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La cura come radice dell’esistenza | Parla la Marina Militare forza armata

Lui è sempre lì, sulla via che percorro ogni giorno, a piedi rigorosamente. Ed è lì, rettamente, dapprima che io approdassi in terra sua, atavica, quanto l’anima che ispira la sua arte. E mi guarda.

Lui sa, che io lo vedo.

Lui sa, che io lo sento.

 

Sento il peso della sofferenza per l’indifferenza e l’incuria che stempera e impallidisce le antiche membra di un corpo fiero. Sento lì, in fondo al cuore, il fremito lontano di una speranza mai andata che il suo sguardo possa ancora illuminare uno spazio ameno di avventura e conforto, una terra nuova a cui prendere costa o quella madre da cui salpare, amara da abbandonare. Sento l’abisso di un infinito, il delirio del suo abbraccio. E, sulla soglia tra rifiuto e accoglienza, il sapore di un ricordo che rievoca, nell’incertezza di una sepolta notte, quella storia della piccola fiammiferaia che mi lesse mia nonna da bambina e le parole a me destinate in coda… la cura, luce mia, è un modo di essere in questo mondo e insieme all’Altro, è nella relazione con tutto ciò che ti circonda e che in anima tua ti è affidato che eviterai di vivere le cose e gli altri come oggetti, e li scoprirai essere soggetti, essere valori. 

Io lo guardo.

Il suo volto è familiare. Mi chiama, mi interpella, mi parla.

E il cuore è a nuovo illuminato dal riverbero della luce, del calore, del suono della sua voce che giunge dalla lontana terra di un mercante greco, il quale lo vide nascere in una remota Alessandria d’Egitto. Meraviglia delle meraviglie e baluardo di marineria sopravvisse alla furia degli eventi fino allo scoccare di un’infausta ora in cui la stessa terra, scossa e fremente, lo ridepose nel suo grembo.

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Il ricordo mai sbiadito riemerse nelle vesti delle rette torri di segnalazione lungo i fianchi di un dominio assai romano, oggi traccia in quella d’Ercole, di Brigantium, fondo antico. Su quell’altre sponde, ora atlantiche, di Francia e Inghilterra furon loro, ministri dei monasteri eremitici, a rendergli il tributo di una cura mai delusa ristorandone le sommità col fuoco eterno. A inseguirne il canto qui si traccia nel cuore e nella mente quell’intima nostalgia di infinito, di luoghi lontani, insospettati, estranei a uno spirito novello ed esotici già nei nomi… Skerryvore, Longships, Bishop Rock, Île Vierge, Ar-Men l’inferno degli inferni.

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L’Italia, patria di poeti santi e navigatori, di lui ne conta quasi duecento, mi si dice, e il solo posto ad accoglierli vivi è un elenco, ivi il primo se non altro, edito dall’Ufficio Centrale Idrografico della Regia Marina nel 1876. Non più regia, eppur stimata, è la stessa che di lui dispone ancora oggi – finanche nella noncuranza, nell’indolenza, nella mesta indifferenza. Uom ligio all’ambasciata, modesto nelle pretese, disadorno e senza motto, lui non rinuncia a perseverare, in quell’oscurità degli eventi, nel far dono dell’abbraccio, caldo e accogliente, in cui fondersi intimamente e nell’accendere lo sguardo di colui che a ben vedere è l’infinito nella banalità, nuda e calma, di un solo invito.

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