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Dieci piccoli saggi. Storia di un giallo che forse nessuno scriverà

Alla ricerca nelle segrete stanze del Quirinale, ma guidati da Dan Brown.

Napolitano, dopo rapide consultazioni, ha tirato fuori dal cilindro non un coniglio, ma dieci saggi. Appena ha parlato tutti i gruppi politici si sono dichiarati, se non ammirati, almeno soddisfatti e fiduciosi. È stato dopo, che sono cominciati i primi distinguo, i paletti e poi le critiche. Prima timide e poi sempre più chiare e dirette.

Perché? Perché questo generale tirarsi indietro? Molti ormai si chiedono a che servono o dovrebbero servire questi saggi, che possono mai fare. Altri invece cominciano a dire che i saggi non possono essere risolutivi, non possono sostituirsi al Parlamento o ai partiti. Il che è un modo come un altro di dire che non servono a niente, che sono inutili. Allora proviamo a chiederci, con un po’ di malizia, a che possono servire o, meglio, che uso pensa di farne il Presidente Napolitano.

Ovviamente ci si deve limitare a ipotesi, ma pur non sapendo (è ovvio) quale idea abbia in testa il Presidente, una teoria l’ho formulata.

A mio avviso l’idea di Napolitano è quella che questi saggi individuino alcuni punti previsti ed elencati in tutti i programmi di tutti i partiti. Come, peraltro, ha detto. Lavoro abbastanza facile visto che, chi più chi meno, un po’ per la situazione e un po’ per paura dei grillini, hanno promesso più o meno tutti le stesse cose. Anche se qualcuno l’ha sparata più grande degli altri.

Magari troveranno solo quattro o cinque punti e magari neppure comuni a tutti i partiti, ma comuni solo al Pd e al 5 Stelle e altri quattro o cinque comuni al PD e al PDL. Se così sarà, a mio personale avviso, Napolitano invierà un messaggio alle camere o ad una di esse presentando le due alternative per rimanere super partes.

Voglio dire che, per esempio, i dieci saggi (o sei o otto di essi) potranno scoprire che nel programma del PD e di 5 Stelle c’è l’abolizione del finanziamento ai partiti, riduzione del costo della politica, abolizione delle province, riduzione del numero dei parlamentari e, naturalmente, quella delle imposte e … magari basta così.

Stessa cosa forse avverrà con il programma di PD e PDL con altri punti di contatto. Non solo: in quello del PD e dei grillini magari ci sarà una norma sulla incandidabilità e una contro la corruzione, norme che mancheranno o saranno diverse in quello del PDL. Ma non fa niente, non è un problema.

A questo punto nel suo messaggio il Presidente inviterà non i partiti, ma tutti i singoli parlamentari ad unirsi per consentire la nascita di un Governo in grado di varare quelle riforme. E quella della legge elettorale.

Farà un appello al senso di responsabilità di ognuno di loro, al loro amor di Patria, al loro bisogno di anteporre il bene del Paese a quello personale e anche a quello del partito di appartenenza. Questo consentirà ai deputati, forse già disposti a fare quel passo, ma che esitano per non divenire tanti “Scilipoti” a decidersi: nessuno potrà sospettarli o accusarli di esser dei voltagabbana o dei venduti.
Perché li coprirà l’autorità, la popolarità e il buon nome del Presidente. Non si sono venduti, hanno risposto all’appello accorato di San Giorgio Napolitano, vergine e martire, santo che viene canonizzato giustamente tutti i giorni da sette anni. E da tutti i partiti politici. Chi potrà mai criticarli?

Così qualche frondista del PDL e qualcuno del 5 Stelle potrebbero unirsi al Pd o a Scelta Civica o in un gruppo misto per fare un governo. O potrebbero farlo alcuni del Pd unendosi al PDL o a Scelta civica allo stesso scopo. Che poi lo facciano per motivi ideali e di servizio o per convenienza personale, per qualche carica al Governo o sottogoverno poco importa.


Quelli del 5 Stelle, d’altronde, devono essersi cominciati a rendere conto che, delle due legislature permesse dal loro partito, la prima forse è già quasi finita e la seconda, a legge elettorale inalterata, rischia di durare poco anch’essa. Fine di una carriera politica.

Ripeto le vere motivazioni non contano, quel che conta è che il governo nascerebbe e comincerebbe a governare. Poi, forse, i grillini, vedranno che il loro nuovo non è tanto nuovo, che non sono giovani dato che sono obbligati ad avere i 64 anni del guru e i 58 dell’ideologo, forse vedranno pure che il guru non è né un politico e né un economista, ma uno che ripete ad alta voce e molto bene quello che scrive l’ideologo e si grida all’osteria del porto di Genova.

E, pian piano, forse vedranno pure che l’ideologo non è un costituzionalista, ma un filosofo del diritto che ragiona in base alla inesistente Costituzione che ha pensato nei suoi studi, che la loro economista di riferimento, Lidia Undiemi, non è una economista, ma una piacente ragazza che ha conseguito un dottorato di ricerca in Diritto dell’Economia e dei Trasporti. E forse capirebbero così il perché di tante sciocchezze dei due.

Ci si chiederà perché tanta ostilità dei partiti: è semplice...

Il PdL è ostile perché sa che è molto più probabile che si formi un governo intorno al PD che intorno a lui e perché sa che, se mai dovesse partecipare a questo ipotetico governo, non sarebbe un governo delle larghe intese, ma un governo su alcuni punti più qualificanti per il PD che per lui.

E perché sa che, appena si fiutasse l’idea di un governo con buone possibilità di durata, ci sarebbe una fuoriuscita di senatori verso Scelta Civica e verso la destra del PD. Perché scontenti di dover votare per Ruby nipote di Mubarak o perché alla ricerca di una verginità partitica.

Il 5 Stelle è contrario perché sa che, se il PD presenterà, su indicazione dei saggi, un miniprogramma maledettamente simile al suo o a parte del suo, troverebbe molto difficile spiegare a quattro dei suoi otto milioni di votanti perché ha preferito il nulla a una buona parte delle riforme che chiedeva. E poi sa che se il PD dovesse ripetere il colpo gobbo di presentare candidato Grasso, i suoi sei senatori siciliani non potrebbero non votarlo. E non solo loro.

E una espulsione di 10 o 15 senatori non è un’espulsione, ma una scissione. 

E il PD è contrario perché sa che, se dovesse esserci un programma compatibile, con il PDL sarebbe difficile spiegare alla sua frangia di destra perché ha rifiutato anche solo il tentativo, mentre sa che il fallimento del tentativo verrebbe addossato a lui.

Il PD sa anche che, anche se dovesse nascere il programma con il 5 Stelle o parte di esso, sarebbe comunque per lui una sconfitta: perché sarebbe sempre sottoschiaffo di quei senatori e perché sarebbe la solita storia del PD che vince con un candidato che non è quello che ha scelto.

Scelta Civica non è ostile perché sa che comunque non ci rimetterà e che, se il gioco dovesse funzionare, ci guadagnerà almeno una quindicina di senatori ed eviterà di dover rischiare la scomparsa in nuove e ravvicinate elezioni.

Ma forse tutto questo è solo un giallo frutto della fantasia dell’autore e i dieci piccoli saggi non verranno eliminati da nessuno. Si elimineranno da soli decidendo che non c’è nulla di comune tra i programmi.
Stiamo a vedere.

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