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Le Mascìare – Streghe dal Sud Italia

I gatti erano già stati ufficialmente identificati come creature demoniache dalla bolla papale Vox in Rama emanata da Gregorio IX nel 1233, in cui i gatti neri venivano ufficialmente dichiarati strumenti del demonio e/o incarnazioni di Satana.

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Le donne che rifiutavano l’esistenza di Dio e a cui ci si affidava perché capaci di curare con le erbe aromatiche erano definite "streghe". Erano donne prive di doni, ma con una grande conoscenza. Per millenni, infatti, chiunque stesse male cercava i rimedi di una strega. La loro demonizzazione in età medioevale ha poi portato, nei secoli, a diverse e oscure leggende, tra cui quelle della Gatta masciàre.

Nei vicoli della Città Vecchia di Bari e nella provincia, la gatta masciàre era tra le streghe più note. Il termine che deriverebbe da Megera, una delle tre tremende Erinni, cioè personificazioni femminili della vendetta soprattutto nei confronti di chi colpisce la propria famiglia e i parenti, verrebbe anche dal verbo greco Μεγαιρα, “invidiare”. Le masciàre erano coloro che lanciavano il malocchio, spiavano nella case degli uomini, si arrampicavano sui tetti, facevano ammalare i bambini e si trasformavano in terribili gatti neri[1] attraverso l’uso di un particolare unguento. Da rito, la donna che in segreto era una strega aspettava che tutti in casa si addormentassero e, salita sul tetto della sua abitazione, si denudava guardando la luna. Cospargendosi con l’olio masciàro, recitava la famosa formula “Sop’a spine e ssop’a saremìinde / M’àgghi’acchìa a Millevìinde.” (Su spine e su (fra) sarmenti, mi troverò (sarò tra poco) a Malevento[2] (dalla strega.) e lanciandosi nel vuoto si trasformava in una gatta, per recarsi al sabba beneventano e raggiungere Lucifero sotto il grande albero di noce. Nel XVI e XVII secolo la presenza del noce e delle riunioni sabbatiche a Benevento è documentata nelle diverse relazioni e nei processi della Santa Inquisizione.

La leggenda delle tremende masciàre era così temuta nella Città Vecchia che per tanto tempo si credette che in un determinato arco del borgo antico, nei pressi del Castello Svevo, l’Arco delle Streghe appunto, si potessero incontrare streghe e demoni richiamati da oscuri rituali. Il loro compito consisteva nell’operare in contrasto con i comandamenti della religione cattolica. La gente, spaventata, evitava dunque il passaggio da quelle stradine che portavano all’arco e se costretti tentavano di proteggersi attraverso l’uso dello scongiuro, che avrebbe riportato la supposta gatta masciàre alle sue sembianze umane. Il rito così funzionava: bisognava farsi il segno della croce per tre volte e ripetere “Driana meste ca va pela vì, degghìa ngondrà Gesù, Gesèppe e Marì” (Maestra Diana che vai per la via, devo incontrare Gesù, Giuseppe e Maria.)

Si tramanda che una volta un marito si svegliò durante la notte e, non trovando la moglie accanto a sé, sospettò che fosse una masciàre. In assenza della donna rovistò per la casa e, nascosta in un posto inconsueto, rinvenne una bottiglietta con un unguento dallo strano odore. Svuotò la bottiglietta e sostituì il contenuto con dell’olio di oliva. La notte dopo, la donna ignara della sostituzione si unse pronunciando la formula e si lanciò nel vuoto; ma la trasformazione non avvenne e rimase stecchita al suolo per il violento urto.

Nei suoi studi di antropologia, così mi piace definirli, Alfredo Giovine ci tramanda che queste streghe, oltre che di gatto, potevano prendere la forma anche di altri animali e che una volta, il popolino narrava, queste si trasformarono in oche. “Mio nonno materno – scrive Giovine – soleva raccontare che ai suoi tempi due bellissime oche, dalle sembianze stranamente umane, furono catturate in piena notte in un vicolo della Città Vecchia e messe in un cassone. All’alba si trasformarono in donne nude che cercavano di coprirsi per la vergogna.”

La prossima settimana pubblicherò “Il sabba e le streghe di Benevento

Tratto dalla sezione articoli e ricerche del libro “La Tagliatrice di Vermi e altri racconti”, di Gaetano Barreca, in uscita a fine settembre 2017 per la Wip Edizioni.

Per saperne di più vi invito a visitare la pagina www.gaetanobarreca.com
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[1] I gatti erano già stati ufficialmente identificati come creature demoniache dalla bolla papale Vox in Rama emanata da Gregorio IX nel 1233, in cui i gatti neri venivano ufficialmente dichiarati strumenti del demonio e/o incarnazioni di Satana.

[2] In antichità la città di Benevento era chiamata Maleventum con antica discendenza dalla parola osca o sannita dove la radici Mal- significava pietra e dunque nulla aveva a che fare con il malum latino. Eppure, dopo la vittoria nel 275 a.C. dei Romani contro Pirro e i suoi elefanti, nel 275 a.C. i vincitori tennero a cambiare il nome che consideravano di malaugurio. Maleventum divenne Beneventum.

 
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