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Libia, il "maquillage" politico di Sarraj e le avance salafite di Haftar

Mentre i combattimenti fuori Tripoli proseguono, emerge un cambio di strategie politiche tra i due leader. Con Sarraj, che nei mesi scorsi sembrava aver perso l'appoggio internazionale che cerca di evidenziare i limiti di Haftar, carnefice e violento, sempre meno esponente della società civile avulso all'islam politico e sempre più appoggiato dalle milizie salafite. Ultima la brigata "Subul Assalam". 

Quando il calendario batte i diciassette giorni di un sanguinoso conflitto militare nel mezzo dello stallo nei combattimenti tra i due schieramenti, quello cirenaico di Khalifa Haftar e quello tripolino di Fāyez Muṣṭafā Sarraj, sembra aprirsi un nuovo capitolo, non più tra le forze civili e quelle islamiste. I fasti, decisi, dell’avanzata da Garian verso la capitale libica si sono arrestati alle porte della città, con le truppe fedeli al governo legittimamente riconosciuto dalla comunità internazionale, su tutte quelle di Misurata, per nulla intenzionate a trattare con l’ex colonnello di Gheddafi, pronte a difendere col “coltello tra i denti” l’ultima enclave non ancora avulsa all’avanzata delle milizie ribelli.

A Tripoli non si passa, sembrano dire. Con loro la Tripoli Protection Force assieme ad una serie di gruppi e sottogruppi molto eterogenei per provenienza politica, annoverabili comunque all’Islam politico, e finora assai invisi ad ampie fette della società civile libica, e pronti a lanciare una funesta controffensiva alle truppe dell’Esercito Nazionale Libico (LNA). Lo scontro, dopo gli attacchi missilistici contro i civili, nel quartiere di Abu Salim, poco a sud dalla Second Ring Highway e dal centro città, proseguono in periferia: a Wadi Rabie, a una trentina di chilometri a est di Tripoli, e Suani Beni Adem, a circa 25 chilometri a sud ovest della capitale, ad Ain Zara, a tredici chilometri dalla centralissima piazza dei Martiri, e a Khallet al-Furjan. Scontri accesi anche a Garian, la roccaforte militare a un centinaio di chilometri a sud ovest della capitale, colpita in queste ore dai blitz aerei delle truppe di Sarraj, e alla base di Al-Wotya, a 50 chilometri, sempre in direzione sud ovest, verso il confine con la Tunisia.

C’è la rabbia per quello che, pubblicamente, Sarraj ha chiamato un tradimento. Una rottura dopo gli avvicinamenti avvenuti a Palermo e ad Abu Dhabi, in cui le due anime forti del Paese si erano accordate per portare il Paese ad elezioni democratiche. Il tutto alla vigilia di Ghadames, il summit sotto l'egida delle Nazioni Unite, che era in programma dal 14 al 16 aprile, in cui le due parti si sarebbero dovute avvicinare ulteriormente.

Ma c’è di più. Perché oltre a respingere le folate dell’esercito di Haftar fuori da Tripoli, dove al momento non si combatte, Sarraj sta intessendo un tentativo di maquillage politico, invocando il rispetto delle leggi umanitarie internazionali, che impongono di limitare gli effetti del conflitto armato e il rispetto per il nemico. Un tentativo di riconquistare consenso sul versante interno, visto che in molti ritengono Sarraj un fantoccio piovuto dall'alto per volere della comunità internazionale, ma anche su quello esterno, verso quella comunità internazionale che nei mesi passati ha subdolamente evidenziato i suoi limiti. 

Dall'estero è ferma la richiesta di un cessate il fuoco. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) i morti sarebbero 220. Di cui 77 sono bambini. Mentre i feriti sarebbero tra i 1.000 e i 1.500 i feriti. Gli sfollati a Tripoli e dintorni, secondo un aggiornamento dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha) sarebbero 30.200. Una tragedia umanitaria che rischia di rinvigorire gli sbarchi calndestini verso l’Europa e riaccendere le polemiche nelle cancellerie occidentali. Così Sarraj, il debole "sindaco di Tripoli", starebbe cercando di riportare il consenso internazionale dalla sua parte, cercando di apparire più in regola e meno violento del suo rivale, formalmente abbandonato dalla Francia, e con la Russia che segretamente tratta con gli Stati Uniti un disimpegno su altri tavoli. Sul piatto le aperture sul Venezuela, un altro polo energetico conteso tra Stati Uniti e Russia (e Cina).

Rimane da vincere la reticenza delle petromonarchie, Emirati Arabi Uniti su tutti, che in segreto finanziano le truppe di Haftar. Proprio in queste ore le truppe dell’LNA avrebbero ricevuto i rinforzi di Subul Assalam. Si tratta di una milizia salafita già attiva nel sud tre anni fa e che sarebbe pronta a dare manforte alle truppe di Haftar. Ecco che il suo esercito, formalmente quello Nazionale, appare sempre più legato alle frange più estreme dell’islam. Uno scenario che rischia di sbilanciare di nuovo i consensi a favore del "fragile" Sarraj.

Foto: ahmad_khalifa/Twitter

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