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La democrazia nei partiti e dei partiti

La recente esclusione del comico Beppe Grillo dal Partito Democratico e dalle primarie di questo partito per la scelta del suo candidato premier alle future ma non prossime elezioni politiche nazionali, fornisce uno spunto di riflessione sull’adozione di principi democratici da parte dei principali partiti politici.

L’esclusione di Grillo da parte del Partito Democratico, per il metodo con cui è stata adottata, e precisamente senza in alcun modo sentire la base degli iscritti, è manifestamente di tipo oligarchico e non democratico; in aperto contrasto con la denominazione del Partito.
 
Occorre dire che, in questo caso, il Partito Democratico non ha fatto alcuna particolarità, ossia ha deciso secondo le sue correnti regole interne; evidentemente oligarchiche.
 
Vediamo adesso come lo stesso problema, ossia quello della scelta dei candidati per le varie competizioni elettorali, sia affrontato dal principale partito della parte politica opposta, ossia dal Popolo della Libertà.
 
In questo caso la scelta ha una connotazione addirittura monarchica, essendo le principali decisioni assunte direttamente dall’attuale premier e dal suo entourage; anche se esiste una forte opposizione interna, che ha portato Farefuturo, Fondazione presieduta dal Presidente della Camera Gianfranco Fini, a prendere posizione contro il cosiddetto velinismo. Di ciò si sono avute forti ripercussioni persino nella vita coniugale del premier.
 
In definitiva, nella più felice delle ipotesi, le strutture interne dei nostri principali partiti politici portano alla formazione di élite oligarchiche e rifuggono dall’applicazione di forme di democrazia diretta.
 
La democrazia rientra nei partiti politici attraverso la loro partecipazione a pubbliche elezioni, o almeno a quelle pubbliche elezioni, che ne applicano i principi; restando, ad esempio, del tutto esclusa quella “a liste bloccate”, introdotte per il Parlamento dalla legge Calderoli, universalmente denominata porcellum.

Se dal punto di vista delle regole interne il partito delle sinistre ha maggiori connotati di democrazia rispetto a quello delle destre, le cose si invertono nel campo della forma di Stato e, di converso, delle modalità di funzionamento delle Istituzioni, sostenute dai due schieramenti.
 
Il polo di destra, sotto la spinta dell’attuale premier e grazie al costante impegno del leader della componente ex-missina Gianfranco Fini, ha fatto percorre ad una parte sostanziale del proprio elettorato un lungo percorso, che l’ha portata all’abbandono di due suoi fondamentali assunti politici non democratici, ossia l’anti-semitismo ed il totalitarismo. Sembrerebbe che in ciò si sia avverato il principio di Bernard de Mandeville, per cui i «vizi privati» (in questo caso l’ambizione di governare il Paese) si trasformano da soli in «pubbliche virtù» (in questo caso l’abbraccio di principi di funzionamento dello Stato democratici da parte della destra ex missina).
 
Nel polo di sinistra, invece, non è successo assolutamente nulla su questo piano. Ancora oggi resta al suo interno una forte presenza di aree politiche, che non hanno mai intrapreso il percorso, che avrebbe dovuto portarle all’abbandono del favore verso forme statali centralizzate, come quelle della ex Unione Sovietica, prettamente oligarchiche e non democratiche.
 
Forse è su questo punto che la sinistra ha perso, sinora, la sua battaglia politica. E non si vede all’orizzonte una personalità che ponga il problema dell’inclusione all’interno del Partito Democratico della consistente porzione di elettorato, diciamo così, “nostalgico” del comunismo sovietico, previo un lungo percorso politico di abbandono del totalitarismo e di abbraccio dei principi della democrazia.

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