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Nani e ballerine, the sequel

Curiosamente ma non troppo, oggi la rassegna stampa abbonda di interviste a Rino Formica, il “trafelato commercialista barese” (come lo definì la sua “co-comare” Nino Andreatta durante il governo Spadolini, quando i due se le davano di santa ragione sulla politica economica), oggi ottantaquattrenne, divenuto celebre per alcune definizioni fulminanti, come quella sulla politica che è “sangue e merda”, o sull’Assemblea nazionale del Psi craxiano che egli definì densamente popolata di “nani e ballerine”. Oggi Formica viene intervistato da il Foglio, dal Mattino e dal Tempo, probabilmente per la sua indubbia expertise nell’ambito dei nani e delle ballerine.

Delle tre interviste, che sono simili ma non identiche, la più interessante è quella concessa al Tempo, la cui direzione ha deciso da tempo di schierarsi senza se e senza ma dalla parte del Cav, ritenendo forse in tal modo di riuscire a rosicchiare quote di lettori agli altri due giornali amici del premier, ma utilizzando un canone narrativo meno ruspante e più “analitico”, da analisi geopolitica da dopolavoro, che vernicia l’insieme di quella mano di grottesco che è la cifra stilistica dell’attuale momento politico italiano.

Intervistato da Alberto Di Majo, Formica premette che non c’è paragone tra le serate in discoteca dei maggiorenti socialisti di trent’anni addietro e quello che accade oggi. Siamo all’orgia del potere, dice Formica, che vede nella patologica personalizzazione della politica la matrice di quanto accade oggi, e tiene il punto malgrado l’ansimante Di Majo tenti in ogni modo di insufflare nell’intervista una lettura giustificazionista ed assolutoria delle condotte del premier. Secondo Formica, per il quale non è vero che gli italiani non sarebbero indignati, la soluzione è una sola: Berlusconi si ritiri in una clinica in Svizzera. Battute a parte (ma siamo poi sicuri che sia una battuta?), per Formica occorrerebbe soprattutto piantarla con questo mantra del privato che non è pubblico:

«Smettiamola con questa idea di un privato e di un pubblico che non si incrociano quando si fa politica. Non è così, non solo per un capo dello stato, ma anche per un consigliere di quartiere»

Vai a farlo capire a lor signori, però. Berlusconi sarebbe “accecato”, per non dire qualcos’altro, come suggerito nell’altra intervista a Formica, quella sul Foglio, in cui l’ex ministro delle Finanze assume una posizione conciliante rispetto all’azione della magistratura, ipotizzando qualcosa che assomiglierebbe alla circonvenzione d’incapace, inferendola dal riferimento della procura di Milano ad indagini secondo l’articolo 358 del codice di procedura penale, cioè nell’interesse dell’indagato.

Si comincia quindi, tra il serio ed il faceto, a parlare di exit strategy, come peraltro accade da molti anni in occasione delle ricorrenti crisi del berlusconismo, che non sono innescate tanto dalla magistratura quanto dall’uomo e dal suo istrionismo che ormai vira desolatamente in senilità. La conferma che ci troviamo in un ambiente ormai stabilmente intossicato, inviluppato da ricatti incrociati e da quel terror vacui che la definitiva caduta del premier causerebbe la potete trovare anche nei balbettii di ieri di Roberto Formigoni, l’uomo che senza batter ciglio ha accettato (in cambio di cosa, presidente?) di inserire nel proprio listino bloccato Nicole Minetti, garantendole l’elezione a consigliere regionale. Ieri la Minetti ha già fatto sapere, berciando davanti ad una muraglia di microfoni e telecamere, di non avere intenzione di dimettersi, e che esige rispetto, essendo al Pirellone “per lavorare”. La politica, il lavoro più antico del mondo.

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