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La Fornero a testa bassa: riforma del lavoro con o senza i partiti

Prove tecniche di dittatura finanziaria: dopo le farneticazioni della Marcegaglia, arrivano le bombe della "ministressata", forte dello stato di emergenza in cui versa il paese. Le sorti dell'articolo 18 sembrano ormai segnate, complice una politica assente dal dibattito.

Ministressata: un appellativo che calza a pennello a quell'Elsa Fornero divenuta celebre per le lacrime di coccodrillo, in occasione della conferenza stampa in cui si tenne l'elogio funebre dello stato sociale e si scoprì la vera natura del governo Monti.

Stressata dall'antisfigato Michel Martone, sottosegretario al lavoro da 130.000 euro, messo lì più per la faccia ed il papy che per l'incisiva azione di governo che l'ha visto protagonista. Stressata dalle polemiche suscitate dall'infelice battuta sul posto fisso, altro illustre trapassato di cui anche SuperMario Monti e la Cancellieri hanno cantato le lodi funebri.

Stressata dall'inadeguatezza al ruolo al quale è stata chiamata, che quotidianamente cerca di mascherare con un velo di arroganza verbale. Già da un paio di giorni l'ex Banca Intesa dichiara placidamente, col piglio di un dittatore consumato, che il Governo Monti varerà la riforma del lavoro anche senza il consenso dei partiti: il disegno del nano di Arcore prende forma, il lavoro sporco lo farà un governo "tecnico" cui poi addossare le colpe di eventuali riforme impopolari.

Adesso, la ministressata, è più consapevole delle proprie prerogative: sa di dirigere un dicastero non per legittimazione popolare ma per volontà di quel potere finanziario che dilania un popolo ridotto sul lastrico. Adesso la ministressata sa di poter far piangere e si traveste da Crudelia Demon. Addossa la responsabilità della riforma del lavoro ai partiti, nel corso di una videoconferenza, con il video che procede "a scatti" per rendere ancora più grottesca la dichiarazione. Alla lunga ci si accorgerà di come tutte queste assurdità nascondano la condanna per l'articolo 18 che nessuno sta difendendo col coltello tra i denti.

Bersani, dal canto suo "strenue" oppositore del modus operandi dell'economista torinese, addolcisce i termini: il suo PD valuterà sul momento se dare o meno l'appoggio ad una riforma priva del consenso delle parti sociali. 

Non sorprende l'atteggiamento del segretario PD, che ormai non è più l'interlocutore istituzionale con cui le masse portano nelle assemblee le proprie istanze. Adesso c'è una massa che deve subire ed una casta (politici, banchieri, massoni) che impone, con i partiti ridotti ad ammennicoli che si occupano di collocare in naftalina i malati di poltronite cronica, in attesa della tornata elettorale per la quale sarà indispensabile aver ricostruito la propria verginità politica: un antidoto alla disaffezione alla politica manifestata dalla quasi totalità degli elettori. Chi avesse nostalgia di Fini, Casini&co. stia pur certo che li rivedremo presto.

Nessuna voce, forte e circostanziata, contro le esternazioni di stampo dittatoriale dell'alleata di Emma Marcegaglia: a difendere chi lavora non è rimasto nessuno. Mai come oggi il popolo di chi lavora necessita di un movimento organico che difenda gli interessi di classe.

Niente ideologia, nemmeno idee ad esser franchi, non una indicazione sui contenuti di questa chimera che, secondo "Il Fatto" è richiesta a gran voce anche dal Cavaliere, che finalmente riuscirebbe a far fuori i sindacati lasciando il lavoro sporco al bocconiano, per poter poi tornare in sella nel 2013, anno in cui la coalizione di centro-destra vincerà le elezioni politiche grazie al tacito disimpegno del PD e del terzo polo, entità inadeguate a catalizzare le preferenze di un'Italia stufa e partitocratica anche con un bipolarismo di fatto.

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