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Napoli Teatro Festival Italia: Nuits de Pleine Lune

Napoli Teatro Festival Italia: Nuits de Pleine Lune

Lo spettacolo Nuits de Pleine Lune, messo in scena dalla compagnia franco-italiana A.R.I.A. fondata e diretta da Robin Renucci, è probabilmente uno degli spettacoli più suggestivi di questa terza edizione del Napoli Teatro Festival Italia. Suggestivo perché suggestiva è la location in cui si svolge: il Rione Terra, in quel di Pozzuoli, una sorta di antico agglomerato di case e negozi, borgo antico e ormai disabitato che rappresenta una delle ricchezze più belle di Napoli. Appunto, questo spettacolo è site specific e si nutre di e cambia forma a seconda del posto in cui si svolge. In questo caso, posto migliore non poteva essere scelto.
 
Lo spettacolo inizia che è già notte (niente luna piena, però) e, dopo una breve presentazione, ecco che comincia la promenade. Gli attori, sette in tutto, sono già insieme a noi che camminano e ci accompagnano, cantano e sussurrano cose segrete all’orecchio: Chi non ha paura o è uno sciocco o è disperato, ci avverte una ragazza dopo averci preso sotto braccio. Un altro ragazzo si guarda intorno furtivo, un donnone dal viso vissuto ci canta all’orecchio di cose sconosciute e lontane. Entrati nel cuore del borgo attraverso un portone, capiamo subito il perché il pubblico è stato dotato di torcia elettrica: dentro è buio pesto. Le mura trasudano umidità, e la strada che facciamo si perde in varie profondità, fortuna che a guidarci e mostrarci dove andare è un canto valorizzato dalla cassa acustica naturale del luogo in cui ci troviamo.

 
La prima storia narrataci è uno dei più famosi racconti di Edgar Allan Poe, Il cuore rivelatore: storia di un assassinio, il cui artefice finisce per impazzire e consegnarsi alla polizia. Notevole il gioco di richiami degli attori che, nascosti nel buio e illuminati/oscurati a piacere dalle torce in dotazione, spuntano furtivi alle spalle del pubblico, prendono e si passano la parola, sottolineando (grazie anche a un battere incessante di tamburi) la tensione e l’orrore della storia gotica.

 
Per la seconda storia il pubblico viene invitato a continuare a sprofondare nel budello dei vicoli bui, fino ad arrivare a una sorta di grotta, lì dove una vecchia piange il figlio morto. Un uomo che legge, la vecchia che piange, e un’altra donna ci narrano la storia di Una vendetta, di Guy de Maupassant. È qui che, forse ancora di più, la lingua di questo spettacolo si fa lingua del mistero: soprattutto per quegli spettatori che non parlano la lingua di Maupassant, il francese; infatti l’uomo che legge non parla italiano. Neanche le altre due donne lo parlano, eppure qualcosa si riesce a capire: parlano còrso, ed è incredibile come questa lingua meticcia (che a tratti sembra quasi di fantasia) risuoni affascinante all’orecchio. Parole marine e sotterranee che raccontano una storia fatta di carne e di sangue: la vecchia addestra la propria cagna ad azzannare l’assassino del figlio morto.

 
Infine, siamo alla terza storia, si ritorna a guardare le stelle: il pubblico viene fatto accomodare su panche di legno all’aperto e assiste alla rappresentazione di una novella di Luigi Pirandello, La casa del Granella. Storia dal tono grottesco in cui si parla di fantasmi, argomento così incredibile che quasi anche la Legge, ma ci fu cosa più razionale, ci crede. Un avvocato prende a cuore il caso di una famiglia che abbandona la casa per via di presenze spettrali. La storia procede su toni surreali e quasi umoristici, la parlata si fa anche napoletana (Michelangelo Dalisi, è l’attore) in omaggio a Eduardo de Filippo, ma a un certo punto tutto si fa ombra: non si capisce se la casa sia davvero stregata, o si tratti solo di un raggiro del padrone. Il pubblico quindi va via, portandosi un po’ del mistero vissuto con sé.
 

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