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Operai Fiat dalle stelle (e strisce) alle stalle

Se sul piano dell’interesse economico, la FIAT sta pianificando al meglio il proprio futuro, quello delle fabbriche in Italia potrebbe essere a rischio. Marchionne ha dichiarato che l’Europa ha introdotto una strategia che permetterà di risolvere i problemi di sovraccapacità. Il classico gioco di parole che potrebbe far sottintendere che qualche stabilimento nazionale, considerato inefficiente, dovrà essere chiuso.

Sarà la fusione tra Fiat e Chrysler l’unica strada percorribile per la sopravvivenza delle due aziende, al termine della quale, terminata la crisi economica, potranno competere in un mercato del settore composto da appena cinque o sei grandi case automobilistiche.

Sergio Marchionne, numero uno del Lingotto, nel suo intervento alla Society of Automotive Engineers di Detroit, è stato categorico sulla inevitabilità della totale integrazione tra le due compagnie. L’unione potrebbe consumarsi entro il 2014, quando verrà presumibilmente risolto il contenzioso con il fondo sanitario Veba, legato al sindacato UAW, sul prezzo da pagare per rilevare il pacchetto (non ancora in possesso di Fiat) che risulta essere del 41,5% dell'azienda americana ed ottenere, da subito, il controllo totale dell'azienda di Detroit.

Ma se sul piano dell’interesse economico, la multinazionale torinese sta pianificando al meglio il proprio futuro, quello delle fabbriche Fiat in Italia potrebbe essere a rischio.

Marchionne ha dichiarato che l’Europa ha introdotto una strategia che permetterà di risolvere i problemi di sovraccapacità. Il classico gioco di parole che potrebbe far sottintendere che qualche stabilimento nazionale, considerato inefficiente, dovrà essere chiuso.

Se la globalizzazione ha permesso di costruire catene di fornitura altamente sofisticate, dall’altra ha scavato un fossato tra gli operai italiani e quelli di Polona e Serbia, considerati dai vertici dell’azienda torinese, molto più efficienti dei nostrani.

Se consideriamo che il gruppo “Fiat-Chrysler” dovrebbe chiudere il primo trimestre dell'anno con un utile netto più che dimezzato rispetto all’anno scorso (150 milioni rispetto ai 379 milioni del gennaio-marzo 2012) e che l’utile della gestione ordinaria (trading profit) dovrebbe essere di 720 milioni, rispetto agli 866 dei primi tre mesi del 2012, a tutto ciò si aggiungerà un indebitamento industriale netto previsto a 7,150 miliardi, è facile intuire, comprendere che il futuro degli operai è altamente a rischio.

Un risultato, sostanzialmente, di una crisi economica che sta sempre più allargando la forbice di sopravvivenza tra ricchi e poveri.

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