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Obama e Cameron: impossibile fidarsi

Anche se tanti commentatori, a partire dall’ineffabile Polito sul Corriere della Sera, sprecano fiumi di parole per elogiare l’improvviso sussulto democratico di Cameron e Obama, continuo a non fidarmi.

Il sospetto è semplice: probabilmente avevano bisogno di qualche giorno prima di attaccare per superare resistenze interne non visibili (ad esempio quelle dei militari più lucidi nel valutare i costi di un’operazione radicale e soprattutto delle sue ripercussioni in tutta una vasta area). L’uno e l’altro hanno ribadito che non avevano necessità di autorizzazione, tanto è vero che in tutte le guerre dalla seconda mondiale in poi i capi di governo dei due paesi ne avevano fatto a meno: probabilmente volevano solo un maggiore coinvolgimento dei rispettivi parlamenti, visto che la popolazione non era affatto convinta.

E che dire dell’ONU, che ha sempre avallato, prima o poi, un po’ tutto, e quando non ha potuto farlo formalmente si è guardata bene dal condannare chi prendeva iniziative a prescindere dal consenso unanime della cosiddetta “comunità internazionale”? Questa volta l’ONU ha semplicemente partecipato al gioco del rinvio, lasciando - senza protestare – che gli osservatori arrivassero sul posto ben cinque giorni dopo l’utilizzazione del Sarin, che è molto volatile, e chiedendo poi loro di fare con calma ad esaminare le prove.

Ridicolo: le prove dell’esistenza del Sarin in Siria ci sono già. Molti giornali inglesi hanno rivelato che proprio la Gran Bretagna ne ha venduto i componenti ad Assad appena un anno fa (lo stesso si era verificato per la Libia di Gheddafi, o l’Iraq di Saddam: le armi le avevano vendute proprio i paesi che poi li hanno scelti come comodi bersagli per la scarsa credibilità dei loro dittatori). Ed è più che verosimile che il Sarin l’abbiano usato largamente proprio le forze armate del regime di Assad, dato che i molti quartieri colpiti erano tutti controllati dall’opposizione. Se una parte fosse finita nelle mani di qualche formazione ribelle, difficilmente l’avrebbe usata su quei quartieri, ma sarebbe comunque un segnale che il regime, tanto efficace nel massacrare i propri cittadini, non riesce più neppure a controllare i suoi arsenali. Una ragione in più per non intervenire militarmente, a meno che il criterio per farlo sia quello difeso esplicitamente dal pessimo Luttwak: colpire il regime se sta vincendo, per impedire che lo abbattano i ribelli, ma lasciar crepare i ribelli per evitare che abbiano successo. Sono entrambi nemici, anche se una parte dei ribelli credono di poter usare l’attacco imperialista…

E poi che significa tanta indignazione solo per i gas nervini? Anche senza di loro sono morti più di centomila siriani, in questa guerra innescata dal feroce tentativo di stroncare una protesta inizialmente pacifica e più che legittima. E a che titolo possono ergersi a giudici quei paesi imperialisti che hanno usato impunemente armi di distruzione di massa, convenzionali e non, infinite volte da Dresda e Hiroshima alla Corea al Vietnam all’Iraq e l’Afghanistan, per non parlare delle tante guerre coloniali?

Quindi non credo si possa abbassare la guardia ed illudersi che questo rinvio eviti qualche attacco di sorpresa, magari motivato come “risposta” a qualche “provocazione” vera o inventata. La guerra viene sempre motivata con pretesti poco plausibili (le armi chimiche di Saddam o la protezione accordata a Osama Bin Laden dai talibani, che invece erano disposti a consegnarlo a un paese neutrale per un processo equo) ma ha ragioni strutturali, strettamente connesse con il normale funzionamento del capitalismo, che ha sempre seminato morte, ma tanto più ora che è scosso dalla più profonda crisi che abbia conosciuto negli ultimi settanta anni.

“Mastodontiche ricchezze vengono bruciate, colossali potenzialità produttive sono distrutte, in tutti i paesi del mondo amplissimi settori sociali vengono precipitati sempre più in basso, la povertà si estende a strati della popolazione relativamente agiati fino a pochi anni fa, mentre ristrettissimi settori sociali si arricchiscono a dismisura e le differenze si allargano come mai in nessun'altra epoca storica”.

Solo la produzione, la vendita e l’uso delle armi non conoscono crisi. Per questo mi appare del tutto inadeguata la proposta di papa Francesco di fare sabato prossimo una giornata di “preghiera e digiuno per la pace”, non solo perché sono tanti quelli che nel mondo (anche in quello sviluppato) già digiunano ogni giorno per colpa dell’iniqua distribuzione delle risorse, di cui la Chiesa è da secoli corresponsabile, ma soprattutto perché non basta auspicare la pace, e nemmeno dire “no alla guerra” (che è una parola d’ordine un po’ più concreta, ma scarsamente efficace perché nessuno d’altra parte la chiama col suo nome: “guerra”).

Se volesse rendere credibile il suo appello, papa Francesco dovrebbe usare la grande forza (anche materiale ed economica, ma soprattutto spirituale) della Chiesa cattolica per proporre la messa al bando di tutti gli armamenti, non solo delle armi chimiche o nucleari, perché portano morte, e perché sottraggono preziose risorse all’umanità. Non tutti i mercanti di morte sono cattolici, certo, ma molti lo sono, e l’effetto di una simile crociata convolgerebbe anche quelli che fanno riferimento ad altre confessioni cristiane o altre religioni. Magari ci fosse una “concorrenza” su questo terreno! Altrimenti, si contribuisce solo alla rassegnazione e al fatalismo, e si tranquillizza la coscienza con la preghiera.

 

Foto: In-flite teacher/flickr

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