Navigando lo Spread
Anche in Italia, come già da un po' di tempo negli altri paesi PIIGS, iniziamo a sentire parlare di spread quotidianamente. Spieghiamo cosa indica e perché non è una misura della speculazione nei nostri confronti. Non è nemmeno propriamente un indicatore di performance economica, bensì una misura della fiducia nel nostro intero sistema politico.
Istruzioni per l’uso
Lo spread è il differenziale tra la rendita percepita su un Bund tedesco e un BTP Italiano a maturazione di 10 anni. È una misura relativa. Non si tratta dell’interesse sul nostro debito, ma piuttosto di un confronto con quelli della Germania.
Gli investitori chiedono tassi bassi sui bond tedeschi perché le probabilità di un default sono da sempre remotissime. Al contrario, con la crescente possibilità di un default italiano gli investitori chiedono tassi sempre più alti. In questo senso lo spread è la differenza nella probabilità di default.
Si usa la Germania come termine di paragone perché è l’Economia più grande dell’Eurozona ed il suo debito è considerato il più solido. Ha dunque i tassi d’interesse più costantemente bassi del continente.
Vi è anche una ragione più tecnica per questo. La politica monetaria della Banca Centrale Europea è mirata a garantire una bassa inflazione in media a tutta l’Eurozona. La Germania ha un peso economico abbastanza grande da essere il punto di riferimento Europeo e dunque gode di una politica monetaria più ad hoc rispetto agli altri paesi membri. Non a caso la BCE ha sede a Francoforte.
L’ottimalità di questa politica monetaria ai bisogni tedeschi è dunque un ulteriore motivo di solidità dei tassi del Bund.
Speculazione, perché no?
Alla chiusura di venerdì 29 luglio lo spread italiano era di 3.32%, molto inferiore a quello greco o spagnolo ma comunque significativo. Soprattutto è un aumento notevole rispetto all’1% circa a cui c’eravamo abituati fino all’anno scorso. 3.32% di differenziale è un numero costoso! Per l’Economist ogni punto di percentuale di interesse sul debito italiano aumenta il nostro disavanzo di circa 12 milliardi di Euro annui.
Da qui la paura che lo spread non sia solo uno specchio della solidità del nostro debito ma anche la causa del suo gonfiarsi. Vi è infatti la possibilità che chiedendo rendite sempre più alte sui BTP si giunga ad un inasprimento della nostra posizione rispetto ai creditori e dunque ad un ulteriore innalzamento dei tassi e quindi dello spread. È proprio qui che nasce il timore di un attacco speculativo.
Lo spread italiano è aumentato notevolmente soprattutto durante queste ultime settimane, dal 1.83% del primo del mese al 3.32% di venerdì. Perché? Due cose fanno pensare che non si tratti di speculazione ma di sfiducia da parte dei mercati: la natura del finanziamento del nostro debito e la natura delle vendite dei BTP viste sui mercati.
L’attacco speculativo è più probabile in paesi come la Grecia dove la maturazione del debito è più prossima, dove vi è un disavanzo primario e dove la necessità di finanziarsi è più frequente. Non contano, infatti, i tassi citati ogni ogni giorno sui mercati ma quelli che dominano quando effettivamente c’è un’asta.
L’Italia non è in questa situazione. Sebbene il nostro debito sia il terzo al mondo, non necessita di un finanziamento continuo. Dunque le aste sono meno frequenti rispetto ad altri paesi. I nostri bond maturano in media tra 7 anni. Va notato che allo schizzare dello spread nei giorni della finanziaria a quasi 3.5% abbia seguito un’asta ad un più ragionevole 2.9%.
Tuttavia, ogni giornale Italiano, e quasi ogni commentatore istituzionale, non ha esitato a descrivere gli eventi delle ultime settimane come un attacco speculativo. Secondo molti esponenti del governo, non esistono le condizioni macroeconomiche per un default italiano. L’improvviso innalzarsi dei tassi italiani rispetto a quelli tedeschi che si è visto soprattutto il 7 e l’8 luglio sarebbe invece dovuto alla volontà degli investitori di innescare anche in Italia il meccanismo vizioso sopra descritto di gioco al ribasso.
Eppure, i fatti sembrerebbero scongiurare questa possibilità. Come fa notare la Consob, le vendite effettive hanno superato molto le vendite allo scoperto. Quest’ultime sono contratti che impegnano a ricomprare il titolo a una data successiva prestabilita. Le vendite effettive sono segno di una reale paura nel detenere il nostro debito. Le vendite allo scoperto invece corrispondono ad una scommessa e dunque esattamente alla tanta chiacchierata speculazione. Non a caso vengono spesso proibite in momenti di crisi.
Spiegare l’andamento
L’assenza di vendite allo scoperto in grandi numeri, unita alla mancanza d’urgenza di finanziare il nostro debito indica che una reale paura della nostra situazione purtroppo c’è. In particolare, gli analisti, le istituzioni internazionali, pongono l’accento su due problemi: l’enormità del nostro debito e la mancanza di una qualsiasi crescita economica che ci permetta di finanziarlo meglio.
Niente di nuovo sotto il sole: è accaduto qualcosa nei primi di giugno tale da impaurire i mercati a proposito di queste due variabili? In apparenza no. Il debito e la stagnazione economica sono problemi ormai tristemente endemici per l’Italia da almeno 10 anni.
Eppure lo spread con la Germania è diventato di una grandezza rilevante (superiore al 0.5%) soltanto dal 2008. Dal maggio del 2010 al giugno 2011 cresce gradualmente per arrivare a 1.6% e a luglio l’improvvisa schizzata per toccare un picco di 3.5%.
È stata una combinazione di eventi esteri e domestici a far diventare, dapprima soltanto contemplabile, ed ora possibile, un default italiano.
Fino al caldo autunno del 2008, l’esistenza dell’Euro sembrava precludere una qualsiasi chance di default di un paese dell’Eurozona. Molti nel mondo accademico avevano sostenuto fino allora che fosse addirittura teoricamente impossibile. La crisi ha aperto ogni scenario e fatto si che tanti paesi come l’Italia che avevano approfittato dell’Euro per finanziare i loro debiti a tassi bassissimi iniziassero a pagare i dubbi sulla tenuta dei loro conti pubblici.
Questa situazione si è subito resa grave in Grecia. La crisi Greca del Maggio 2010 è stato l’impulso che ha fatto registrare il primo sussultino di spread italiano. La successiva crescita dellospread si spiega con la paura che la situazione in Grecia, Portogallo e Irlanda potesse contagiare le banche italiane e di conseguenza lo Stato. Ma le banche italiane sono al massimo solo moderatamente esposte.
Concludiamo allora che gli eventi dei primi di Luglio riflettono non un cambiamento macroeconomico ma un mutamento politico.
Proprio in questi giorni il Presidente del Consiglio, la cui tenuta di governo è ormai debole, mostra pubblicissimi segni di stizza nei confronti del Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Quest’ultimo era percepito come il principale garante di un rigore fiscale. Inotre, i risultati negativi delle recenti amministrative e del referendum sembrano anch’esse porre le condizioni per una largesse di spesa pubblica.
Ricordiamo che lo spread non misura il rapporto debito/PIL né altre variabili calcolabili. È una misura di fiducia. Questo dipende dapprima della capacità a lungo termine del governo di mantenere un rigore fiscale. Ed è solo da poche settimane che sono seriamente in dubbio non solo rigore fiscale ma anche governo stesso (Tremonti in particolare).
Non serve che le variabili macroeconomiche cambino. Basta un segnale così piccolo, un Presidente del Consiglio che nega qualsiasi sostegno ad un Ministro del Tesoro (già possibilmente coinvolto in guai giudiziari) perché questa fiducia crolli. E qui i mercati non attaccano, non speculano, ma tremano.
di Lorenzo Newman
(hanno collaborato Gianluca Borrelli e Matteo Patanè)
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