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La lunga, lenta, diseguale risalita: le cicatrici economiche da Covid

I precetti del FMI per il dopo pandemia. Buone intenzioni che peccano dell'abituale astrattezza. Gli italiani rischiano di convincersi di essere finalmente giunti nel paradiso del debito

L’ultimo World Economic Outlook del Fondo Monetario internazionale cerca di scrutare l’orizzonte della lenta risalita dagli abissi che l’attività economica globale ha visto nel secondo trimestre dell’anno. Il terzo trimestre, terminato da pochi giorni, porterà con sé una notizia già vecchia: il forte rimbalzo di attività, conseguente alle riaperture. Il quarto, con i suoi nuovi lockdown, rischia di riportarci condizioni economiche assai sofferenti. Ma nel 2021 che accadrà, magari col vaccino? E oltre? Il FMI guarda agli effetti persistenti della pandemia. Esercizio più politico del solito.

Secondo la capo economista del Fondo, Gita Gopinath, quella indotta dalla pandemia è una crisi che produce diseguaglianza, tra strati sociali e tra paesi. Colpisce i giovani, le donne, i cosiddetti unskilled, cioè chi non ha competenze. A livello di paesi, è poi forte la divaricazione tra paesi sviluppati ed emergenti, mentre la Cina mostra numeri che indicano che il peggio è alle sue spalle. Forse dovremmo tutti sforzarci di analizzare come hanno fatto. Sospetto che non siano state usate forme di “persuasione”, nella prevenzione e nel trattamento. Ho anche il sospetto che molti politici occidentali in difficoltà seguiranno le orme di Trump e narreranno che la Cina ha diffuso il virus per potersi prendere il primato economico mondiale.

L’altra certezza che abbiamo, al momento, è che è impensabile abbandonare troppo rapidamente politiche fiscali e monetarie espansive. Anzi, servono dosi maggiori di espansione fiscale, secondo il consenso delle istituzioni internazionali, riecheggiate dai due più potenti banchieri centrali al mondo, Jerome Powell e Christine Lagarde.

Guardando al medio termine, la sfera di cristallo del FMI vede “cicatrici” nell’economia mondiale, che vanno affrontate con “significative innovazioni sul fronte delle policy”, a livello nazionale ed internazionale, scrive Gita Gopinath. Le cicatrici saranno visibili soprattutto sul mercato del lavoro, sul freno agli investimenti causato dall’incertezza, sui problemi di bilancio causati dal debito, che terranno il mondo sul persistente ciglio di una deflazione di debito concausata da politiche monetarie necessariamente accomodanti; dai danni al capitale umano causati da perdite di scolarità.

Questi, a giudizio del Fondo, sono gli elementi che abbasseranno strutturalmente la crescita, durante la transizione. Ci sono anche dei numeri:

La perdita di prodotto cumulata, rispetto al percorso previsto pre-pandemia, è attesa crescere da 11.000 miliardi nel 2020-21 a 28.000 miliardi nel 2020-2025. Ciò rappresenta un severo rovescio nel miglioramento degli standard medi di vita tra tutti i gruppi di paesi.

La previsione è ovviamente soggetta ad altissimo grado di incertezza. L’arrivo del vaccino, con disponibilità ampia e crescente, limiterebbe profondità e ampiezza delle cosiddette cicatrici. Il Fondo, come detto, sollecita forte collaborazione sanitaria globale per facilitare questo esito.

Il secondo precetto è quello di impedire con ogni mezzo la distruzione di capitale umano ed economico causata dal fallimento di imprese che in condizioni normali erano vitali. Più facile a dirsi che a farsi, temo. La pressione sociale sempre più forte, in un quadro di crollo di opportunità lavorative immediatamente fruibili, porterà ad una crescente protezione di aziende non più vitali, e non a causa della pandemia. Lo sappiamo bene, noi italiani.

È molto elegante, in teoria, raccomandare al mondo di rafforzare le policy che agevoleranno lo spostamento dei lavoratori dai settori previsti ridimensionarsi in un’ottica di lungo termine (i viaggi, secondo il FMI: non è chiaro quali, tra lavoro e svago, e soprattutto perché), a quelli in crescita strutturale come l’immancabile e-commerce; il che fa tuttavia pensare, più prosaicamente, che gli unskilled vecchi e nuovi finiranno nella logistica di Amazon & C., e saranno un numero crescente perché molti di loro saranno ex commercianti.

La realtà, e la transizione, sono di solito assai poco concilianti con questi grandi disegni di cambiamento che si vorrebbe gestire e non subire.

Da ultimo, c’è l’aspetto fiscale. Inteso come stimolo ma anche come sostenibilità. Lo stimolo serve, abbiamo detto, purché selettivo e diretto alle aziende che hanno possibilità di sopravvivere. Ammesso e non concesso di avere decisori pubblici perfettamente preveggenti, e non invece dediti a costruirsi clientele elettorali.

Facciamo qualche esempio di menù di intervento pubblico nelle aziende ancora vitali. Partecipazione pubblica ai costi fissi (per mantenere il capitale in mani private), o direttamente al capitale, ricostituito dalla mano pubblica dopo è stato bruciato dalle perdite? Detto in altri termini, mantenimento della proprietà privata o nazionalizzazione? Domanda non banale, no?

Da ultimo,

Le policy dovrebbero essere disegnate in modo da porre le economie su percorsi di crescita più forte, equa e sostenibile. L’allentamento globale di politica monetaria, pur essenziale per la ripresa, dovrebbe essere integrato con misure per impedire l’accumulo di rischi finanziari nel medio termine, e l’indipendenza della banca centrale dovrebbe essere salvaguardata ad ogni costo.

Molte cose “dovrebbero”. La politica monetaria accomodante in permanenza crea squilibri finanziari, come sappiamo da oltre un decennio. Come se ne impedisce l’accumulo, senza causare crolli di mercato che retroagiscono negativamente sull’economia reale? La politica monetaria sempre più accomodante crea quelle stesse aziende zombie che nuocciono alla produttività, e che il FMI consiglia di non tenere in vita. Ma la politica monetaria accomodante crea portafogli di investimento con crescente rischio di credito, zeppi di obbligazioni High Yield di aziende anche clinicamente morte. Quindi, che facciamo?

Serve accelerare ed agevolare la risoluzione delle aziende non più vitali, scrive Gita Gopinath. Ottimo, cioè serve creare default. E le banche che hanno concesso credito? Chiederanno l’aiuto del settore pubblico, con qualche Bad Bank di sistema? O saranno direttamente nazionalizzate? E come preservare l’indipendenza della banca centrale, se la medesima decide che i tassi sono rimasti bassi troppo a lungo e inizia ad alzarli, o se la politica decide che, per finanziare gli alti deficit, non vanno alzate tasse o tagliate spese ma la banca centrale deve “fare la sua parte”, cioè monetizzare?

Riguardo l’aspetto fiscale, il FMI vede un pesante e persistente ridimensionamento delle basi imponibili, causa crisi. È certamente verosimile che ciò possa accadere, e che condizioni di isteresi e minore crescita strutturale rendano il gettito altrettanto strutturalmente inferiore rispetto alla pre-pandemia. Che fare, allora? Secondo il Fondo,

In futuro, i governi dovranno probabilmente alzare la progressività delle imposte ed assicurare che le imprese paghino la loro equa quota di tasse, oltre ad eliminare gli sprechi di spesa.

“Gli sprechi di spesa” sono ormai una categoria dello spirito globale, come si nota. Non si sa quali siano, e molti sospettano che si tratti soprattutto della spesa pubblica rivolta agli “altri”. Quanto alla maggiore progressività d’imposta, e considerato che l’azione delle banche centrali ha aumentato il divario tra chi possiede attività finanziarie e chi no, credo si possa dire che la tassazione dei capital gain dovrebbe essere riavvicinata a quella ordinaria.

Ma tutte queste belle intenzioni irenico-razionali ed i conseguenti esercizi di stile sono destinati ad infrangersi contro gli interessi nazionali dei singoli paesi, da sempre e come sempre. Perché nel mondo c’è collaborazione tra paesi ma anche competizione. So che questa considerazione vi sconvolgerà.

Per sintetizzare: il Fondo vede il rischio di cicatrici persistenti, in termini di accentuate diseguaglianze intra- ed inter-nazionali. Accadrà questo anche in ipotesi di avere un vaccino in grado di coprire l’intero pianeta entro il 2021?

Quanto all’Italia, come più volte segnalato, il rischio è che questa crisi interagisca con una legislazione che renda ancor più rigida e meno resiliente la nostra economia. Perché si fa presto a dire che bisogna separare i vivi dai non morti. Per noi, il rischio maggiore è quello di una sbornia che ci porti a credere che tutto si risolva a colpi di deficit, “perché lo ha detto anche il FMI che non bisogna fare austerità“. E il corto circuito è servito. Cerchiamo di evitare di morire folgorati, se possibile.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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