La gestione pubblica dell’acqua: sprechi e alte tariffe
Sarebbe interessante se i fautori incondizionati dell’acqua pubblica, soprattutto a sinistra, analizzassero, senza specchi ideologici, la situazione quasi disastrosa in cui versa la gestione del servizio idrico in Italia. Scoprirebbero, tanto per cambiare, una giungla di sprechi e di prezzi, spesso a danno del cittadino e della qualità del servizio.
Ad Agrigento la situazione non è migliore, anzi. Con 400 euro l’anno a famiglia si pagano le tariffe più alte d’Italia, a fronte di un servizio davvero inqualificabile (vi ha dedicato un servizio Presa Diretta di Riccardo Iacona). Da tre anni la distribuzione dell’acqua è gestita dalla Girgenti, una società privata ma solo di nome, poiché esprime gli azionisti di minoranza ma è controllata al 56,5% dalla Acoset spa, società dei Comuni catanesi e dalla Voltano spa, di proprietà dei Comuni agrigentini.
D’altra parte, ove presenziano solo gli enti locali, non mancano le inefficienze e numerosi disservizi.
L’Acquedotto pugliese, 20 mila km di rete (il più grande in Europa), in tre anni è riuscito a recuperare 40 milioni di metri cubi di perdite, che sarebbero scese dal 37,7% al 35%. Se aggiungiamo però le perdite amministrative (sempre in calo, dal 12,8% all’11,8%) il buco economico è vicino al 47%.
Questo al di là delle religiose dichiarazioni del governatore Nichi Vendola, "privatizzare l’acqua è una bestemmia in chiesa". Forse è meglio se i tubi rotti, gli allacci abusivi e gli enormi sprechi, li continuasse a fare il pubblico.
Tutto questo per ribadire che liberalizzare il servizio idrico nazionale, affidandone la gestione anche ai privati e aprendo il mercato, è un principio che non può essere aprioristicamente respinto sull’altare di una sacra "gestione pubblica", come se questa si rivelasse migliore e più sicura.
E’ necessario prima di tutto garantire adeguati controlli delle gare d’appalto con la supervisione di un Authority indipendente, regole certe e punizioni per chi effettua un disservizio, ma è sbagliato anteporre uno stop preventivo all’ingresso di aziende private, frutto di un pregiudizio ideologico che si contrappone a qualsiasi ipotesi di cambiamento e che condanna da anni l’Italia ad un sostanziale immobilismo economico e produttivo.
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