonio etnolinguistico napoletano” e soprattutto, al punto c, di “conferenze, convegni ed interventi coordinati col mondo della scuola, e con corsi di aggiornamento rivolti ai docenti, in collegamento con l'Ufficio scolastico regionale”. Purtroppo di questi due fondamentali obiettivi istituzionali il COM.VAL.NAP. finora non sembra essersi fatto carico né sembra che voglia in seguito avviarsi su questa strada. Un percorso senz’altro più impegnativo, ma difficilmente trascurabile senza che sia sminuito e banalizzato lo spirito che più di cinque anni fa animò la proposta di legge approvata all’unanimità dal Consiglio Regionale della Campania.

 

(*) Ermete Ferraro, laureato in lettere con indirizzo linguistico, già docente di tali discipline, è un esponente del movimento ecopacifista, un ricercatore ecolinguista ed un cultore della lingua e cultura napolitana, che ha insegnato a lungo in due scuole medie cittadine e su cui continua a tenere dei corsi per adulti presso l’Università delle Tre Età (UNITRE) di Napoli. E’ l’estensore materiale del progetto di legge a firma del cons. F. E. Borrelli sulla salvaguardia e valorizzazione del patrimonio linguistico di Napoli, nel 2019 approvato unanimemente ma con rilevanti modifiche, dal Consiglio Regionale della Campania.

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità