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Lingua Madre

L’immagine della Monnalisa con le cuffie in testa, il volto di De André sovrapposto all’originale: Lingua Madre è il podcast di Franco Pistono, maestro di musica, letterato e pedagogista. Direi anche poeta e saggista, direi persona brillante e dai vari talenti: uno spirito vivo che ho avuto il piacere di conoscere.

Ogni mercoledì un appuntamento, in una sperimentazione progettata ad un anno, poi vedremo. Franco mi dice che si diverte, che ha il suo angolo operativo che lo attende: il microfono, la sedia, la situazione. Lui che prepara l’inizio e la coda, lui che registra, lui che definisce i canali di rilancio.

Lingua Madre è il titolo stabilito perché questo lavoro nasce dalla passione per la lingua, la lingua madre, che, in quanto lingua e in quanto madre, è generatrice di mondi: pensieri e parole si uniscono nella generazione del senso, ed è proprio a questo che Franco vuol far pensare. Ciò che lo affascina e con cui ci corteggia.

 La sua voce nello sfondo, mentre si uniscono i punti – per usare le sue parole – in un viaggio che scivola intelligentemente tra forme espressive diverse: l’uomo che espone sé stesso, a suo modo, in tempi diversi, parlando di sé. Interessante il connubio di musica, letteratura e scultura: vita che scorre nella sua poesia.

E se l’Antologia di Spoon River ha ispirato De André, il canto di questi riesce a evocare in Pistono un ricordo altro, apparentemente lontano: dalla musica alla danza, alla corporeità statica che rompe gli schemi e si fa movimento, facendo lo spazio in modalità circolare, emotiva, spirituale: la Menade danzante di Scopas, un’opera meravigliosamente moderna che ha visto la luce nel 4 secolo a. c.

 Il suonatore Jones, De André lo chiama per nome perché da solo esprime, incarnandolo, un modo forte di assaporare la vita fino alla consunzione letale, fin quando ”resterà solo un flauto spezzato, ricordi e nessun rimpianto”.

La terra si mostra nei suoi molteplici aspetti: terra arsa e polverosa che va coltivata, la terra che consente benessere a chi si frega le mani per aver venduto i propri buoi, e la terra che sostiene la danza, smossa dal vortice vivo del tessuto di una gonna: la terra che nutre non solo le membra nelle sue esigenze essenziali, ma arriva fino allo spirito, accendendo memorie e pensieri, emozioni che risuonano dentro esigendo di essere esposte e condivise. La terra che è il cuore, e “non è possibile pensarla migliore”.

Vibrazioni, suoni e movimento svelati in un canto voluto, impellente e conosciuto, un canto che Jones – e con lui tutti noi – non può più smettere di suonare, soprattutto adesso che anche gli altri lo sanno che lui sa suonare, a lui che piace lasciarsi ascoltare

Libertà, libertà di esistere attraverso emozioni, oltre le necessità più stringenti, sulle note di un cuore che vibra.

Franco ci dice con tono fermo che a lui piace accostare suoni e parole, lo fa con senso estetico ed intento educativo: il linguaggio crea mondi, li svela evocandoli, accompagnandoci in quella terra di mezzo tra l’esibito e l’alluso.

Un invito gentile, il suo, a muovere un passo e poi altri ancora, nella danza del tempo che abbiamo per essere uomini.

 

 

 

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