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La Mafia a Roma: un sistema di potere e classi dominanti

“Sembra una descrizione di Catania negli anni Settanta”. Così il collega formatosi in quegli anni nella redazione de I Siciliani davanti ai dati dell’escalation criminale nella Capitale.

Roma negli ultimi dieci anni è profondamente cambiata. Procedo per balzi e emozioni. Scrivevo più di un anno fa, all’epoca del fattaccio brutto di Torpignattara, quello in cui perse la vita un commerciante cinese e sua figlia nel corso di una rapina per strada: “Una città senz’anima, che ha perso il treno per diventare davvero capitale. Cupa, egoista, provinciale, sporca di una sporcizia immateriale. Una sporcizia morale”.

I cinque anni di amministrazione Alemanno a Roma e i 4 della Polverini in Regione hanno rappresentato il punto più basso di questa degenerazione. Il periodo che abbiamo appena vissuto fa impallidire il disastro messo in piedi dal sindaco Giubilo negli anni ’80. Quel Giubilo che era diventato democristiano dopo una lunga militanza in quella destra (proprio la stessa) da cui proviene in particolare Gianni Alemanno. Giubilo creatura dello “squalo”, Vittorio Sbardella, passato alla storia per la sua giovanile partecipazione all’assalto della libreria Rinascita e poi per le 1200 delibere approvate nella notte che precedette la cessazione dei suoi poteri e l’insediamento del commissario prefettizio. Alemanno e la Polverini sono riusciti a superare perfino quelle vette che si credevano irraggiungibili. O meglio, che credevamo non lo fossero.

Uno dei segnali più evidenti di questa trasformazione ci viene fornito dall’emergere del fenomeno mafioso nella Capitale e in tutta la Regione Lazio. Per fenomeno mafioso intendiamo un sistema in cui quelle organizzazioni propriamente definite come “mafia” sono in relazione con tutti i tasselli del potere economico, politico, amministrativo.

Oggi il concetto di sistema criminale è entrato nell’uso corrente delle analisi della Direzione nazionale antimafia, dei Servizi centrali di polizia e degli operatori come adeguamento linguistico necessario per definire una res nuova la cui concreta fenomenologia non è inquadrabile nelle vecchie categorie di associazione o organizzazione criminale.

Questo termine nuovo cosa definisce esattamente?

Un sistema integrato di soggetti individuali e collettivi. Una sorta di tavolo dove siedono figure diverse, non tutte necessariamente dotate di specifica professionalità criminale: il politico, l’alto dirigente pubblico, l’imprenditore, il finanziere, il faccendiere, esponenti delle istituzioni e, non di rado, il portavoce delle mafie. Ciascuno di questi soggetti è referente di reti di relazioni esterne al network ma messe a disposizione dello stesso. Il sistema è modulare nel senso che, a seconda della natura degli affari e delle necessità operative, integra nuovi soggetti o ne accantona altri. I diversi tavoli di lavoro pianificano la divisione dei compiti per conseguire il risultato del controllo di settori delle istituzioni, dei centri di spesa, della spartizione delle opere e dei fondi pubblici. A volte i vari sistemi criminali sul territorio diventano intercomunicanti tramite uomini cerniera. Per intenderci, potremmo definire i sistemi criminali come mutanti che nascono dall’evoluzione e dall’ibridazione di precedenti forme criminali: corruzione, piduismo e mafia. Le cronache offrono un vasto campionario della fìtta rete di sistemi criminali che dal Nord al Sud come un esercito di termiti succhiano segretamente la linfa vitale del Paese.

Roberto Scarpinato e Saverio Lodato – Il Ritorno del Principe

Potremmo fare una lista infinita di personaggi, fatti, impicci, sdoganamento di ex terroristi neri e vicini alla Banda della Magliana, gli affari, le “magnate”, l’inefficienza. L’idea di una città e di un popolo formato da clienti da truffare sul resto. Politicamente inconsistente, affaristicamente famelica, culturalmente rozza.

Le mafie sono sempre state espressione (direttamente o a servizio di) delle classi dirigenti. Il potere nel nostro paese, e non solo in Sicilia, Calabria o Campania, si avvale del linguaggio, modalità, gestione violenta o intimidatoria del potere mafioso. Si sfata anche qui a Roma l’immagine della mafia “popolare”. Non esiste. La mafia è gestione del potere e quando emerge anche con azioni violente come sta avvenendo da alcuni anni (in controtendenza da quello che sta avvenendo sul piano nazionale) significa che l’offensiva di infiltrazione è stata superata e che ora si contrappongono poteri e interessi radicati e fortemente intrecciati con i poteri

Questi cinque anni appena trascorsi hanno però un passato. Due mandati di Rutelli e due di Veltroni che hanno prima accennato un percorso e poi deluso profondamente le speranze senza chiuderlo. Percorsi incompleti quando le primitive lobby che operano nella capitale hanno presentato il conto. Questo percorso mai chiuso dai “sindaci” con l’arrivo della destra di Alemanno e della Polverini – contemporaneo all’inasprirsi della crisi economica – ha consentito di far precipitare velocemente la situazione. L’allargarsi di fasce enormi di disagio sociale, se non di esclusione, (dal lavoro, dalla casa, dai servizi, dal senso minimo di cittadinanza) di centinaia di migliaia di romani e di migranti, trasferimento di pezzi di parti consistenti della media borghesia “colta” in aree suburbane, precarizzazione e parcellizzazione della percezione stessa del lavoro, diffuso senso di insicurezza (non solo basato sull’emergere di sempre più ampi fenomeni di micro criminalità). Contemporaneamente il sud della Regione ha subito il colpo del tracollo produttivo (media e grande industria) e il nord (Viterbo in particolare) ha retto almeno in parte solo grazie alla catena agroalimentare di qualità e a poche ma iper specializzate realtà poco più che artigiane.

In uno scenario di questo genere di profonda crisi istituzionale, politica, economica e sociale, inevitabilmente hanno avuto gioco facile le mafie. Si badi bene, non si tratta di un fenomeno di infiltrazione, ma di emersione di una presenza consolidata di una rete di sodalizi mafiosi spesso fra loro associati in modo del tutto inedito a livello nazionale come se qui si stesse sperimentando un nuovo modello per la Mafia spa.

Casalesi, camorra napoletana, ‘ndrangheta, Casamonica, ex Banda della Magliana, Cosa nostra. Ognuno impegnato a fare soldi con il traffico (internazionale e non solo locale) della cocaina e della rediviva eroina e attraverso il racket delle estorsioni, gestendo appalti e acquisendo immobili e riciclando il denaro sporco attraverso attività finanziarie e commerciali (in particolare la grande distribuzione alimentare). Con alleanze “liquide” fra le varie organizzazioni, talmente fragili da provocare continuamente omicidi e attentati in quella che è a tutti gli effetti una guerra di mafia. E con una chiara penetrazione (altro che infiltrazione) in molti nodi della pubblica amministrazione e nelle imprese.

Questo perché in tutti i modi e a tutti i livelli si è cercato di negare non solo l’avanzata delle mafie nella Capitale, ma perfino la loro esistenza. Da sempre, ma soprattutto negli ultimi anni. Ad ogni livello politico e istituzionale. Mentre le mafie ingrassavano, tutti a versare acqua sul fuoco. Più di 60 morti in tre anni per ammettere – e con molta timidezza – che ci fosse una guerra di mafia in atto. Più di tre anni per andare a far scoppiare il bubbone degli intrecci fra i clan e pezzi della pubblica amministrazione. Negare. Minimizzare. Roma, ormai totalmente specchio di un paese che è stato inghiottito dalla linea della Palma immaginata da Leonardo Sciascia.

La presenza e il consolidamento del potere delle mafie è un termometro (inedito nel racconto della capitale) della crisi economica, sociale, culturale e politica della città. E non si tratta più solo delle provincie meridionali della Regione e di alcune enclave urbane, Qui, ripeto, siamo davanti a un sistema che nulla ha da invidiare a quelli operanti in altre Regioni del Paese considerate ad alto rischio mafioso.

Sistema. Questa è la parola chiave. Un sistema che si è consolidato in decenni e che sotto le giunte Alemanno e Polverini ha avviato un’accelerazione inedita. Soldi, affari, speculazioni, crisi culturale e sociale su cui speculare e avviare strumentalizzazioni di stampo affaristico/autoritario.

Emerge anche un altro dato, che la holding delle batterie della mala romana che negli anni ’70 si fusero dando vita alla Banda della Magliana continua ad operare in stretta collaborazione – o in diretto contrasto a seconda delle alleanze – con organizzazione definite ufficialmente come mafiose. Inoltre sembra essere rimasto intatto anche il rapporto con esponenti della destra eversiva e ambienti economici e finanziari con un’abilità acquisita nei decenni di gestire attività di riciclaggio di altissimo livello anche per conto di altre organizzazioni.

Dal 2000 a oggi i fatti in cui vengono coinvolti i presunti ex sono tanti e spesso sanguinosi. Come altre pagine “grigie” della cronaca ci riportano allarmanti collegamenti con questi ex così poco inclini alla pensione. Come ci racconta la vicenda del maxi riciclaggio di oltre due miliardi di euro di cui vennero coinvolti l’ex senatore Nicola Di Girolamo e l’ex estremista di destra Gennaro Mokbel in concorso con le ‘ndrine calabresi. Mokbel era legato con Antonio D’Inzillo killer – accusato di essere uomo del gruppo di fuoco che uccise il capo della Banda Enrico De Pedis – e proprio nella casa di Mokbel venne arrestato. O come l’amicizia dell’ex Ad dell’Eur spa Riccardo Mancini – ora in carcere per una tangente che vede coinvolta anche la Breda Mennarini della Finmeccanica – con Massimo Carminati, fondatore fondatore dei Nar e uomo di spicco della Banda conosciuto con il soprannome de “il nero”. Mancini, uomo di fiducia di Alemanno e ex estremista di destra vicino a Avanguardia Nazionale messo dall’ex Sindaco di Roma a gestire i 2,5 mdl di euro della Eur spa dopo la batosta della mancata assegnazione di sede del premio della Formula Uno a Roma dove il pregiudicato Mancini (1 anno e 9 mesi per violazione della legge sulle armi) aveva puntato tutto come principale promotore.

Se sommiamo l’emersione di una fascia enormemente vasta di esclusione sociale, la precarizzazione e parcelizzazione del lavoro, la trasformazione quasi antropologica della Regione e di Roma, lo svuotamento culturale delle istituzioni, lo stato di abbandono e di crisi profonda che colpisce la pubblica amministrazione, la crisi della partiti e allo stesso momento la frammentazione dei movimenti – da quello degli studenti a quello per la casa e quello ambientalista e così via - i fenomeni diffusi di clientelismo parassitario e di corruzione e la presenza stabile di una Mafia spa affaristica e violenta e in piena fase di espansione, ci troviamo davanti a una sfida enorme.

 

Foto: Dino Quinzani/Flickr

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