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Le nuove norme anti-corruzione

Le nuove norme anti-corruzione

Nell’attesa delle decisioni del governo per combattere il fenomeno della corruzione e della concussione nella Pubblica Amministrazione, è utile rileggere l’art. 319 del codice penale, che riguarda questo reato.
 
Il pubblico ufficiale che lo commette deve ricevere o accettarne la promessa, per se stesso o per un terzo, denaro o altro beneficio; e ciò deve ottenere per omettere o per ritardare un atto del suo ufficio, ovvero per compiere un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio.
 
Come si vede, non è contemplato il caso, in cui il denaro o il beneficio sono corrisposti al funzionario al solo scopo di fargli compiere il proprio dovere; e questa sembra una carenza della norma. Perché spesso e volentieri accade proprio questo, ossia che la corruzione avvenga a fronte di nulla, con il solo scopo di evitare che le pratiche si attacchino alle scrivanie degli impiegati ed ivi rimangano, come se una gigantesca calamita le tenesse incollate. Insomma, se un pubblico funzionario approfitta delle sue prerogative per ottenere un concreto beneficio, anche con la sola minaccia di “mettersi per traverso”, ebbene, qualunque sia la motivazione del corruttore, egli dovrebbe essere sempre e comunque perseguito. Non si capisce proprio perché non sia già così (a meno di pensare all’intervento di una lobby della burocrazia).
 
Un altro aspetto in cui la normativa appare carente è quello della trasparenza della Pubblica Amministrazione. Dovrebbe essere considerato reato il non organizzare gli uffici pubblici in maniera da consentire e da favorire un dialogo trasparente con l’utenza nonché l’attivazione di meccanismi di controllo da parte dei cittadini; ad esempio attraverso gli Uffici per le Relazioni con il Pubblico.
 
Su questo punto il vostro reporter, a sostegno della sua tesi, vorrebbe citare una recente intervista di Luca Ricolfi al Giornale di Sicilia, in cui il sociologo, autore del saggio Sacco al Nord, indica la protesta e la mobilitazione dinanzi ai malfunzionamenti della Pubblica Amministrazione come la principale azione del Sud per il proprio riscatto; e cita anche, al riguardo, Albert Hirschman ed il suo saggio "Lealtà, defezione, protesta". Orbene, da questo rispetto, impedire ed ostacolare questa giusta e virtuosa reazione dei cittadini, siano essi meridionali ovvero settentrionali, dovrebbe entrare a far parte delle azioni perseguite dal codice penale. E lo stesso vale per il mobbing da parte degli uffici pubblici in reazione a reclami e ad azioni dell’utenza. Perché spesso e volentieri l’assenza al Sud di reazione a fenomeni inaccettabili come i cumuli di spazzatura a Napoli ed a Palermo, citati da Luca Ricolfi, nasce proprio dalla paura della reazione alla protesta da parte dell’inefficiente burocrazia e della classe politica delle amministrazioni locali, strettamente legate fra di loro; proprio come l’omertà nei confronti delle attività della criminalità organizzata nasce dalla paura delle reazioni di quest’ultima.
 
Una variazione della normativa penale nel verso soprariportato dovrebbe comunque portare la Magistratura a porre al centro il cittadino come titolare di diritti e di doveri, abbandonando a se stesse le sirene della Ragion di Stato, sinora fin troppo ascoltate: oggi, nel profondo Sud, protestare per i propri diritti violati comporta il concreto pericolo di vedersi perseguiti e condannati.
 
Speriamo che, su questi temi, le riflessioni dell’Esecutivo siano esaustive ed esso giunga a decisioni meditate; anche se le incombenti elezioni amministrative di medio termine possono indurre a decisioni frettolose.

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