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La iattura è alle porte: il land grabbing approda alla Ue

In un mondo globalizzato, dove le grandi potenze economiche euroasiatiche e nordamericane la fanno da padrona, era impensabile che proprio il mondo in decadenza per eccellenza, ossia il vecchio continente europeo, rimanesse esente dal fenomeno. Ebbene sì, il “land grabbing”, id est “l'accaparramento di terre” coltivabili, è arrivato anche nella moderna Ue e dintorni. Le conseguenze, vista la crisi, potrebbero essere veramente nefaste per il futuro prossimo quanto remoto di tutta l'Europa. Che il fautore del colonialismo più becero per eccellenza stia per diventare a sua volta la prossima e futura preda ambita del neocolonialismo multinazionale agricolo, energetico e minerario?

L'allarme circa l'accaparramento delle terre coltivabili e sfruttabili nei paesi extraeuropei, Africa in primis, è stato trattato raramente in passato ed in modo generico quanto approssimativo da poche testate giornalistiche e televisive; come al solito, sono stati in molti a pensare – visti i risultati sull'opinione pubblica – in pieno spirito anglosassone: “so far so good”, “fin qui tutto bene”. 

E dato il fatto che, il fenomeno ha sempre riguardato i soliti figli disgraziati di un dio minore, gli abitanti delle terre del Terzo Mondo appunto, non poteva esser dunque altrimenti!

Tuttavia, mai qualcuno avrebbe pensato che la buona vecchia Europa potesse essere la meta ambita al pari, o quasi, dei territori extraeuropei, per il medesimo business. Ed è così che, con l'arrivo della crisi, qualcuno ha pensato bene proprio di intensificare la mira sul vecchio continente, come attesta questo prezioso studio realizzato da European Coordination Via Campesina; tali mire, dapprima, si erano concentrate su paesi dell'Europa Orientale, come Ungheria, Romania, Bulgaria, Serbia e Ucraina; poi in zone soggette alla crisi, sui cosiddetti P.I.G.S., in particolare su regioni come l'Andalusia; successivamente in ultimis hanno osato financo ampliare tale raggio d'azione anche sulle grandi sorelle maggiori: Francia, Germania e Italia. Il problema sembra che inizi a riguardarci da vicino, e sarebbe anche l'ora di iniziare a preoccuparsene con seria diligenza – coscienze ed intelletti annebbiati permettendo.

In questi giorni è una nota rivista di geopolitica a lanciarne il pubblico allarme diretto per l'Europa.

È cosa arcinota ai più che gli speculatori multinazionali siano sempre alla caccia di risorse: petrolio, minerali e zone marine pescose, e da qualche annetto a questa parte, in ultimis, anche quella che molte culture tribali di mezzo mondo hanno sempre considerato la nostra madre per eccellenza, la terra.

Ma in che cosa consiste il land grabbing?

In breve, consiste nella regolare, od anche irregolare ed illegale, acquisizione mediante acquisto, da parte di privati, spesso gruppi Multinazionali, e di Governi stranieri e/o loro enti, di diritti di sfruttamento e usufrutto di terreni coltivabili e/o sfruttabili anche per vari fini - estrattivi, agricoli e altro - in territori di Nazioni straniere sovrane, se povere e sottosviluppate, ancora meglio. Il primo dato negativo immediato è che - nonostante direttive guida come la presente e leggi vigenti in loco - gli autoctoni perdono terra sfruttabile per i propri fabbisogni alimentari e di sostentamento; ergo, ciò limita la loro basilare sopravvivenza ed esistenza. Inoltre, non è nuova la notizia che laddove sia avvenuta tale acquisizione, fette di popolazione indigena abbiano subito de facto deportazioni con l'avallo e l'ausilio dei governi autoctoni – e non c'è proprio di che meravigliarsi.

A promuovere l'accaparramento delle terre da parte di governi e Multinazionali, alcune organizzazioni ritengono, come si afferma su altra rivista di geopolitica, che siano state soprattutto la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, la Fao medesima e la stessa Ue, che hanno dettato alcuni principi guida, sia di sviluppo sostenibile che di rispetto dei diritti umani e delle carte costituzionali dei paesi coinvolti, ma, visti i risultati e le tristi testimonianze che trapelano biascicate dai soliti media asserviti, tutto è stato ampiamente disatteso il più delle volte.

D'altronde il potere delle Lobby sembra che non possa esser bypassato e controbilanciato proprio da nessuno, neanche da organizzazioni "sovragovernative" come Onu, Fao e Ue.

Dal punto di vista storico e cronologico, durante tutta la seconda metà del Novecento il problema non si è mai presentato nella sua gravità, o almeno non se ne ha qui notizia. Infatti, il prezzo delle terre si è sempre mantenuto basso. Il problema è sorto nel primo decennio del nuovo millennio, con l'arrivo sulla scena di due problematiche, una di natura demografica e l'altra di tipo energetico. In più, con l'arrivo della crisi dopo il 2008, alle due problematiche appena citate si è aggiunta anche una certa convenienza di tipo finanziario, ossia: tali territori si sono trasformati de facto in asset finanziari inseribili in "comuni" investment portfolios di varie financial corporations che operano nella finanza planetaria. 

Tornando dunque alle cause, la prima è dovuta soprattutto alla crescita esponenziale della popolazione mondiale. Infatti, si prevede che la popolazione mondiale arriverà a toccare i 9 mld nell'anno 2050; da qui, in molti di quei paesi, dove la demografia è una grande variante ed incognita circa le fonti di approvigionamento, la ricerca di terre coltivabili, specie se essi ne sono largamente sprovvisti, in vista di futuri fabbisogni alimentari della propria popolazione, si è attivata su larga scala. Da qui l'acquisto di concessioni e la conseguente acquisizione pro tempore (fino anche a 99 anni) di territori coltivabili e/o sfruttabili di paesi poveri, paesi africani in testa, da parte di economia in forte espansione, come le tigri asiatiche e/o gli USA stessi.

La seconda è invece caratterizzata sia dal bisogno di emanciparsi dal petrolio e da quei paesi che lo producono, autoproducendosi bio-carburanti mediante la creazione di piantagioni di vegetali adibiti a tale processo di trasformazione energetica, sia dalla necessita di trovare fonti di produzione di carburante alternative al petrolio. Essendo spesso però la cosa impossibile a realizzarsi nei propri paesi di origine, vuoi per motivi economici vuoi per evitare sconvolgimenti sociali nelle rispettive madre patria, dovuti ad impossibili ed inattuabili appropriazioni di terre coltivabili già esigue a danni di privati da parte dei governi locali o da altri enti privati, gli Stati, le Multinazionali e altri enti in questione si sono adoperati e continuano a farlo sempre in quei paesi dove le resistenze a questi tipi di operazioni sarebbero, e sono de facto, minime o nulle. Oppure, spesso in cambio di accordi di varia natura, che sanciscono scambi a vari livelli, non sempre convenienti per la popolazione tout court del paese cedente, ma solo per alcune èlite. Vecchia storia!

Paesi protagonisti del land grabbing su larga scala sono appunto paesi come l'India e la Cina. Paesi che hanno visto anche crescere il tenore e la capacita di consumo della loro popolazione e dei propri apparati produttivi. Tra questi abbiamo, oltre i suddetti, Giappone, Stati Uniti, Paesi arabi e del Golfo, Corea del Sud, Federazione russa e altri. La Repubblica Popolare cinese, in particolare, è stata tra le prime nazioni ad approdare in Africa dove ha stipulato contratti per milioni di ettari.

Per quanto riguarda la mobilitazione di alcuni asset finanziari, invece, come per esempio gli Hedge Funds, nello stesso fenomeno del land grabbing, ciò avvenne subito dopo la crisi dei mutui subprime avvenuta negli States ma che ha coinvolto tutto l'Occidente. Alcuni operatori della finanza hanno dunque deciso di investire non solo nelle materie prime tout court ma anche nel settore alimentare ed agricolo. incentivando con ciò il pernicioso modello dell'accaparramento delle terre. Con l'obiettivo di ottenere grandi ed enormi profitti dalla coltivazione di prodotti dell'agricoltura e dalla loro susseguente esportazione sia gli investitori quanto i gestori degli asset medesimi hanno attuato sistemi di varia speculazione, soprattutto grazie all'utilizzo di contratti futures relativi alle produzioni agricole future medesime ottenute tramite l'attivazione di contratti di affitto o cessione pro tempore di enormi quantità di ettari di terreni coltivabili, grazie al "land grabbing" per l'appunto.

Secondo una piattaforma di monitoraggio del fenomeno, nella primavera di un anno fa i contratti per l'usufrutto di territori coltivabili sottoscritti in 12 anni, dall'inizio del millennio, erano stati oltre i 1200, per un ammontare di ettari altre gli 80milioni. Ciò corrisponde al 2% delle terre coltivabili del globo. Secondo altri invece, le stime sono ben peggiori, perché prendono in considerazione anche i contratti e gli accordi di affitto. L'ammontare dei territori ceduti o presi anche in affitto sarebbe oltre i 200milioni di ettari; in pratica un ammontare di territorio che corrisponde a 7 volte il territorio italiano, o a mezza Europa, se si preferisce.

Altrove noi abbiamo parlato più volte del potere delle Lobby in quest'ultimo trentennio. Ciò è lapalissiano anche nel fenomeno dell' accaparramento delle terre. In tutto questo, quasi nessuno si è mosso; né la Ue, ormai coinvolta direttamente, presa in scacco dalle lobby nazionali dei paesi membri, enon solo, né l'Onu. Solo la Fao ha approvato il succitato, e da noi linkato, documento che contiene delle linee guida alle quali tutti i protagonisti del fenomeno si dovrebbero attenere. Tuttavia la cosa è lungi dall'esser coercitiva e vincolante, ed i risultati si vedono.

Tant'è che il problema, tornando all'oggetto principale dell'articolo, inizia a presentarsi nella sua crudezza anche nella ben più evoluta e sviluppata Europa. Indice che il regresso economico, politico e sociale è ormai ben oltre la soglia.

Infatti, nota degna di merito, il livello di concentrazione dei terreni coltivabili europei è detenuto al 50% da un esiguo 3% di proprietari terrieri, ossia in parte da Multinazionali, oligarchi russi e Fondi sovrani per l'appunto, come già abbiamo spiegato per circa le altre aree. Tutto ciò non avviene solo nei P.I.G.S., paesi presi in scacco dalla crisi ergo più ricattabili sul piano delle variegate contrattazioni internazionali, ma sul territorio sovrano tedesco, francese ed, udite udite, in quella che un tempo fu l'agricolo italico territorio.

I territori meridionali, che hanno già ben conosciuto il secolare latifondo dalle guerre annibaliche alla 2a Guerra Mondiale, rischiano di rivederne la comparsa, visto che già subiscono pedissequa colonizzazione da Multinazionali interessate ad installazioni eoliche e fotovoltaiche?

In tutto ciò, quella che noi osiamo, a ragione, definire “l'Europetta piccina picciò” sonnecchia, anzi, si fa delle beate dormite che rasentano il coma profondo! Nessuna politica attiva reale, o quasi, in favore dei piccoli proprietari per favorirne l'ingresso in un mercato agricolo europeo; tutto ha favorito i grandi gruppi, le Lobby e anche quest'ultimo fenomeno che potrebbe in futuro mettere a serio rischio l'indipendenza agricola e primaria di intere popolazioni della Ue medesima, e loro governi. Il governo centrale europeo – coadiuvato però in questo nefasto permanere dell'attuale status quo dai governi nazionali degli Stati membri - dunque sbaglia non solo sul fronte politico, non cercando un' unione politica federale, non cercando appunto efficaci politiche economiche comuni ben oltre il solo mantenimento della moneta, ma anche nel non proteggere il più grande bene comune e di rifugio in tempo di crisi, e non, che è la terra coltivabile e non. Dunque, la globalizzazione, che va già a braccetto con la delocalizzazione di forze produttive e capitali, si sta attrezzando nella Ue anche a gestire un bel ménage à trois con l'applicazione su larga scala del land grabbing, privando così fette di popolazione europea del beneficio della libera proprietà della terra?

I presupposti ci sono, ma non credo che i 501 milioni di abitanti della Ue staranno a guardare! 

Oppure sì?

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