Nino Di Matteo, Confindustria e l’agguato al Governo
Iniziamo subito con il chiarire un punto che per chi scrive è fondamentale: io non ho stima né di Giuseppe Conte né del suo governo né del mio ex partito (il M5S), anzi spero un giorno di poterlo vedere soppiantato da un soggetto politico più maturo e con una chiara collocazione nell'area della estrema sinistra, perché le minestrine riscaldate dell'antipolitica sono state buone solo per le restaurazioni, prima con l'alleanza con la Lega, poi con l'odiato PD.
Quello che è accaduto lunedì sera all'Arena di Giletti ha però il sapore dell'agguato politico. Nessuno dubita della versione dei fatti data dal magistrato Nino Di Matteo, ossia che i boss mafiosi al 41bis abbiano minacciato ritorsioni nell'ipotesi in cui fosse stato nominato a capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, e che queste pressioni debitamente documentate nelle intercettazioni del Gom abbiano avuto il loro peso nella decisione di scegliere Francesco Basentini (oggi dimissionario, nda) per quel ruolo: sia perché il nome di quest'ultimo all'epoca era gradito alla Lega - per Salvini il ministro Luigi Di Maio e i suoi sodali avrebbero venduto pure la mamma - sia perché nessun governo appena insediatosi vuole noie sul piano dell'ordine pubblico, specialmente nelle carceri e tantomeno se orchestrate dalla criminalità organizzata: già si vedevano le tante vanagloriose carriere troncate sul nascere. No no, meglio puntare su un nome meno conosciuto alle cronache.
A Nino Di Matteo è stata venduta l'illusione di poter ricoprire prima l'incarico di ministro della giustizia - assegnato al molto meno illustre Alfonso Bonafede, uomo tuttavia piuttosto pragmatico - e poi blandito con un ruolo di capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Al convegno di Ivrea del 2018, Casaleggio aveva addirittura fatto salire Di Matteo sul palco a prendersi quella rivincita sognata dopo 25 anni di vita vissuti sotto scorta, con la spada di Damocle dei famosi 200 chili di tritolo nascosti da qualche parte nei meandri dell'Aspromonte e nella probabile disponibilità del latitante Matteo Messina Denaro.
Ma la politica è fatta di offensive e controffensive. L'Arena di Giletti si è attestata da tempo sulle posizioni filoleghiste e in generale della destra complottista (non dico "sovranista" perché è indice di un disprezzo della sovranità di cui invece avremmo un terribile bisogno), così come non è un mistero che da tempo Matteo Renzi stia cercando di fare le scarpe a Giuseppi: prima gli ha lanciato il salvagente dell'appoggio piddino per ottenere la riconferma degli uomini piazzati da Gentiloni nelle aziende-chiave controllate dallo Stato (Eni, Enel, Leonardo-Finmeccanica ecc.), poi ora che Conte non gli serve più cerca di sbarazzarsene il prima possibile, magari con qualche sponda nelle file del PD.
Si tratta di giochi politici che servono ad inscenare un teatrino chiassoso per nascondere il dietro le quinte del potere di cui spesso non è facile decifrare gli schemi. Questo è un campo in cui si possono formulare solo delle ipotesi.
Anzitutto c'è da dire che le esigenze di un cambio di esecutivo erano ben visibili da prima che il coronavirus ci mettesse il suo terribile zampino. L'arrivo del morbo ha solo accelerato le cose e le rivolte da paese sudamericano avvenute nelle carceri con la probabile regia della criminalità organizzata hanno mostrato al mondo come le stesse siano assolutamente fuori controllo, premendo su un esecutivo già fragile e messo sotto stress da una crisi senza precedenti.
Ma è quando l'avversario è debole che bisogna colpire duro. Dopo l'attacco di Di Matteo e il conseguente indebolimento di Bonafede, il riferimento più solido dei 5 Stelle nel governo dopo Di Maio, ieri mattina è stato il turno di Carlo Bonomi, il nuovo presidente di Confindustria, che dalle pagine del Corriere della Sera ha accusato l'esecutivo di "fomentare una emergenza sociale che esploderà in autunno", e ha attaccato
"reddito di cittadinanza, cassa ordinaria, straordinaria, in deroga, Naspi, Discoll. Potrei continuare [...] la risposta del governo alla crisi si esaurisce in una distribuzione di danaro a pioggia. Danaro che non avevamo, si badi bene, si tratta di soldi presi a prestito. Possiamo andare avanti cosi' un mese, due, tre. Ma quando i soldi saranno finiti senza nel frattempo aver fatto un solo investimento nella ripresa del sistema produttivo, allora la situazione sarà drammatica".
Infine Bonomi ha sentenziato:
"Ho l'impressione che ci si prepari a scaricare le responsabilità su banche e imprese. Non lo permetteremo".
L'attacco di Confindustria può leggersi sotto due profili. Anzitutto la tragedia dei morti da Covid-19 nell'industrioso nord ha dimostrato come l'attuale modello produttivo sia assolutamente incompatibile con la vita umana. Mezzi pubblici affollati, fabbriche strapiene, inquinamento, case di riposo trasformate in lazzaretti. Se i morti potessero parlare non ci direbbero certo di ripartire come decanta Renzi: ci implorerebbero piuttosto di fermarci facendo tesoro di questi giorni. Tuttavia le esigenze di massimizzazione del profitto spazzano presto i buoni propositi e anche la memoria delle tragedie. Inutile girarci intorno: la tesi che la classe politica settentrionale e gli industriali abbiano brigato per occultare test e dati sul reale impatto del contagio è più di un sospetto: la magistratura ha acceso i riflettori sul caso del Pio Albergo Trivulzio e sulle altre case di riposo lombarde in cui si sono registrate impennate di morti da coronavirus: inchieste che rischiano di travolgere buona parte della classe dirigente riciclatasi sulle ceneri del potere democristiano e socialista del dopo Mani Pulite. Per questo un governo più morbido sul piano delle norme penali sarebbe auspicabile in questo momento. L'esecutivo Conte non è certo un campione della giustizia, ma l'approvazione di leggi come lo "spazzacorrotti" non depongono a favore delle attuali esigenze di sistema: potevano semmai servire all'epoca dell'indignazione anticasta e dei vaffa-day, non ora che le cose sono cambiate.
Il secondo profilo sembra essere altrettanto chiaro: alla lunga nessun sistema capitalistico può reggersi sui sussidi. Si rende necessario tornare a recuperare il plusvalore prodotto dallo sfruttamento della forza lavoro. Attualmente oltre 20 milioni di italiani usufruiscono degli ammortizzatori sociali. Il capitale preme per assicurarsi i nuovi mercati che si preannunciano invitanti. Le consegne online, la logistica, l'esplosione del cibo a domicilio, Amazon, Uber, DeliverToo. Settori che vanno ulteriormente deregolamentati dalle già scarne normative di tutela del lavoro. E se si paragonano le roboanti parole di Bonomi con l'intervista all'acqua di rose di Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, la conclusione non può che essere una: si sta profilando un'aggressione senza precedenti alla classe lavoratrice di questo Paese. Già sono pronte le sirene eversive laddove il sistema democratico dovesse dimostrare di non dar seguito alle direttrici del nuovo modello neoliberista.
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