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La crisi d’identità dell’Europa

Enrico Letta e Lucio Caracciolo sono gli autori del libro “L’Europa è finita?”, una pubblicazione che azzarda alcune ipotesi significative sui destini dell’Europa (www.addeditore.it, 2010).

In realtà si potrebbe affermare che in un certo senso l’Europa non è ancora nata, poiché i sentimenti nazionalisti sono ancora prevalenti nei cuori e nelle menti degli abitanti dell’Europa. Probabilmente solo in poche nazioni del Nord Europa i cittadini si sentono prima europei e poi cittadini di una nazione. Perciò dovremo aspettare almeno lo scorrere di una generazione prima della grande trasformazione. E bisogna puntualizzare che in questo momento storico l’Europa è l’euro: “l’identificazione che questo comporta, l’identità nel racconto di cosa siamo oggi noi europei, ha aggiunto credo un elemento cruciale” (Letta, p. 24).

Magari l’euro non gode di buona salute, ma di sicuro le restanti valute mondiali non se la cavano molto meglio. La nazione più a rischio a mio parere è il Giappone, sia per la scarsità di riserve in oro, sia per l’eccessiva grandezza degli istituti bancari, sia per l’estrema vecchiaia e mafiosità della classe politica (in molti casi superiore a quella italiana). Inoltre è molto meglio specificare che i problemi della Grecia non derivano dall’Euro: sarebbe come affermare che le cinture di sicurezza fanno male. Indubbiamente se si fanno manovre finanziare sbagliate ci si può rompere il naso o battere la testa, ma i guai peggiori si evitano. Se in Grecia avesse circolato la vecchia dracma, il paese sarebbe stato assalito dai branchi di lupi del mondo speculativo e avrebbe fatto la fine dell’Argentina. È sempre grazie all’euro che paesi come l’Irlanda, la Spagna, il Portogallo e l’Italia sono stati salvati da guai molto peggiori.

Il vero problema greco non è monetario ma finanziario: l’enorme quantità di titoli pubblici greci sono stati acquistati principalmente dalle banche tedesche e il fallimento della Grecia potrebbe portare al crollo del sistema finanziario globale. Infatti gli Stati Uniti sono andati “contro i loro interessi” e hanno “aiutato l’euro” durante la crisi greca attraverso il Fondo Monetario Internazionale. In effetti se in passato gli Stati Uniti hanno avuto bisogno dell’Europa in funzione antisovietica, oggi la stessa alleanza è necessaria per affrontare la lotta economica e politica nei confronti della Cina, un’entità totalitaria e talmente popolosa che nella sua competizione economica non rispetta regole e diritti umani, mettendo in estrema difficoltà i paesi occidentali.

Quindi le relazioni tra Usa, Europa e Cina, insieme alle varie alleanze delle nazioni emergenti come l’India, il Brasile e la Russia, saranno determinanti nello stabilire le prossime tappe della nuova umanità basata sulla competizione economica e sulla cooperazione politica. L’unico ruolo possibile per l’Italia è quello di capogruppo di un centro diplomatico europeo grazie alla sua storia derivante dall’integrazione di popoli di lingua e cultura diverse. Anche la posizione geopolitica strategica al centro del Mediterraneo mette in condizione l’Italia di poter gestire al meglio i rapporti con i paesi africani e con i paesi appartenenti al continente euroasiatico.

Indubbiamente la sovranità policentrica dell’Europa creerà difficoltà nel breve termine: negli ultimi mesi “Obama ha preferito incontrare tutti i vertici possibili e immaginabili con chiunque, cinesi in testa, piuttosto che andare a Bruxelles a incontrare una sfilza di personaggi, ognuno dei quali si dice il rappresentante dell’Europa, chi perché presidente di turno, chi perché presidente del Consiglio, chi perché presidente della commissione e chi perché alto rappresentante per la politica estera comune” (Letta, p. 36). Ma forse Obama ha volontariamente snobbato l’Europa per indebolirla e poter così mantenere un ruolo di primo piano. E dobbiamo considerare che nel lungo termine i progetti politici e culturali più ampi riescono ad essere riadattati nel modo migliore.

Comunque è giunta l’ora di abbandonare “la matrice dell’europeismo elitista, dunque antieuropeo” (Caracciolo, p. 69). L’unica soluzione è quella stabilire nuove modalità di unione federale dell’Europa per mantenere le legittime identità culturali nazionali e regionali. D’altra parte è necessario favorire in tutti gli stati la formazione di entità politiche transnazionali (ricordo che alle ultime elezioni politiche europee si è presentato il movimento Newropeans), e bisognerà poi arrivare a far eleggere un presidente europeo direttamente dai cittadini (nell’arco di due o tre decenni).

Ricordo poi che anche negli Stati Uniti d’America molte leggi importanti degli stati nazionali divergono di molto tra uno stato e l’altro (pensate all’applicazione della pena di morte o alle normative sulla condotta sessuale che vietano il sesso orale o il sesso anale in molti stati). E negli Stati Uniti ci sono alcuni stati che rasentano la bancarotta economica, ma non è questo l’elemento determinante della crisi del dollaro.

Inoltre, seguendo il realismo di Caracciolo è giusto ricordare “che l’Europa è frutto non solamente dei De Gasperi, dei Monnet, degli Schuman, degli Adenauer e degli Spaak, ma soprattutto di una fondamentale decisione geopolitica americana. Non a caso la Nato viene prima della comunità economica europea… Non dimentichiamo mai il primo padre dell’Europa, Harry Truman. Il presidente del Piano Marshall e dalla Nato” (p. 70). È invece molto diverso il ruolo del Regno Unito, il paese che cerca di controllare il mondo attraverso i flussi finanziari. Forse la nuova Europa potrà nascere solo dall’affondamento della sterlina oppure dall’adesione all’euro della nazione più avversa all’idea di un’Europa forte che mitigherebbe il ruolo politico e finanziario anglosassone.

D’altra parte, anche se stiamo affrontando un lento e progressivo declino economico, tecnologico e forse anche culturale (per l’emergere di Cina, India e di altre macroregioni dinamiche), “partiamo da un gradino molto alto. Può essere che quando avremo arrestato il declino ci scopriremo in una condizione di persistente privilegio rispetto a gran parte dell’umanità” (Caracciolo, p. 125). Dopotutto la “debolezza” politico-militare dell’Europa è la sua forza: è la “potenza civile” e culturale che la rende ambasciatrice dei diritti civili, del progresso umano e della pace mondiale (anche se la Norvegia e la Svizzera per ora hanno scelto di rimanere fuori dall’Unione Europa).

E concludo con questa osservazione: Letta ha dimostrato di avere un po’ di sale nella crapa e di detenere dei livelli culturali molto al di sopra della media dei politici italiani. Purtroppo è troppo giovane per riuscire a diventare il leader del Partito Democratico dei vecchi burocrati. E siccome in genere il simile cerca il simile, non ha ottenuto abbastanza voti da una popolazione di vecchi ipocriti, cortigiani e servili, e da alcune subculture di giovani cittadini impigriti, indottrinati e rincretiniti da circa trent’anni di vetero-oligarchia gerontocratica e “porno-familista”.

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