Ma cosa vuole Marchionne?

Vorrei entrare nel merito della sostanza delle richieste fatte da Marchionne partendo dalla sua visuale e dalle argomentazioni che i migliori nostri politici, giornalisti e sindacalisti portano avanti da decenni. Marchionne ha confermato che il paese è in declino. Certo non si può certo dire che il suo osservatorio sia parziale o non privilegiato. Conosce la competitività (come dato oggettivo) del nostro paese e di altri paesi che conosce perchè investe e ci lavora. E d'altra parte tutti i commentatori e giornalisti filo governativi o paragovernativi non possono che confermare e lo fanno costantemente questo dato incontrovertibile e d'altro canto non possono che confermare che nulla viene fatto per contrastare questo trend e la nostra classe dirigente nulla ha da proporre ed hanno ben altro di cui occuparsi e di cui discutere. Dal punto di vista del capitale bisogna dare atto alla Fiat di essersi fatta avanti, di aver proposto un progetto per uscire da questa situazione è chiaro, limitatamente al suo campo di azione. Cosa ha chiesto in cambio degli investimenti promessi e messi sul tavolo. Che questi stessi siano profittevoli che gli vengano garantiti livelli di produttività adeguati e livelli di governabilità dei processi produttivi nei propri stabilimenti. Cosa darà in cambio oltre al lavoro in aree depresse del paese (in periodo di perdita di posti di lavoro)? Garantirà che i livelli del salario ne beneficeranno. Quindi salario e posti di lavoro in cambio di produttività e governabilità dei processi produttivi. Vi sono forse in cambio dei progetti alternativi?
Si è fatto avanti qualcuno proponendo in cambio qualcosa di diverso rispetto a produttività e governabilità della forza lavoro? La critica ricorrente, l'unica che ha unito il mondo politico è stato solo quella che la Fiat ha ricevuto aiuti di Stato e che quindi ha dei doveri verso lo Stato. A questo si può rispondere (sempre rimanendo nella logica padronale) che il bilancio del dare/avere è in pareggio. In cambio degli aiuti la Fiat ha prodotto sviluppo e lavoro per anni in zone del paese abbandonate da tutti, zona dove imperava ed impera mafia e camorra e dove nessuno ha mai messo piedi. Ma il punto non è questo. Pretendere che la Fiat o qualsiasi altra impresa debba rispondere a non meglio "obblighi morali" e non a criteri di economicità significa condannarla a scomparire in breve tempo accordi tipo incentivi in cambio del mantenimento di uno stabilimento in perdita, hanno condotto la Fiat e non solo la Fiat, sull’orlo del baratro nel passato. L’unico modo per garantire un futuro alla produzione di auto in Italia è che la Fiat vi rimanga perché è conveniente produrre qui. Perché gli investimenti siano proficui, e che diano dei ritorni in termini di utili e dividendi agli azionisti. Sono questi gli argomenti a cui rispondere, è questa la logica con cui confrontarsi. E' qualcuno, oggi nel mondo politico, sindacale capace di controbattere rimanendo sullo stesso piano a queste argomentazioni? Chi lo fa è perdente, chi si attacca a questioncelle di tipo formalistico discorsivo, lo fa perché incapace di portare argomentazioni forte sul piano sostanziale.Occorre portare la discussione su argomentazioni da un altro punto di vista, sulla questione del modello di sviluppo, sul futuro di cosa produrre e come produrre, da un economia di scala ad una economia dei beni, su come trasformare il concetto di produttività e valorizzazione tra valore di scambio delle merci in valore d'uso dei beni. Ma qui non c'è Carniti che tenga
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