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La Sanità italiana fa l’occhiolino alla privatizzazione

Solo sette regioni in Italia possono vantare un bilancio dei servizi sanitari in positivo. La Toscana veste la maglia rosa in questa corsa, mentre il fanalino di coda è rappresentato dal Lazio, che assieme a Campania e Sicilia, mostra un drammatico buco nero economico.

Nell’economia nazionale, specie in uno stato come l’Italia, dove le strutture ospedaliere e annessi appartengono alla sfera pubblica, l’aspetto sanitario è uno dei più incidenti.

"La sanità è la prima realtà economica italiana: contribuisce direttamente ed indirettamente alla creazione di un valore economico pari a 149 miliardi di euro" (da Corriere della Sera).

L’attuale crisi rischia di aggravare le situazioni che già fanno acqua, e proprio per questo si sta pensando al progetto di cogestione tra privato e pubblico. Si tratterebbe nella maggioranza dei casi, di privatizzare i servizi annessi alle strutture ospedaliere, come la mensa, il bar, la lavanderia etc, lasciando tutto ciò che concerne la sfera prettamente sanitaria al controllo pubblico.

E’ un tipo di soluzione già adottato in numerose realtà, ma lo spettro della privatizzazione non si ferma qui. E’ sempre il Corriere della Sera ad informarci che ci sono casi in cui la privatizzazione è andata oltre, occupandosi di risanare una situazione di grave perdita, ma ottenendo una sorta di controllo della struttura. E’ il caso dell’ospedale di Suzzara, che doveva essere chiuso, salvato da una collaborazione che prevede una vigilanza del pubblico, e l’investimento di capitali privato.

Questo investimento ha riguardato la ristrutturazione dell’ambiente e l’acquisto di macchinari, come Tac o risonanza magnetica, e con buona soddisfazione della regione Lombardia, che si è ritrovata un ospedale funzionante e moderno dovendo semplicemente rimborsare le prestazioni offerte ai cittadini.



Accanto a questo esempio, all’apparenza funzionante, vi sono anche altri casi, ovviamente, di fallimento, in cui il capitale privato non è riuscito da solo a risollevare una situazione pendente.

La privatizzazione non si ferma qui, ma investe anche un altro aspetto noto a pochi: le assunzioni. Trattandosi sempre di strutture pubbliche, le assunzioni possono essere fatte esclusivamente tramite concorso (si parla di assunzioni a tempo indeterminato). La continua carenza di personale, e la continua richiesta, non viene corrisposta in quantità di concorsi, così che, per la lentezza stessa della macchina burocratica in Italia, che per eventuale sussistenza del problema di carenza di personale, le strutture sanitarie sono costrette a rivolgersi alle agenzie interinali.

In Toscana, ad esempio, sembra essere Altro Lavoro ad occuparsi delle assunzioni (si parla di tempo determinato) all’interno delle strutture sanitarie.



Siamo sicuramente ancora molto lontani da un sistema di sanità privata, ma ugualmente sono segnali che andrebbero sottolineati, e, probabilmente, combattuti sul nascere. Nello stesso momento in cui gli Stati Uniti di Barack Obama iniziano una marcia verso una sorta di "deprivatizzazione" del sistema sanitario nazionale, promettendo strutture pubbliche quantomeno per i bambini, l’Italia sembra muovere piccoli passi in controtendenza. A confermarlo le stesse frasi del premier Berlusconi alcuni mesi fa, in cui dichiarò che l’unica soluzione sarebbe "il federalismo fiscale e la privatizzazione di molti ospedali pubblici".

Il Welfare State in Italia non è mai stato portato a un livello "assistenziale", nè si può parlare, comunque sia, di uno stato presente e vicino al cittadino, per cui muovere anche solo pochi passi verso la privatizzazione di un diritto inalienabile di ogni cittadino italiano, potrebbe risultare economicamente facile e rassicurante, ma profondamente rischioso e poco etico.

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