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L’anomalia italiana dei regimi bloccati e della guerra ideologica

Alcune osservazioni su un interessante saggio di storia politica che spiega l'anomalia italiana, le sue origini, la sua evoluzione e i suoi effetti devastanti sulla vita sociale ed economica.

Nel dicembre dello scorso anno la casa editrice il Mulino ha pubblicato “Storia d’Italia. Crisi di regime e crisi di sistema 1861 – 2013dello storico Massimo L. Salvadori. Con esso l’autore aggiorna al 2013 l’analisi già presentata nel 1994 e che in estrema sintesi possiamo così riassumere:

la storia politico – istituzionale dell’Italia, a partire dal 1861 e fino ai primi anni 90, presenta una vistosa anomalia in rapporto agli altri paesi dell’Europa (Russia esclusa) e del Nord America. Anomalia che consiste in un sistema politico bloccato, privo della possibilità di un’alternanza di governo tra destra e sinistra, maggioranza e opposizione.

Ciò che mantiene in essere questo blocco è una permanente “guerra civile ideologica”, e in alcune fasi non solo ideologica, tra maggioranza e opposizione. Da una parte una opposizione non di governo ma di sistema, volta cioè a creare non una alternativa di governo ma un nuovo regime, una nuova forma di Stato. Dall’altra uno o più partiti di governo, arroccati in difesa di maggioranze senza reali alternative, finiscono con l’identificarsi con lo Stato stesso. La difesa della maggioranza equivale alla salvezza del regime, di qui una dinamica Stato – anti Stato che ha caratterizzato la vita politica dei tre regimi fino all’inizio degli anni 90.

L’impossibilità di un’alternativa ha condotto le forze di governo a oscillare tra tre diverse strategie gestionali:

la prima, “assimilazione nell’area di governo di frazioni minoritarie delle opposizioni disposte a trasformarsi”;

la seconda, la formazione, in certi momenti, di “blocchi” (elettorali, parlamentari, governativi) ad opera di forze tra loro in profondo contrasto, alleanze transitorie per far fronte a “nemici terzi” o a situazioni di emergenza nazionale;

la terza, tendenza alla chiusura in se stessa della classe dirigente fino alla reazione.

Di queste dinamiche Salvadori dà conto con una approfondita analisi dell’evolversi dei sistemi politico-istituzionali, della vita dei partiti e delle diverse soluzioni da questi adottate nel corso dei 150 anni di unità nazionale.

Con la crisi del 92/94, che Salvadori definisce “crisi di sistema” in quanto è l’intero sistema politico che va in crisi, diversa dalle precedenti perché non dà vita a un nuovo regime istituzionale, si apre finalmente la possibilità di una alternanza di governo. Tuttavia la crisi di sistema ha riprodotto, mutatis mutandis, le condizioni della “guerra civile ideologica” permanente. I principali partiti della destra e della sinistra hanno continuato a delegittimarsi, addebitandosi reciprocamente intenti, veri o falsi, di costruzione di un nuovo regime illiberale.

 Le conseguenze dell’anomalia italiana sono molteplici e sono alla base delle difficoltà attuali e della nuova “crisi di sistema” che si è aperta nel 2011 e non si è ancora conclusa.

La prima e più grave conseguenza del sistema politico bloccato nato con il regime monarchico – liberale e riprodottasi nei successivi regimi è la “nazione debole”. Vale a dire: “La persistente incapacità, da parte delle diverse forme di governo, di integrare il nucleo principale degli strati sociali subalterni nello Stato e nel sistema politico…”, da ciò una estraneità delle masse popolari e una loro incapacità a riconoscersi in maniera forte nella nazione, intesa come "prevalente volontà da parte delle diverse componenti della società di vivere insieme, di sentire come superiori gli elementi dell'unione rispetto a quelli delle divisioni, di accettare come necessarie e positive le regole che stanno alla base della Stato e delle sue istituzioni, vale a dire di condividere un'idea del bene pubblico capace di subordinare a sé le reti degli interessi particolari".

Questa estraneità delle masse popolari, che in alcune fasi si è tentato di correggere con strumenti inadatti (il quasi suffragio universale di Giolitti o la retorica nazionalista fascista), unitamente all’identificazione tra partito/i di governo e Stato ha avuto come prima e più devastante conseguenza la pratica continua e pervasiva – nel tentativo di recuperare consenso politico – di un sistema corruttivo clientelare, che ha finito per coinvolgere fasce ampie di popolazione e nel contempo alimentare un ribellismo frustrante quanto inconcludente in altre aree sociali e politiche.

Corruzione, clientelismo, ribellismo, trasformismo, “blocchismo”, consociativismo, continue scissioni e frantumazione dei partiti, anti statalismo, particolarismi, privilegi di casta, sono tutti fenomeni che hanno caratterizzato la vita dei sistemi politici dell’Italia unita e che per Massimo Salvadori hanno la loro origine nel sistema bloccato e nella guerra ideologica permanente. La cui nascita l’autore fa risalire a due condizioni iniziali: la vita politica del regno di Piemonte e il grande isolamento delle forze che hanno gestito il processo unitario e la prima fase del nuovo Stato italiano.

Il modello “trasformistico” che caratterizza la vita politica dell’Italia unita trova il suo antenato nel “connubio” realizzato da Cavour nel 1852.

Lo Stato liberale – dice Salvadori – nacque… come uno Stato posto in condizione di assedio permanente da parte di una molteplicità di forze di opposizione aventi un’ampia e, nel caso dei cattolici persino enorme influenza, che non lo consideravano legittimo e quale proprio Stato”. “Il rapporto fra le parti risulterà dunque “bloccato” fin dall’inizio di una storia formalmente unitaria ma nella sostanza segnata da una profonda “divisività”. Ogni alternativa di governo era da escludersi”.

E qui viene la prima obiezione a Massimo Salvadori. Se è vero che le forze politiche liberali si trovarono in una condizione di isolamento a dover fronteggiare repubblicani, Vaticano e briganti del meridione peninsulare, ciò non fu la conseguenza di un arbitrario comportamento dei capi politici e religiosi, ma la conseguenza della mancata partecipazione delle masse popolari al processo unitario e al passaggio dall’ “ancien régime” nobiliare alla guida politica della borghesia.

L’isolamento fu la scelta di una piccola e rapace borghesia, 419.000 erano gli aventi diritto al voto del primo parlamento italiano su una popolazione di 22 milioni di abitanti, che approfittando dell’apatia della massa sterminata di contadini poveri, si guardò bene dal soddisfare le richieste di riforma agraria degli unici contadini che parteciparono al processo unitario: i contadini siciliani.

In Francia, ma lo stesso processo è rintracciabile negli altri Stati dell’Europa occidentale, una ben più numerosa borghesia (intorno ai due milioni) dovette fare i conti con il proletariato parigino che il 14 luglio diede l’assalto alla Bastiglia e con milioni di contadini che nel mese e mezzo successivo diedero l’assalto ai castelli dei nobili nelle campagne francesi. Lo Stato moderno francese è nato con il contributo di tre soggetti sociali, quello italiano con la sola piccola e rapace borghesia. Di conseguenza nessuna battaglia di Valmy c’è nella nostra storia risorgimentale, ma solo lazzari, sanfedisti e briganti.

Senza nulla togliere alla straordinaria e lucidissima analisi del Salvadori, è nella mancata partecipazione delle masse popolari al processo unitario e al liberalismo che va ricercata l’origine dell’anomalia italiana del “sistema bloccato”.

Una seconda osservazione riguarda l’uso del concetto di anti Stato che Salvadori applica alle mafie. Tutta la letteratura antimafia, a partire da Falcone, è unanime nel respingere l’uso di questo concetto per definire le mafie italiane. Ma è probabile che qui Salvadori abbia voluto marcare la profonda antitesi tra valori alla base dello Stato moderno con quelli premoderni alla base delle organizzazioni criminali di tipo mafioso.

Infine, va rimarcata la mancata definizione da parte dell’autore del movimento 5 stelle come forza anti regime o anti Stato. In ognuna delle crisi di regime o di sistema che Salvadori analizza vi è sempre una nuova forza politica che appare improvvisa e che si pone come antitesi totale alle vecchie forze di maggioranza e di opposizione del precedente regime o sistema politico entrato in crisi. Questo ruolo lo assolse il fascismo nel 22/24, Guglielmo Giannini e il suo movimento dell’uomo qualunque nel 45/48, la Lega Nord e in parte anche Forza Italia nel 92/94.

Oggi M5s si pone come la forza politica che, rifiutando ogni rapporto con la destra berlusconiana o la sinistra PD e Sel, mira a conquistare la maggioranza assoluta per instaurare un nuovo regime fondato sulla democrazia diretta, la “decrescita felice”, la fuoriuscita dall’euro e la chiusura in sé dell’Italia.

In conclusione, l’autore non ci dice cosa fare per risolvere l’anomalia italiana e questo è comprensibile in quanto non è compito di uno storico ma dei politici; tuttavia Salvadori ci consegna uno straordinario strumento interpretativo della storia politica italiana che ci consente di comprendere i fenomeni che si agitano nella nostra quotidianità a partire dalla crisi del berlusconismo dell’autunno del 2011.

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