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La spending review, senza logica, è priva di senso

La spending review non consiste solo nei progressivi tagli che si operano sulla sanità e sull'università pubblica (per poi destinare fondi agli atenei privati) e, nondimeno, con il blocco totale delle assunzioni nel pubblico impiego a partire dal 2016. C'è tanto altro ancora da poter "sforbiciare" ed eliminare

Mentre sono ancora in corso i dibattiti nelle Camere, con eventuali modifiche da apportare alla prima bozza di spending review, già sono iniziate le discussioni su “questa nuova manovra” e “sui tagli lineari” decisi dal governo Monti.

Voglio esordire dicendo che, in linea di principio, è giusto procedere con una revisione della spesa per abbattere una parte dell’enorme spesa pubblica. E’ ovvio però, che il tutto vada eseguito in una logica meritocratica e funzionale allo sviluppo del Paese. Se devo tagliare il piccolo ente di ricerca per avere un risparmio di qualche milione nell’immediato ed azzerarmi ogni possibilità di nuovi brevetti per il futuro, vuol dire che non sto proseguendo nella logica sopraelencata. Discorso diverso è continuare a finanziare interi settori per tenerli in vita, quando la concorrenza ha imparato a stare sul mercato senza finanziamenti pubblici (l’esempio dei giornali è quantomai appropriato).

Entrando nel dettaglio della “manovra”, tra le varie misure alcune sono particolarmente meritevoli di elogio: il dimezzamento delle auto blu, come il taglio del 20% dei dirigenti della PA, anche se ognuno con i suoi limiti. Andrebbero limitati soprattutto gli incarichi dirigenziali a contratto, troppo spesso concessi per fare un favore ai politici. Si cerca inoltre di venire incontro agli esodati, anche se la questione non prevede facile soluzione fino a quando non riusciranno a concordare, tra Inps e Ministero del Lavoro, il numero esatto e la strategia adatta da intraprendere.

Un ulteriore taglio di circa 200 milioni alle università mi sembra inappropriato: “Al fine di ottimizzare le risorse”, come prevede il testo, si finisce per mettere ancora più a rischio il diritto allo studio, e si inaugura un nuovo periodo di innalzamento delle tasse. Ancora, il testo prevede la progressiva riduzione delle assunzioni nella PA fino al (parziale?) congelamento nel 2016. Ho riportato un interessante grafico de Linkiesta visibile al lato, dove se il tasso di assunzione nel 2007 era del 4,3%, e già adesso siamo sotto al livello del 2% grazie alla riforma Brunetta, e con un tasso di disoccupazione giovanile che quasi tocca il 40%, come arriveremo nel 2016? Quali (tristi) prospettive si aprono per i disoccupati e per coloro che finiranno per perdere l’attuale lavoro?

Di sicuro chi questo provvedimento l’ha bollato come manovra, sulla scia di un “Salva-Italia”, ed ho fornito le proprie delucidazioni al riguardo, non ha sbagliato. Attualmente la crisi dei consumi, e il continuo innalzamento della pressione fiscale, sta portando verso il baratro il ceto produttivo del Paese. E’ chiaro che voler fare una seria azione di revisione della spesa, vorrebbe dire abbattere tutti i privilegi che ancora permettono a delle caste di vivere e prosperare alle spalle di chi lavora. Partiamo da qui, da quella piccola minoranza che ancora detiene gran parte della ricchezza e che contribuisce ad appesantire la macchina statale. Dove sono finiti le razionalizzazioni degli ordini, l’abbattimento delle province e dei costi della politica, la revisione della spesa militare e un contenimento della speculazione finanziaria?

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.63) 5 luglio 2012 20:05

    Super Mario >

    Ancora 24 ore fa Mario Monti ribadiva che l’Italia “non ha bisogno di sostegno” per far fronte al disavanzo.
    Oggi Mario Draghi avverte che la crescita nell’area Euro “resta debole” e che non mancano i “rischi al ribasso”.

    Di colpo gli interessi da pagare sui Btp decennali sono risaliti al 6% e la nostra Borsa è tornata in rosso.
    E’ passata solo una settimana da quel Consiglio Europeo del 29 giugno che ha visto Monti promotore e “protagonista” dello scudo anti-spread.

    Forse non basta chiamarsi Mario per diventare “super”.
    Governare non è mai performance tratta da un Dossier Arroganza

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