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Mafia: la più grande liberalizzazione di cui ha bisogno l’Italia

E' singolare che tra l'insieme delle liberalizzazioni che il governo Monti si appresta a varare nessuna considerazione venga riservata a quella che è sicuramente la più grande liberalizzazione che aspetta l'economia italiana: l'eliminazione del peso oppressivo e distorcente delle mafie sull'apparato produttivo.

Nel XII rapporto Sos Impresa "Le mani della criminalità sulle imprese" la Confesercenti presenta il bilancio annuale di "Mafia Spa".

L'insieme delle attività delle mafie ha un valore che supera i 135 miliardi di euro. A tanto ammonta il prelievo che le diverse mafie operano sull'insieme della società italiana.

La cifra è scindibile in due sottogruppi: nel primo, le attività criminali che riguardano i mercati illegali, quali traffico di droga, tratta di esseri umani, armi, prostituzione, contrabbando e altri traffici minori, per un valore di 68 miliardi e 470 milioni di euro; nel secondo, le attività che pesano direttamente sull'apparato produttivo, estorsioni, usura e altre attività predatorie per un ammontare di 25 miliardi e i proventi da attività finanziarie e imprenditoriali per un valore di 41,075 miliardi di euro.

Edilizia, commercio, ristorazione e turismo rappresentano il 50% degli investimenti mafiosi nell'economia legale, seguono poi altri servizi, dai trasporti alle aziende agricole, dai giochi e scommesse legali alle imprese funebri.

Ogni anno, quindi, "Mafia Spa" occupa sempre più gli spazi dell'imprenditoria legale ed estrae dall'apparato produttivo italiano oltre 66 miliardi di euro.

Ma accanto al rilevante prelievo mafioso sull'economia legale vi è un altro effetto, di tipo qualitativo, dell'azione dei clan sui mercati.

Fu Pino Arlacchi, nel 1983, a introdurre nel dibattito la nozione di imprenditoria mafiosa. Gli investimenti mafiosi nell'economia legale generavano una nuova figura sociale: l'imprenditore mafioso. Conseguenza inevitabile di questa penetrazione era l'introduzione nell'economia legale del metodo mafioso.

L'imprenditore mafioso, che poteva anche essere un semplice professionista al servizio del clan, sia nell'organizzazione interna dell'impresa che nei rapporti con i fornitori e il mercato tendeva ad utilizzare metodi intimidatori e violenti. In conseguenza di ciò - diceva Arlacchi - (e la storia gli ha dato ragione) contrattazione sindacale e concorrenza erano di fatto eliminate, il risultato finale era ed è che in una determinata area sotto il controllo di un clan l'impresa mafiosa assume i tratti di un vero e proprio monopolio

Oggi, l'economia italiana è bloccata da monopoli, oligopoli e cartelli creati e tenuti in vita da corporazioni e potentati vari. Il governo Monti sembra intenzionato a smantellarli per ridare slancio all'apparato produttivo.

Ma perché ignorare la miriade di situazioni monopolistiche, da Genova a Palermo, create dalle mafie?

Quanto vale in termini di crescita del Pil la cacciata dei clan dall'economia?

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