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Marchionne, le promesse e la Fabbrica Italia

Marchionne ha il dovere di mantenere gli impegni presi con "Fabbrica Italia". In caso contrario, lo Stato ha diritto di agire contro la Fiat e contro di lui personalmente, per ottenere l’esecuzione coattiva e i danni.

Ancora una volta la Fiat ha perso vendite e quote di mercato, ancora una volta Marchionne ha annunciato che non farà gli investimenti promessi a sindacati e governo per avere l’appoggio alla sua politica sostanzialmente e concretamente tesa a ridurre le conquiste sindacali dei dipendenti dell’industria in generale e della Fiat in particolare.

L’annuncio ha, finalmente, provocato reazioni del mondo imprenditoriale e sindacale, ha finalmente fatto parlare Della Valle e Romiti e in modo tale da far passare quasi sotto silenzio la reazione della Camusso. Lei è apparsa quasi moderata. I giudizi di Della Valle e di Romiti sono stati molto più duri e decisi e sono da prendere sul serio dato che vengono da due imprenditori e che di questi almeno uno (Romiti) noto per non essere morbido con i sindacati.

La vicenda fa tornare alla mente un giudizio dato sul programma di Forza Italia alla sua nascita: un salto indietro di cento anni, un perdere tutte le vittorie sindacali ottenute, un dimenticare la tragedie del nazismo e del fascismo.

Quel giudizio, poco noto perché dato in un momento inadatto, è importante poiché fu espresso da Pino Rauti, un uomo certo non di sinistra. Così come questo su Marchionne è importante perché viene dal mondo dei datori di lavoro e degli imprenditori, grandi imprenditori. Ma questo è il meno, perché quello che importa di più è il rimedio di Marchionne, dall’uomo considerato il salvatore della Fiat e che oggi la guida con un mercato ed una produzione ridotti a metà. Non voglio e non posso (non ne ho le qualifiche) giudicare Marchionne e poi la disastrata Fiat di oggi sta meglio (pare) di quella che Gianni Agnelli cercò di vendere negli Usa e che convinse l’acquirente, pur di ritirarsi, a versare una penale di 800 milioni di euro, ma due considerazioni al riguardo le posso fare.
 
La prima riguarda la decisione di non investire i 20 miliardi di euro promessi due anni fa con l’obiettivo di raddoppiare la produzione- La decisione, dice Marchionne, deriva dalla situazione di crisi del mercato, e sostiene che è inutile produrre se poi non si vende. Ed è vero. Ma due anni fa la crisi era già in atto. Solo che al riguardo c’è da rilevare che, anche se il mercato è in affanno, mentre la Fiat perde mercato in assoluto e in percentuale, altre aziende (tanto per non fare nomi: la Volkswagen e la Toyota) aumentano le loro vendite in tutto il mondo.
Allora, forse, il difetto non è nel mercato, ma nella Fiat. Le auto Fiat si chiamano ancora Panda (auto dei primi anni ’80), 500 (auto degli anni ’50) mentre la Croma (degli anni ’80) è uscita dal listino da poco, sostituita da una ignota Freemont di 3.600 cc. Certo Panda e 500 sono state rinnovate o cambiate radicalmente, ma nella mente del consumatore richiamano sempre alla mente vetturette, misere e spartane vendute in grande quantità solo per il prezzo e grazie alla protezione doganale, ora abolita. Mentre oggi la 500 più economica a listino costa 13.670 € contro gli 11.000 delle sue concorrenti e l’unico modello che si pretende nuovo è la citata Freemont che costa e consuma molto di più di auto ben note ed apprezzate.
 
Come ho già scritto in un articolo di vari mesi fa, se Marchionne invece di lottare contro i suoi dipendenti scoprisse che la mission della Fabbrica Italiana Automobili Torino è produrre auto, poi, forse, riuscirebbe anche a venderle. E a pagare i dipendenti. Ma fino a che continuerà a seguire la politica del non investimento in nuovi modelli, pubblicità e marketing avrà davanti la chiusura o la cessione di opifici. Il fatto è che, a mio avviso, Marchionne si occupa più di politica che di industria, è più occupato a cercare di portare in Italia l’assenza di welfare degli Usa che a cercare rimedio ai difetti dell’azienda che guida.
 
Marchionne, si diceva, ha dichiarato di non poter effettuare gli investimenti promessi a causa della situazione di crisi attuale. Solo che, da che mondo è mondo, il momento adatto per investire, per iniziare o potenziare un’azienda è proprio quello di crisi. Questo si insegnava quando da adolescente andavo a scuola, questo si insegnava quando andavo all’Università e questo ho sperimentato durante i quaranta anni in cui mi sono occupato di risanamenti d’azienda.
Ovvio: nulla a che vedere con grandi aziende. Io ho sempre curato piccole aziende con qualche miliardo di fatturato (massimo 22) e non posso certo insegnare nulla a Marchionne, ma è noto che durante le crisi si trovano (e a condizioni vantaggiose) tutto il necessario alla produzione: terreni, immobili, capitale finanziario, dipendenti di ogni livello e qualifica, joint venture ecc. Persino nuovi e più convenienti patti sindacali. E’ questo il momento di tirare fuori nuovi prodotti, di cercare ingegneri e stilisti, di fare alleanze produttive e commerciali. Sempre, naturalmente, che si vogliano produrre e vendere automobili e non solo abolire il welfare. Ora debbo toccare un altro aspetto.
 
Promesse e impegni di Fabbrica Italia
Con Fabbrica Italia, Marchionne non ha fatto solo una promessa che, come promessa al pubblico, sarebbe comunque vincolante, Marchionne ha stipulato un vero e proprio contratto con sindacati, lavoratori e Stato: in cambio di agevolazioni, appoggi (politici), moderazione (sindacale), aiuti (non economici) si è impegnato ed ha impegnato l’azienda che rappresenta a fare degli investimenti, a ideare e lanciare nuovi prodotti.
Gli altri hanno mantenuto, i sindacati hanno ceduto su tutta la linea (Fiom-Cgil esclusa), i lavoratori hanno votato come ha chiesto al referendum, il Governo lo ha appoggiato… ora è lui che deve mantenere le sue obbligazioni. Contrattuali.
E, se non lo fa, qualsiasi cosa ne dica la ministra Fornero, lo Stato ha diritto ad agire contro la Fiat spa e contro di lui personalmente per ottenerne l’esecuzione coattiva. E i danni. A mio avviso. 

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