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La giustizia è una cosa seria per Nicola Gratteri

La giustizia è una cosa seria – Un migliore sistema giudiziario per sconfiggere le mafie, di Nicola Gratteri ed Antonio Nicaso, prefazione di Vittorio Zucconi, Arnoldo Mondadori Editore, Euro 17,50 , pagine 153

Magmatico; è questo l’aggettivo che per primo viene in mente per qualificare la terza fatica del duo Gratteri-Nicaso (Fratelli di sangue e La mala pianta le prime due). E non ricercateci una proposta per il tema di grande attualità della riforma del sistema di legalità, proposta che non potrebbe non avere, invece, una decisa sistematicità per essere coerente: qui il protagonista è il magistrato Gratteri e la sua non facile attività di inquirente al servizio dello Stato.

Come un flusso caldo di lava che si muove imprevedibile aggirando impedimenti e travolgendo ostacoli, il discorso si sviluppa in maniera anarchica facendoci da cicerone nel mondo della criminalità organizzata. Si parte dal santuario della Madonna della Montagna a Polsi, da San Luca, un cencio di case attorcigliate ad un pendio tra l’Aspromonte e il cielo, si passa a Platì, a Rosarno, a Gioia Tauro, alle località delle due coste calabre, quella tirrenica e quella ionica; quindi, magari in treno, verso la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, insomma verso le fiorenti regioni del Settentrione dove è possibile far ottimi investimenti per il denaro illecitamente guadagnato; poi bisogna prendere l’aereo per l’America del Sud, terra di narcotrafficanti; e poi ancora indietro nel Bel Paese. Insomma una scorribanda nella patria del crimine.

Una prima considerazione: quello di magistrato inquirente deve essere proprio un mestieraccio; e, per chi lo fa con serietà, non vi è stipendio a pagarsi. Sono facili le polemiche sugli emolumenti dei magistrati, anche perché magari si pensa subito a quelli che sonnecchiano negli Uffici delle Procure Generali, ma non è per tutti così (come prova il fenomeno della desertificazione delle Procure di frontiera, dove non ci vuole proprio andare nessuno); e, alla fine, i conti magari tornano. Anche perché la categoria ha già tanto dato in termini di martiri del dovere (ricordiamo che appartenevano ad essa anche Falcone e Borsellino, insieme a tanti altri, perché si finisce per scordarlo a furia di sentire gli strilloni dei politici inquisiti).

E’ poi incomprensibile come si possa incolpare di ogni male del Paese i Pubblici Ministeri, con tanto di manifesti che li accomunano ai terroristi rossi, dinanzi agli straordinari successi dell’apparato repressivo dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata. A meno di non pensare che vi siano due tipi di Pubblici Ministeri, e precisamente quelli che fanno tutti i giorni un difficilissimo mestiere coronato da successi con rischio della propria vita e quelli che, invece, utilizzano strumentalmente la loro attività per cercare di far cadere il governo. Piuttosto viene in mente la celebre frase di Churchill sui piloti della RAF “Mai tanti dovettero così tanto a così pochi”.

Sull’idea di giustizia di Gratteri, invece, sorge più di un dubbio. Ne parla spesso nel saggio, ma non sempre con congruenza. Ad esempio nel primo capitolo, intitolato proprio La giustizia, traspare una sua visione fortemente angusta perché limitata alla giustizia distribuzionale. Evidentemente Gratteri non ha mai letto John Laws e non conosce i suoi due principi di giustizia, il primo dedicato ai diritti di libertà ed il secondo ai diritti distribuzionali, principi fra di loro soggetti al criterio di successione lessicale, che pone i primi su di un piano diverso e più alto rispetto ai secondi. Il risultato è di porre la lotta alla criminalità organizzata come una attività autonoma e sconnessa dalla politica. Salvo poi smentirsi in appresso, ad esempio citando Borsellino nell’ultimo capitolo, intitolato La speranza: “Non basta «una distaccata opera di repressione», come rammentava Borsellino poco prima di essere ucciso. Per combattere le mafie c’è bisogno di un «movimento culturale, morale e religioso» che coinvolga tutte le persone che hanno voglia di opporsi «al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità» per sentire finalmente «la bellezza del fresco profumo della libertà».”

Comunque sia di ciò, questo libro va letto, perché, come dice l’intervistatore Antonio Nicaso nella sua prima domanda, «La giustizia è un mondo complesso e difficile, che i cittadini però vogliono capire»; anche per non farsi prendere in giro dal politico inquisito di turno.

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