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Mangiare la minestra con la forchetta, fatti di quotidiana ricorrenza nella Sanità riformata

Il Diario di 5 giorni trascorsi in un ospedale del Lazio... tra disagi e degrado, come si cura il cittadino italiano in tempi di recessione.

Non fosse che queste piccole vicende riguardano una categoria non protetta, e cioè i malati, quasi quasi verrebbe anche da ridere. Ma visto che i protagonisti di queste povere storie sono degenti, persone inferme e debilitate la reazione consona alla situazione nella quale sono costretti a sottostare per curarsi, fa tutt’altro che ridere, anzi, quello che ci suscita è un moto di rabbia, di collera senza fine.

Il luogo: Ospedali Riuniti Anzio-Nettuno (Azienda USL Roma H) Reparto di Chirurgia.

Quando: nei giorni dal 5 al 10 giugno 2012.

Chi riguarda: la sottoscritta e i degenti del reparto.

Come è accaduto? Davanti ai miei occhi, e di questo do testimonianza.

Perché? Forse non c’è un colpevole, ma ce ne sono molti, molti sono i Responsabili che per cinismo e/o interessi personali hanno portato a che l’attuale situazione nella quale versa la Sanità potesse finire in questo disastro.

Camerata degentiRicoverata per una stupida operazione di Colicistectomia Laparoscopica (asportazione della cistifellea affetta da calcolosi) ho trascorso giorni e notti a guardare e a registrare quanto accadeva a me e a chi mi stava accanto, perfettamente cosciente di essere una privilegiata: salvo imprevisti, la mia degenza sarebbe durata pochi giorni, non sono vecchia e nel mio soggiorno ero supportata dalla presenza quasi costante di persone a me care. Nonostante ciò non ho potuto evitare di immaginare le situazioni degli altri pazienti, molti di quelli ricoverati che per età avanzata o per gravità del loro stato psico-fisico subivano privazioni e alienazioni senza potervisi opporre in alcun modo.

Venendo accettati in reparto, si ha l’attribuzione di un letto, un posto letto che ha un numero – il mio era il 17. E immediatamente vi è la prima spersonalizzazione: tu non sei più Maria o Giuseppe, né Chiara né Luca; tu sei il numero del tuo letto e con quello non solo sei identificato, ma quel numero diventa l’essenza di te, la tua personificazione.

Mi direte: è per praticità, è più razionale, una questione organizzativa.
Vi rispondo: no, purtroppo è il segno esteriore dell’inizio di un percorso deviato, che considera il malato non secondo i canoni cui siamo abituati dalla nostra civiltà, ma solo come un caso cui corrispondere con un Protocollo. E il Protocollo non può tenere conto di alcunché di umano, non può avere né compassione né pietà.

Se poi il Protocollo – ed è qui che entrano in causa i Responsabili - è stato realizzato per sottostare a tagli e a riduzioni di spese non solo non può prevedere né compassione né pietà, ma peggio diventa un congegno spietato e crudele che subiscono i più fragili tra di noi. 

FATTI DI VARIA GRAVITA’ 
L’affidamento della gestione della Sanità pubblica alle Regioni ha fatto sì che a seconda di dove un cittadino italiano risiede le cure che riceve in caso di ricovero siano diverse. E già questo, mi sembra, è un’evidente mancanza nei confronti dei dettami della Costituzione. WC del reparto Chirurgia

Faccio questa premessa perché quanto accaduto negli Ospedali Riuniti Anzio-Nettuno, secondo me, in altre Regioni non si verifica. Di sicuro ci sono Regioni dove nessuno si è appropriato in modo illecito dei finanziamenti destinati alla Sanità, dove non ci sono stati casi di appalti gonfiati/truccati, dove non ci sono state collusioni criminali. Ma qui nel Lazio, il cosiddetto “buco nero” della Sanità ha numeri stratosferici, e visto che bisogna rimettere in ordine i conti, bisogna tagliare, e i tagli su chi pesano?

Ogni giorno assistiamo alla risalita dello spread, a gente che perde il lavoro, a gente che si suicida perché non riesce a pagare tasse e contributi. Ma in questa situazione di crisi vi è una parte di popolazione - i degenti di molte strutture sanitarie italiane - che ogni giorno si vedono negati i propri diritti fondamentali. Primo tra tutti la dignità.

Nei bagni del reparto Chirurgia dell’Ospedale non c’è né sapone né carta igienica, né alcuno strumento per asciugarsi. Alle timide rimostranze di un’anziana degente, l’incaricata di una ditta che ha appaltate le pulizie ha risposto: “La carta igienica è una cosa personale, a me farebbe schifo usare il rotolo usato da un altro”. E così l’anziana donna è stata costretta ad andare a mendicare dagli altri ricoverati un po’ di carta, e per lavarsi c’avrebbe pensato in seguito.

Nel letto accanto al suo, a tarda sera, è salita dal Pronto Soccorso un’altra anziana signora, che per rispetto alla sua privacy chiamerò Pina. Pina era quasi sorda e così debilitata da non essere in grado neppure di arrivare sul letto assegnatole. L’infermiera che aveva spinto la barella, chiamata altrove dal suono del campanello di un’altra urgenza, l’ha abbandonata alle braccia della figlia che con grande sforzo di volontà è riuscita a trasferirla sul letto. Rimasta sola, la Pina, durante la notte è stata sottoposta a un prelievo per un esame dell’emocromo; erano le 10 e mezza passate quando nella camerata sono state accese tutte le luci e due infermiere, insensibili alle necessità di riposo delle altre ricoverate, hanno iniziato ad urlare per riuscire ad ottenere attenzione e collaborazione dalla terrorizzata Pina.

Forse, sempre a causa dei famosi tagli, lineari o perpendicolari che siano, negli ospedali non ci sono più i “paraventi”, quelle strutture mobili che in particolari situazioni consentivano ai degenti un minimo di intimità. Così mi è capitato di assistere alle medicazioni di ferite andate in suppurazione, di vedere e sentire gli effetti di chi se l’era fatta addosso e veniva ripulito alla meno/peggio dal personale addetto. Ma ho assistito anche a rantoli e a lamentazioni senza fine, al pianto infantile di uomini adulti.

In un ospedale il tempo è cadenzato da una serie di eventi: la terapia, i pasti, il controllo dei medici, le medicazioni, le visite dei parenti. In un ospedale nel quale vige il Protocollo di “emergenza economica” si attuano riduzioni.  Una saletta del reparto Chirurgia

Le riduzioni non riguardano solo un risparmio in generi vari, ma sono trasversali e colpiscono beni essenziali e personale. Un ospedale dove viene ridotto il personale, quello in forze è costretto a sostenere turni estenuanti e a rispondere delle necessità di un numero di ricoverati superiore alle proprie possibilità. Stanchezza e stress, quindi, su alcuni infermieri generano reazioni ed errori. A me è capitato di non ricevere una “stupida” pillola per il diabete, e di sentirmi presa in giro dall’addetta che avevo chiamato per risolvere il problema. Ma ad altri potrebbe andare peggio, molto peggio. 

Nell’Ospedale in questione gli orari sono ondivaghi, dipendono dal giorno e dalle urgenze che si presentano. Ci si sveglia verso le sei, sei e mezza e poi seguono le attività di routine (iniezioni, misurazione della pressione e della temperatura, distribuzione di farmaci, ecc.). A queste dovrebbe succedere la colazione, ma la colazione può arrivare alle 8 ma anche alle 9. Da cosa dipende? Dalle solite cose generate dai tagli, quelli lineari o perpendicolari: mancanza di personale, disorganizzazione del Protocollo, appalti mal attribuiti. Così può capitare di far colazione alle 9 e di pranzare alle 11 e 45. 

Ho parlato di “colazione” e “pranzo”, ma forse si tratta di paroloni per degli eventi molto miseri. Avete mai preso un tè in una fondina di carta? No? Beh, a me è capitato. 

Se siete diabetici sapete che le patate non sono la cosa più indicata della vostra dieta, a me l’hanno date sia a pranzo che a cena. E quando ho chiesto alla caposala -anche in presenza dei medici- di modificare la dieta con della verdura, mi è stato risposto che la caposala non aveva nessun contatto con le cucine… Dopo tre giorni di proteste, poi, il miracolo: è finalmente arrivata la verdura!

Ma la degente del letto 15 - il 15, per intenderci - ha continuato a ricevere carote lesse nonostante non le tollerasse, così come non tollerava alcun alimento le veniva somministrato. Ha semplicemente smesso di mangiare, almeno fino a quando i figli non le hanno portato il cibo da casa. Mi vengono in mente due domande veloci: come mai nessuno ha fatto niente vedendo che non toccava cibo? E se la degente in questione non avesse avuto dei familiari disponibili a portarle il cibo da casa. 

Gli alimenti in ospedale, in molti casi, sono parte della cura stessa, ma in tempi di Protocolli di emergenza la qualità degli stessi degenera e diminuisce, viene soppressa la “merenda”, e le stesse posate di plastica subiscono riduzioni lineari. Così può capitare che si debba mangiare la minestra con la forchetta, non essendoci compreso - nel kit del coperto - un cucchiaio.

Può capitare che un portantino - che di norma non deve neppure toccare il degente - distribuisca le diete ai ricoverati, che una OS (Operatrice Sociosanitaria) svolga mansioni infermieristiche e supporti “come può e riesce” ai bisogni dei malati.

E alla fine può capitare di restare in attesa di un intervento dalle 7 del mattino alle 17 del pomeriggio, senza né bere né mangiare, e alla richiesta di informazioni ti venga risposto: un po’ di dieta non può che farti bene!... con risatina al seguito. E poi che l'intervento venga rimandato a data ignota.

Può capitare anche di essere ricoverati per fare un esame particolare – per il quale si sarà trasportati in un altro ospedale - ed essere dimessi dopo 10 giorni senza aver fatto l’esame perché l’apparecchio deputato all’indagine nel frattempo si è rotto.

Saletta "cucina"Mi è stato precisato che il reparto Chirurgia degli Ospedali Riuniti Anzio-Nettuno è stato definito da alcuni un Paradiso in confronto a quanto accade negli ospedali di Roma. In effetti molti di noi hanno seguito i servizi/denuncia sulle condizioni di diversi Pronto Soccorsi della Capitale, girati dai giornalisti della trasmissione Piazza Pulita, ma quella cui io ho assistito in cinque giorni è quotidiana malasanità generata da tagli e turni estenuanti del personale medico e paramedico. In pochi, tra quelle/i che mi hanno assistito trovano ancora la forza di sorridere, per la maggior parte i volti di medici e infermieri erano stanchi e tirati, oppressi dal timore per il loro posto di lavoro, dalla soppressione di interi reparti. Il più recente, ma non l’ultimo, quello di Pediatria, che ha fatto sì che un bambino Rom, dal Pronto Soccorso, fosse portato in una camerata di uomini e anziani.

In un Paese sull’orlo di una crisi economica irreversibile, a un passo dalla bancarotta, non si dovrebbe aspettare il morto per far intervenire la Magistratura. Se i Politici della Casta vogliono ancora fregiarsi di un ruolo, forse, dovrebbero staccarsi dalle loro poltrone istituzionali, e andare in giro nelle strutture sanitarie italiane, sforzarsi di guardare, e magari di capire, come mal funzionano i luoghi deposti alla cura dei loro concittadini, dove migliaia di persone ogni giorno patiscono più del dovuto, dove ad ognuno è persino strappata la possibilità di soffrire con dignità.

Questo, almeno, in un Paese che si considera Civile.

Flaminia P. Mancinelli

Nota: Le immagini che illustrano quanto scritto le ho scattate nei giorni del mio ricovero nell’Ospedale di Anzio-Nettuno, ed illustrano lo stato di abbandono nel quale versano non solo la camerata per i degenti e i “bagni” per le donne, ma anche i luoghi deputati alla preparazione di bevande (quali ad esempio il tè che viene somministrato ai pazienti in attesa di essere operati) o altri nei quali vengono preparate le terapie e le medicazioni.

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