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La sofferenza che ti crea il deserto intorno

"Quando ridi, tutti ridono con te, quando piangi piangi da solo!"Sembra una frase fatta ma nel caso degli esseri umani ha troppo spesso un fondo di verità. Come se la sofferenza fosse una molla che fa scattare un meccanismo di allontanamento dai tuoi simili.

Parli, ti sfoghi come puoi, urli il tuo dolore... ma pochi o nessuno sono davvero pronti ad ascoltarti e ad accoglierti. Se stai male fisicamente, qualche speranza ce l'hai.
Ma se questo male ti colpisce nel profondo del tuo essere, allora le porte che si chiudono a ripetizione diventano ogni giorno di più. Vieni tacciato di persona insoddisfatta, incapace di apprezzare ciò che ha e perfino come un essere egoista.
 
Nessuno che si prenda la briga di ascoltarti davvero, tutti presi da mille impegni, a correre dalla mattina alla sera dietro a priorità che consumano la vita e tu che appari sempre più invisibile se non insopportabile ai loro occhi. I più fortunati di questo malessere, si fa per dire, rimangono in casa con i loro famigliari, a vivere una esistenza di costante e crescente solitudine. Altri finiscono in strutture sanitarie dove si ritrovano ancora più soli con un personale vincolato dai ritmi del lavoro quotidiano e altri individui costretti a vivere anche situazioni peggiori della propria e che non fanno che aggravare ulteriormente la sofferenza che si prova sulla propria pelle.
 
E poi ci sono quelli che abbandonati da tutto e da tutti finiscono sulla strada, associando un malessere fisico crescente ad una sofferenza interiore senza fine.
Praticamente non esistono più per la società, nemmeno all'anagrafe. come se fossero dei veri e propri morti viventi.
 
Per fortuna una minoranza di anime buone, di angeli vestiti da esseri umani, esiste ancora ma le loro imprese nel salvare questa umanità dimenticata sono davvero immani.
Oggi, al tempo del Covid 19 sembra che le persone imprigionate in mille sofferenze siano ancora più ignorate e lasciate sole nel loro infinito dolore.
E a volte viene da chiedersi davvero dove sono finiti i tanto decantati sentimenti di cui gli esseri umani si vantano per accreditarsi come superiori al resto del mondo animale.
Quel mondo animale io l'ho osservato e una cosa mi ha particolarmente colpito nei branchi di lupi.
Quando si muovono in fila indiana, i primi sono sempre quelli sofferenti e più deboli mentre a chiudere la colonna sono sempre quelli più forti. Siamo proprio così sicuri noi esseri umani di fare altrettanto ogni volta che ci muoviamo in questa vita?!
 
Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Marina Serafini (---.---.---.72) 7 novembre 2020 02:22
    Marina Serafini

    Io credo che la sofferenza degli altri spaventi, perché costringe a fare i conti con sé stessi in maniera nuova. La nostra modalità frenetica di vita toglie tempo alla riflessione, non c’è tempo per pensare, tanto meno per vedersi proiettati in una realtà di disagio che possa sconvolgere il nostro tram tram. Poi accade: qualcuno, vicino, ha bisogno di noi. Occuparsene ci rallenta e mette tutto in discussione. Non è facile lasciare le certezze, tanto meno confrontarsi con una realtà imperfetta che è cosí distante da quella fotoshoppata che ci propinano i media ogni giorno. Anche gli anziani, nella pubblicità, sono sani e indaffarati, sono attivi e felici.. Ma la realtà concreta é altra cosa. I nostri organismi si logorano, sono a tempo. La società moderna si fonda sulla produzione, e chi è rimasto con poche forze resta fuori, in un limbo di chiaroscuro la cui gestione é demandata ad altri paria, a stranieri per lo più, definiti badanti.... L’umanità ha perso il valore della storia, della trasmissione e della memoria. Non sappiamo più valutare l’importanza dell’esperienza vissuta, perché oggi tutto si consuma rapidamente, tutto diviene obsoleto, superato. Una volta gli anziani erano rispettati, curati e venerati come fonte di saggezza e di consigli di vita; a loro erano affidati i sogni ed i giovani, affinché venissero orientato nel futuro...Oggi quegli stessi anziani sono costretti a raggomitolarsi nel loro passato, in isolamento doloroso e ossessivo, perché il presente non ha nulla da offrire nè da chiedere loro. In preda al folle egoismo colonizzatore, noi devastiamo e deprediamo, consumiamo e tagliamo i ponti alle spalle. Siamo vittime della cecità di chi non ha memoria: l’abbiamo persa, rinunciando ad una fondamentale risorsa per il presente e per il futuro.

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