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Marchionne: "Finita epoca delle lotte operai-padroni". L’operaio deve solo rassegnarsi

Non si può colpire un intera popolazione facendo ricadere le colpe sui "fannulloni" del sud è un pretesto per togliere quel poco che l’operaio aveva ottenuto con anni di lotte, e che oggi vogliono annullare in un sol botto. E tutti i fannulloni che abbiamo in Parlamento? per non parlare di manager che prendono stipendi d’oro senza raggiungere nessun risultato? Facile far ricadere le colpe sui soliti e portare il conto da pagare a chi vive onestamente ma senza la possibilità di replica.

L’ammnistratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, accoglie l’invito del presidente della Repubbica, Giorgio Napolitano, e si dice pronto a un nuovo patto sociale. Ma averte: è inammissibile difendere i sabotaggi. L’azienda è apprezzata, nessuno si sottragga al confronto, ha risposto il capo dello Stato al numero uno della Fiat.

All’indomani dell’attacco dei vescovi alla Fiat per i tre operai licenziati dalla Fiat a Melfi, poi reintegrati dal giudice ma costretti dall’azienda a stare lontano dalla linea di montaggio, Marchionne risponde all’invito di Napolitano a superare lo scontro e rispettare la legge. «Forse in Italia ci manca la voglia e abbiamo paura di cambiare - ha detto stamattina a Rimini, al meeeting di Cl, paragonando l’avventura americana con Chrysler alla situazione italiana di Fiat - La gravità delle accuse che ho sentito muovere verso la Fiat mi ha costretto a cambiare radicalmente il testo del del mio discorso. Fino a quando non ci lasciamo alle spalle vecchi schemi, non ci sarà mai spazio per vedere nuovi orizzonti».

«Basta con la lotta padroni-operai». «Non siamo più negli anni ’60 e occorre abbandonare il modello di pensiero che vede una lotta fra capitale e lavoro e fra padroni e operai. Siamo pronti a un nuovo patto sociale - ha poi detto Marchionne -. A Melfi la La Fiat ha rispettato la legge. Ma è inammissibile tollerare e difendere alcuni comportamenti, che vedono la mancanza di rispetto delle regole e di illeciti arrivati in qualche caso al sabotaggio. Non è giusto verso l’azienda, ma soprattutto verso i lavoratori. Dignità e diritti non possono essere un patrimonio esclusivo di tre persone: sono valori che vanno difesi e riconosciuti a tutti».

«Ho grandissimo rispetto per il presidente della Repubblica come persona e per il suo ruolo istituzionale», ha quindi continuato l’amministratore delegato della Fiat aggiungendo: «Per la sua posizione istituzionale accetto quello che ha detto come un invito a trovare una soluzione» alla vicenda di Melfi.


Sono pronto ad incontrare Epifani. «Sono assolutamente disponibile» a incontrare il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, ha poi aggiunto Marchionne: «Sono totalmente aperto anche io a parlare con Epifani: è una persona che rispetto e che ha un profilo intellettualmente onesto».

«Anche in Italia si sa apprezzare lo straordinario sforzo compiuto per rilanciare l’azienda e proiettarla nel mondo di oggi fronteggiando l’imperativo del cambiamento che nasce dalle radicali trasformazioni in atto sul piano globale. Su questo terreno non possono sottrarsi al confronto le istituzioni e le parti sociali, nessuna esclusa», ha risposto Napolitano.

Intanto anche oggi non sono entrati nello stabilimento di Melfi i tre operai della Fiat - Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli - licenziati e poi reintegrati dal giudice del lavoro. I tre operai, come successo negli ultimi due giorni, al cambio turno delle ore 14, si sono fermati davanti ai cancelli dello stabilimento. A seguito dell’istanza presentata dai legali della Fiom, è stata fissata per il prossimo 21 settembre, presso il Tribunale di Melfi, davanti al giudice del lavoro Emilio Minio, un’udienza per discutere sulle modalità di attuazione del decreto di reintegro dei tre operai.

Cgil Basilicata: non c’è stato sabotaggio. «Siamo basiti dalla dichiarazione dell’amministratore delegato di Fiat che continua a sostenere il presunto sabotaggio, mai avvenuto, nello stabilimento Sata di San Nicola di Melfi, ignorando completamente il fatto che in quella sede era in corso uno sciopero dichiarato da tutte le sigle sindacali presenti in fabbrica», ha affermato in un comunicato il segretario regionale della Cgil Basilicata, Antonio Pepe. «Il rispetto della dignità di tutti i lavoratori si attua con il segnale che la Fiat avrebbe dovuto dare rispettando la sentenza del giudice del lavoro di Melfi e quindi reintegrando sul posto di lavoro Giovanni, Antonio e Marco, anche alla luce dell’intervento del Capo dello Stato», ha concluso.

Cremaschi: parla da padrone delle ferriere. «La sostanza del discorso che l’amministratore delegato della Fiat ha fatto all’assemblea dei ciellini, è di puro stampo reazionario. Come un padrone delle ferriere dell’Ottocento, Marchionne ha spiegato che non ci deve essere conflitto tra padroni e operai, cioè che comandano solo i padroni, e che nella globalizzazione i diritti e la dignità del lavoro sono quelli che vengono definiti dal mercato», ha affermato Giorgio Cremaschi della Fiom-Cgil secondo il quale al meeting di Rimini «Marchionne ha chiarito che per lui dialogare e comandare come gli pare sono sinonimi e quindi che i tre di Melfi restano fuori». «A questo punto - afferma il sindacalista - trovo inutili anche le dichiarazioni di Guglielmo Epifani a favore di una ripresa del dialogo con la Fiat». 

Una telefonata di John Elkann e una lettera di Marchionne indirizzata al presidente della Repubblica erano già state, prima dell’intervento di Marchionne, la via scelta ieri dalla Fiat per chiarire la propria posizione al capo dello Stato. Nella lettera «personale» inviata a Napolitano l’amminisratore delegato del Lingotto, ha in sostanza illustrato le ragioni dell’azienda rassicurando il Capo dello Stato circa il fatto che la Fiat non ha né intenzione né interesse al permanere di uno stato di tensione in fabbrica. In una lettera inviata martedì ai tre operai, Napolitano aveva espresso «il vivissimo auspicio - che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della Fiat - che questo grave episodio possa esser superato, nell’attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria»

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