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La regola dell’eccezione

Molto spesso i commentatori del costume fissano in frasi lapidarie comportamenti disdicevoli, che pesano sull'opinione pubblica, e che essa difficilmente trova la forza di rimuovere.

Il costume, del resto, è un abito confezionato su misura, con perfetta aderenza al carattere di un popolo. A declinarne la consonanza è l'esercizio di lungo corso, la cosiddetta abitudine.

Andrebbe, inoltre, attentamente considerata la riflessione etica di Aristotele, soffermatasi acutamente sulle "qualità delle disposizioni". Scrive nell'Etica Nicomachea: "...detto in una parola, le disposizioni nascono dunque dalle attività (a loro) simili. Perciò bisogna che le attività che produciamo siano di una certa qualità: è in base alle differenze di quelle che vengono dietro le disposizioni " ( libro II,20 ).

Se concordiamo con l'argomentazione aristotelica, non possiamo non ricavarne un pesante giudizio sulla qualità del costume italiano. Evidentemente le attività che abbiamo prodotto, noi italiani, non sono state di eccelsa qualità, se sono venute dietro disposizioni così negative.

Aggravano il giudizio sul costume degli italiani, per altro, molti autorevoli uomini di cultura, tra cui mi piace sottolineare Giacomo Leopardi. Nei Discorsi sopra lo stato presente dei costumi degli italiani scrive: "...così la vita non ha in Italia non solo sostanza e verità alcuna..ma nè anche apparenza. [..] Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi di questo abito di cinismo... Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano gli altri se non per essere rispettati e risparmiati essi stessi e lo conseguono. Ma in Italia non si consegiurebbe perchè dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari di armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri".

Scorrendo il costume italiano, voglio ora puntare l'attenzione sull'atavica assuefazione allo stato d'eccezione.

L'altro giorno Barbara Spinelli richiamava l'acida conclusione di Achille Campanile: "Ci sono regole che sono fatte di sole eccezioni. Sono confermatissime". Mi è venuta in mente la regola consigliata ai traduttori del latino: l'eccezione conferma la regola.

Allontanandomi dalla battuta, voglio mettere in risalto che, tra gli italiani, "l'eccezione" non è "lo stimolo" per cambiare, per innovare, riscattarsi, far chiarezza; altrimenti, è l'occasione per confermare, per conservare, per mantenere l'ordine stabilito (il disordine), ovvero per compiere l'abituale operazione gattopardesca.

La Spinelli evocava la criticabile prassi per denunciare la lunga sequenza storica dei patti con la Mafia, camuffati da apparenti e roboanti momenti di conflittualità.

Basterebbe questo a schiacciarci sotto le nostre responsabilità e a stigmatizzare le specifiche responsabilità dei politici che hanno permesso la trattative con la mafia (esempio eclatante di antistato).

Tuttavia si può ancor più allargare il paradigma per iscrivervi tutta la politica, condotta in Italia, costantemente sotto "la spada di Damocle" dello stato d'eccezione e quasi mai sviluppata , anche nei periodi di felice congiuntura, secondo linee di razionale programmazione.

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