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La passione e la direzione di Mentana

Il periodo di "libertà professionale forzata" di Enrico Mentana ha prodotto la narrazione della sua esperienza giornalistica nel libro "Passionaccia" (Rizzoli, 2009).

La passione e la direzione di Mentana

La creazione e la direzione del Tg5 di Mentana, ha avuto sicuramente molti pregi e pochi difetti, poiché ha spezzato il precedente monopolio della Rai e ha svecchiato il modo di fare informazione della televisione. Mentana è stato un direttore giovane che ha saputo fare il suo mestiere in una posizione difficilissima, essendo pagato dall’uomo più potente d’Italia.

La cosa che ho apprezzato di meno della sua direzione è stata l’eccessiva enfasi sulla cronaca nera, che asseconda troppo le pulsioni oscure e primitive dell’animo umano, impedendo così alla coscienza di riflettere più a fondo sugli altri accadimenti quotidiani. Ma negli affari televisivi l’audience è tutto e in una guerra mediatica chi nasce da zero e ha sempre il fiato sul collo di Berlusconi, non può permettersi certi lussi culturali.

Mentana ha affrontato senza pregiudizi Tangentopoli, su cui aveva le idee molto chiare: “solo gli ingenui potevano pensare che sarebbe bastata Mani Pulite per estirpare la mala pianta. E solo gli ipocriti potevano sostenere che le mazzette le avessero inventate i politici, e che servissero a finanziare unicamente partiti e correnti. Non era vero per molti motivi: perché appena una piccola parte del fiume delle tangenti finiva davvero alla politica, perché la corruzione investiva anche e soprattutto ruoli tecnici, perché molto spesso era interesse delle aziende pagare per ottenere lavoro a scapito della concorrenza… Non di rado le opere pubbliche, più o meno utili, si facevano solo per generare guadagni per chi le realizzava e per chi le commissionava. Funzionava così, funziona ancora così” (p. 56).

Nel libro il giornalista si toglie anche qualche sassolino dalle scarpe: nel 1993 “il rapporto annuale di Mediobanca evidenziava come Fininvest avesse debiti a medio-lungo termine per 2947 miliardi e debiti a breve per 1528 miliardi, per un totale di 4475 miliardi, a fronte di un capitale netto di 1053 miliardi” (p. 73). L’entrare in politica gli garantiva di prendere il coltello dalla parte del manico nei confronti delle banche. In realtà Berlusconi non fece nessun sacrificio e non corse nessun rischio. Aveva ben poco da perdere e con un grande colpo di audacia è passato dalle probabili stalle fallimentari alle invidiabili stelle del firmamento italiano.

Il professionista milanese cita anche un articolo misteriosamente censurato di Montanelli che scriveva: ”Da parecchie parti si sente dire che Berlusconi vuole entrare in politica lanciando un suo partito. Con me, che non lo vedo da parecchi mesi, lui non ne ha fatto parola. Ma questo può anch’essere dovuto al fatto che, avendo preso questa decisione, egli teme che io la disapprovi. Timore più che fondato perché se c’è un uomo disadatto alla politica è proprio lui. E lo è per le stesse ragioni – intraprendenza, coraggio, concretezza, spicciatività decisionale – che ne fanno un campione d’imprenditoria… Posso soltanto dirgli, a scanso di equivoci, che non vi trascinerà “il Giornale”, di cui non è più editore, ma del cui editore è pur sempre il fratello” (p. 86). Berlusconi ha molti pregi e un brutto difetto: “crede di più ai servi sciocchi che non agli amici critici” (p 96). E se “si è messo in politica per disperazione, è vero anche che si crede un incrocio tra Churchill e De Gaulle” (p. 99).

E così finì che nel 1993 Berlusconi “inviò ai Tg la famosa cassetta registrata, “L’Italia è il paese che amo…”. Scendeva in campo, è ancora lì” (p. 99).

Comunque Mentana sintetizza così l’attuale giornalismo italiano: “Accanto alle poche isole felici, alle avventure individuali, alle botteghe artigianali di grande inchieste, il panorama ci mostra redazioni sempre più simili a call center che a cucine dell’informazione, giornalisti più abituati al “copia-incolla” di agenzie e comunicati che a scrivere un articolo, direttori più attenti alle direttive superiori e agli equilibri interni che all’avventura quotidiana di pensare un giornale sorprendente” (p. 149). E da qui derivano anche i mali peggiori del mondo dell’informazione che lasciano il monopolio informativo nelle vecchie mani avare, invisibili e dispotiche dei tabù economici e dei pregiudizi religiosi, che i giornalisti burocrati e cortigiani non hanno mai il coraggio di affrontare.

Naturalmente si parla anche dell’ultimo strappo mediatico che ha reso Mentana un disoccupato di lusso: la sera della morte di Eluana Englaro, il 9 febbraio 2009, dopo la decisione di non limitare la puntata del Grande Fratello per lasciare il giusto spazio anche a Matrix, il giornalista italiano più equilibrista decide di dissociarsi dalla scelte della proprietà e quindi di dimettersi dalla carica di direttore editoriale di Mediaset.

Quindi in conclusione si tratta di un libro che aiuta a riflettere sui destini degli uomini e sui casi della vita (alla fine del libro si aprono risvolti psicologici molto interessanti).

Enrico Mentana è nato a Milano nel 1955. Ha esordito come giornalista al Tg1 nel 1980 e nel 1992 ha fondato il Tg5, che ha diretto per 13 anni. Nel 2005 è stato il fondatore e il direttore del programma d’informazione Matrix, diventando uno dei giornalisti più popolari della Tv (la trasmissione era gestita insieme a Davide Parenti, l’autore della trasmissione “Le Iene”).

P. S. Qualcuno con un minimo di buon senso e di pietà nei confronti della Patria potrebbe dire al presidente Berlusconi che nulla è per sempre e che solo i pazzi credono di essere indispensabili.

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