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Lega, la libertà non è la secessione

Vi invito a leggere il titolo sulle note della canzone del mitico Giorgio Gaber. Radio Padania Libera. Così l'hanno chiamata. E a dire il vero, sulla libertà di partecipazione - in diretta radiofonica - del popolo elettorale, fino a qualche tempo fa l'emittente faceva leva.

Durante le trasmissioni, chiunque poteva chiamare ed intervenire. Certo gli interventi non erano da premio Nobel: si trattava più che altro di proclami, farneticazioni nordiste e roba del genere, ma tant'è, o era, appunto.

Il tempo al passato è d'obbligo perché dopo quello che è successo a Varese, con l'imposizione di Maurilio Canton a segretario provinciale, tutto è un po' cambiato. Quello della radio è il caso campione: il giorno seguente agli spintoni e alle tessere strappate nella capitale storica del leghismo, quella libertà di partecipare è stata, come dire, sospesa e rimandata a tempi migliori.

Motivo: la paura di ricevere insulti - sai che tipi sono i leghisti - e malcontenti in genere, per quello che era successo. Il partito è stato simbolicamente svuotato dal popolo del partito. A dire il vero, anche in questo caso, la situazione è da parecchio tempo che non è rosea.

Diciamo pure, che i primi nodi, belli grossi - difficili da districare anche per l'esperta di Sunsilk, Ouidad (oddio magari è musulmana e il paragone, non quello della tv che adesso considerano un traditore, sembra una beffa) - sono arrivati al pettine di Pontida. Quei fischi che si prese Bossi, furono un segnale forte, forse il primo diretto, di malcontento dal basso.

Non dal basso nel senso geografico (sia mai) ma dal basso nel senso del partito: dalla base elettorale, che ha fatto forte la Lega in tutti questi anni. Quella stessa gente del Nord, che era chiamata e partecipava alle trasmissioni radio, e che adesso si trova la voce tappata, imbavagliata, per paura che la protesta si diffonda. 

Quella gente, che credeva in quello che si diceva nel partito - a cominciare dalla Secessione - e che adesso ha perso fiducia. Berlusconi e il berlusconismo hanno inquinato anche la Lega. E gli elettori se ne sono accorti. E una Lega senza base elettorale è nulla, inesistente. La notizia, di cui il caso di Varese è soltanto l'ultima delle cartine tornasole, è la fine della fiducia del popolo verso il partito.

A questo va aggiunto che quel partito è diviso, è sull'orlo della disperazione: distrutto da un leader cocciuto come pochi, assetato e accecato dal potere unilaterale, che ha prodotto una spaccatura - anche generazionale - all'interno del meccanismo. I 4 maroniani che sembra abbiano boicottato la votazione di ieri, dove il Governo è andato sotto sull'assestamento di bilancio, sarebbero una conseguenza delle possibili implicazioni interne.

Le liti di Varese anche. Le forzature continue di Bossi e del Cerchio Magico, pure. Roba da resa dei conti imminente. Roba che fino a che dura il ruolo di potere può star ancora in piedi, ma poi si sgretolerà.

Altra questione, poi, collegata alla discontinuità che si è creata sia con l'elettorato, sia con le divisioni interne, è il ruolo nel governo. I rapporti con Berlusconi, reciproco alleato unico e possibile, sono tesi: si fa il pugno duro su tutto. Non è un segreto il feeling tra Bossi e Tremonti, e sull'assenza del Ministro dell'Economia alla votazione di mercoledì, solo uno cretino può prenderla come una questione tecnica e solo un irrispettoso (della nostra, di cittadini italiani, intelligenza) può provare a farcela passare. 

La situazione del Carroccio è complicatissima. Forse è il peggio messo dei partiti italiani. Perché non ha la forza, anche numerica, per assorbire divisioni e non ha la coesione per affrontare i cambiamenti. Se posso azzardare una previsione, credo che si tirerà avanti ancora per un po': in fondo comandare piace e serve a tutti. E magari, anche nel caso di nuove elezioni, potrebbero andare insieme.

Il passaggio cruciale, sarà una eventuale sconfitta elettorale: a quel punto ci sarà l'emancipazione del partito, con possibili scissioni

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