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L’uomo e altri animali 2. Antropocene, Classi, Domesticazione, Schiavismo e Guerre. Analogie Formiche e Uomini

Dànilo Mainardi era un etologo italiano. In questo interessantissimo libro raccoglie le sue molte considerazioni su analogie e differenze fra gli uomini e gli altri animali. Ne raccolgo qui alcune, insieme alle mie. L’etologia ci mostra come l’uomo, evolvendosi socialmente e culturalmente, si sia allontanato sempre più dal posto che occupava in natura, diventando forse incompatibile col mondo naturale. Le analogie belliche, e non solo, fra uomini e formiche ci fanno riflettere sull’umanità: sul suo futuro e anche su un lato oscuro della sua storia.

Nell’articolo precedente sono sviluppati questi argomenti, che qui vengono dati per noti: Omologie e Analogie. Adattamenti e Coevoluzione, Strategie “K” E “R”.

Socialita’ e Apprendimento. Evoluzione Culturale. Addomesticamento e Autoaddomesticamento

ANTROPOCENE.

 

Con la comparsa degli uomini è cambiato il mondo o, meglio, sono stati gli uomini che hanno pesantemente cambiato il mondo alterando gli equilibri fra le specie, consumando risorse in quantità non sostenibili e inquinandolo. Come per tutti i processi continui è difficile dire quando ciò sia cominciato, ma direi che abbiamo dei dati oggettivi che ci aiutano a capirlo.

Per quanto ne sappiamo, gli australopitechi non sono mai usciti dall’Africa, ma gli uomini sì. Penso che se ne possa concludere che gli australopitechi seguissero strategie K e che i primi a distruggere il loro ambiente e poi a fuggirne per colonizzarne altri (strategie R) siano stati gli uomini. I più antichi (quasi due milioni di anni fa) finora ritrovati fuori dell’Africa, a Dmanisi nel Caucaso, sono gli uomini H. Georgicus paragonabili agli H. Habilis africani. Non abbiamo prove che avessero domesticato animali e neanche che conoscessero il fuoco ma, se sono dovuti migrare là, dove stavano prima deve essere avvenuto qualche grosso sconquasso ecologico. Potrebbe anche essere stato un cambio climatico naturale del tipo inaridimento del Sahra, ma è più probabile che quello sconquasso lo abbiano creato proprio loro con la loro strategia R (e che forse tutto ciò prosegua ancora oggi con le attuali migrazioni dall’Africa). In Indonesia, nell’isola di Flores è stato poi ritrovato un piccolo uomo, estinto poche migliaia di anni fa, che morfologicamente potrebbe essere un discendente dei Georgicus, spintisi fin là. Anche l’H. Herectus è poi uscito dall’Africa e ha colonizzato tutto il mondo tranne le Americhe e, forse, l’Australia. Pare che l’Herectus si sia evoluto in H. Heidelbergensis, in H. Neanderthal, in H. Pekinensis e H. Denisovianus fuori dall’Africa. Non sappiamo esattamente cosa lo abbia spinto a migrare continuamente, ma è facile presumere che abbia sempre raccolto, cacciato e si sia moltiplicato più di quanto il suo ambiente potesse sostenere.

Poi un’altra specie umana ha avuto bisogno di uscire dalla sua culla africana: il Sapiens: ha sempre depredato l’ambiente in cui viveva, ha combattuto contro i tanti diversi uomini che ormai popolavano il mondo e si è spinto in tutti i continenti tranne che nell’inospitale Antartide. In America il Sapiens ha cacciato e brutalmente estinto molte specie erbivore, fra cui il cavallo, che proprio lì era apparso e che tanta storia ha poi avuto, in Asia e in Europa, dopo domesticato. Estinto anche in Europa (nessun discendente dei famosi cavalli ritratti a Lascaux è sopravissuto) si è salvato nelle steppe asiatiche, estese lungo la latitudine del suo habitat. A differenza dei primi americani, i pellerossa incontrati dagli europei erano diventati sapienti ecologi, ma già allora le grandi praterie nordamericane erano state create dai loro antenati incendiando i boschi per estendere l’habitat dei bisonti. Lo stesso sistematico incendio dei boschi era accaduto ancor prima ad opera dei primi semi -pastori europei, mentre gli europei cacciatori di renne con il ritiro dei ghiacciai le hanno seguite fino in Lapponia e Siberia senza estinguerle e anzi: quasi addomesticandole, a differenza di ciò che invece hanno fatto i cacciatori di mammuth in Siberia.

Con i temibili uomini cacciatori raccoglitori e depredatori era iniziato l’antropocene: la semi-pastorizia e poi la pastorizia hanno distrutto i boschi per creare praterie, la qualità dell’aria è peggiorata per gli incendi e per le diminuite foreste, la diversità biologica ha cominciato a declinare, ma tutto ciò è ancora niente a paragone di ciò che nel neolitico ha prodotto la rivoluzione agricola.

Ai cacciatori raccoglitori-pastori la domesticazione delle piante è apparsa come un aggiuntivo incremento delle loro risorse alimentari, ma in poche generazioni l’agricoltura ha presentato il conto: l’aumento di risorse in assoluto ha prodotto l’espansione demografica (addio strategie K ! ) e quindi il calo di risorse per abitante. L’agricoltura era competitiva con la pastorizia e i contadini – Caini hanno combattuto contro gli Abele –pastori ampliando i campi a danno dei pascoli; non era più possibile tornare a caccia e raccolta perchè gli ambienti naturali erano stati distrutti e comunque sarebbero stati insufficienti a fronte della strabordante popolazione. Per giunta, le primitive agricolture e irrigazioni erano distruttive anche dell’agricoltura stessa: le monoculture a frumento impoverivano i terreni, i canali di irrigazione sprofondavano e così gli agricoltori migravano continuamente andando a colonizzare e a distruggere altri territori. La colonizzazione del mondo intero e l’aumento demografico hanno reso insufficienti e insostituibili le risorse territoriali: quindi vale la pena di morire combattendo guerre per appropriarsene o per difenderle, inoltre le guerre riducono la pressione demografica; ma solo provvisoriamente perchè, per vincerle, incentivano invece la cultura dell’espansione demografica.

Apparentemente l’agricoltura moderna sembra meno distruttiva, ma distrugge la biodiversità inseguendo la massima resa economica. L’economia tecnologica e commerciale fa sì che contadini invece di sopravvivere mangiando i loro prodotti muoiano di fame, perchè coltivare i loro terreni costerebbe troppo e renderebbe troppo poco: l’economia, il mercato e le monocolture hanno trasformato i contadini in proprietari terrieri e braccianti disoccupati; i terreni sono inquinati di fertilizzanti, pesticidi e diserbanti; qualsiasi porcata per aumentare la resa economica viene giustificata con la “lotta contro la fame del mondo”. La crescita demografica mondiale pone fuori gioco qualsiasi ipotesi di sviluppo sostenibile.

L’evoluzione culturale umana ha creato il mito dello sviluppo senza limiti, dell’espansione demografica, della produzione, dei consumi, dell’aumento del benessere. Tutte idee e ideologie contronatura; la realtà naturale non può che presentare il conto: decrescita decisamente infelice che per i più deboli significherà povertà estrema e morte per fame, mentre per tutti significherà guerre per la sopravvivenza. Difficile prevedere il futuro dell’antropocene, ammesso che ci sia un futuro e che non si sia giunti alla fine.

 

FORMICHE: CLASSI, DOMESTICAZIONE, SCHIAVISMO E GUERRE.

 

Si dice che quando l’uomo si estinguerà resisteranno le formiche. Non so quanto possa esserci di vero: nel caso di una estinzione per guerra atomica chissà se le formiche sono davvero più resistenti alla radioattività degli uomini. Si dice che in proporzione le formiche siano molto più forti dell’uomo. E’ vero, così come è vero per tutti gli insetti a favore dei quali gioca un fattore di scala: se si ingrandisse una formica quanto un uomo questa resterebbe schiacciata dal suo peso che sarebbe aumentato con il cubo della dimensione, mentre la sua potenza col quadrato e la sua forza soltanto proporzionalmente alla sua dimensione. Inoltre, se un insetto avesse dimensioni umane non potrebbe vivere senza un sistema nervoso, senza un sistema respiratorio e senza un sistema circolatorio; certo, la semplicità strutturale dà dei vantaggi agli insetti. Ma api e formiche hanno una struttura sociale di complessità paragonabile, se non superiore, a quella umana. Le api sono state quasi domesticate dall’uomo per via del miele, le formiche ignorate: non sono pericolose, non portano malattie, non minacciano granch’è le riserve umane di cibi. Le termiti possono distruggere le costruzioni in legno, gli uomini possono mangiarsele, ma di fatto non c’è molta interazione.

Dal punto di vista filogenetico le formiche sono tanto distanti dall’uomo, ma dal punto di vista etologico sono tanto vicine, perchè ci sono fortissime analogie fra le due società, e quasi soltanto fra quelle due.

Le società degli ominini si sono evolute, da piccole tribù fino alle società umani odierne, estese e attualmente con gerarchie e divisioni dei ruoli molto complesse. Le società delle formiche sono numerosissime, gerarchizzate, divise in classi e specializzate, presumibilmente da ben prima degli ominini; comunicano fra loro con linguaggi altamente complessi e di grande potenza descrittiva e operativa. Gli uomini non hanno copiato le formiche, ma certo sono arrivati dopo. Le formiche praticano da più tempo degli uomini anche la domesticazione e lo schiavismo. Abbiamo visto che alcune altre organizzazioni (sia inter-specie che intra-specie) fra esseri viventi, quali il parassitismo, presentano qualche analogia, ma fra uomini e formiche è impressionante quanto forti siano le loro analogie. Esiste poi un’altra attività fortemente analoga fra uomini e formiche, un’attività che però non ha quasi riscontro in altri animali: le guerre. Le guerre delle formiche come quelle degli uomini comportano, o forse ne sono proprio il fine scatenante, il saccheggio a danno della popolazione sconfitta; più importante del saccheggio delle risorse alimentari è il saccheggio dei produttori di risorse: esseri domesticati e schiavi.

DM (Dànilo Mainardi) elenca specie e generi di specie di formiche che allevano e possiedono piante domestiche e animali domestici. Gli etologi hanno studiato i “giardini delle formiche”: queste preparano un substrato organico raccogliendo e triturando fibre di vegetali e lì coltivano funghi le cui spore vengono tramandate di generazione in generazione di regine formiche e anche semi di piante raccolte in natura. Molte piante sono state così domesticate dalle loro padrone formiche che non sono più capaci di sopravvivere se non nei formicai dotati del giusto substrato.

Gli animali domestici delle formiche sono altri insetti. DM ne elenca diversi e esemplifica descrivendoci l’allevamento degli afidi che, come quasi tutti gli altri insetti domesticati da formiche, si nutrono della linfa di alcune piante. Le formiche custodiscono, proteggono e organizzano nei loro formicai, o all’esterno in loro “stalle”, mandrie di afidi che con le loro micro proboscidi penetrano nei vasi di alcune piante e ne suggono la linfa. Questa viene succhiata e digerita in eccesso, costituendo la melata, che viene poi espulsa gradatamente in tante singole goccioline, che restano aderenti fino a che le formiche non “mungono” i loro afidi domesticati. Quelli “selvatici” invece producono poca melata eccedente e la eiettano lontano, impossibile mungerla. Nell’addomesticamento afidi e formiche si sono coevoluti: gli uni hanno difficoltà a vivere senza gli altri.

DM propone due considerazioni interessanti: alcuni biologi direbbero che nel caso delle formiche si tratterebbe di “trofobiosi”, termine ridicolmente dotto per riservare ai soli umani il termine “addomesticamento” di animali e vegetali: invece di cogliere l’impressionante analogia fra uomini e formiche quei biologi si curano di distinguere con due termini diversi due fenomeni così uguali. L’altra considerazione è che anche l’uomo attuale ha perso la capacità di vivere senza animali e piante domestici: non sapremmo più sopravvivere come cacciatori raccoglitori. Quindi l’uomo è coevoluto insieme agli esseri viventi che ha domesticato, proprio come è successo alle formiche: un’altra analogia, e non da poco.

Le formiche schiaviste hanno, all’interno del loro formicaio, formiche schiave che lavorano per loro. Solitamente le schiave sono di un’altra sola specie, ma alcune schiaviste dispongono anche di schiave di specie diverse, specializzate per funzioni diverse. Più raramente, le schiave possono anche essere della stessa specie delle loro padrone schiaviste. Le schiave non sono incatenate: svolgono spontaneamente i loro compiti secondo un processo analogo all’imprinting fra vertebrati: vengono allevate da altre formiche schiave e trovano naturale essere schiave: acccettano il loro ruolo come fanno tutti nel formicaio; le loro padrone schiaviste vengono considerate come sorelle di una qualche casta superiore. Accade anche che i formicai delle formiche schiaviste abbiano la stessa architettura dei formicai delle schiave, per il semplice motivo che a lavorare per costruirli sono soltanto le formiche operaie schiave che lavorano istintivamente, proprio come quando costruiscono i loro formicai. Alcune specie di formiche schiaviste si sono evolute in totale dipendenza delle loro schiave: non saprebbero vivere senza di loro, sanno soltanto catturare, dare ordini o, forse meglio, pretendere servizi. Nell’umanità gli schiavi provengono sia da catture che da riproduzioni in cattività; nelle formiche pare che provengano soltanto da catture, sopratutto a livello larvale. Dal formicaio delle schiaviste viene attivata la ricerca di un formicaio da aggredire per procurarsi schiavi, quindi vengono incaricate di trovarlo formiche operaie specializzate esploratrici. Trovatolo, queste tornano lasciando una traccia odorosa che seguiranno poi conducendo lì le formiche soldato ed eventuali operaie saccheggiatrici. Le formiche soldato attaccano il formicaio e uccidono chiunque resista, catturano giovani operaie, poi saccheggiano la nursery e si impossessano dei bianchi bozzoli che trasportano nel loro formicaio dandoli in consegna a formiche schiave allevatrici.

Alcune specie di schiaviste sono talmente specializzate che non sanno fare altro che questo.

Anche sullo schiavismo DM ci propone due osservazioni interessanti.

Come per la “trofobiosi” ci sono biologi recalcitranti a parlare di schiavismo quando le specie sono diverse, perchè secondo loro lo schiavismo umano si ha soltanto all’interno di una stessa specie. Questo è necessariamente vero oggi che sopravvive una sola specie umana, ma non esiste motivo razionale per pensare che non ci sia stato anche schiavismo inter-specie quando coesistevano diverse specie umane, anzi: presumibilmente quello era proprio il caso normale, mentre lo schiavismo intra specie, cioè all’interno della stessa specie, era l’eccezione.

Si può ritenere che, sia per le formiche sia per gli umani, istintivamente non sia accettabile lo schiavismo all’interno della stessa specie. Per superare quell’istinto si ricorreva e si ricorre alla pseudospeciazione, cioè alla creazione di una identità di gruppo (formicaio o tribù) così forte che gli "altri” vengono percepiti come se fossero di una specie diversa. Nel caso dello schiavismo fra uomini abbiamo precise testimonianze di quanto culturale fosse la pseudospeciazione: gli schiavi erano considerati di una razza inferiore, senz’anima: in termini umani la pseudospeciazione si chiama razzismo; vedremo che il razzismo fa diventare accettabile non solo lo schiavismo ma anche la guerra.

Tradizionalmente si considera la ferocia come prerogativa delle bestie (animali non umani) e sopratutto delle belve (predatori non umani), ma l’etologia ci mostra proprio il contrario.

I combattimenti fra maschi o fra femmine dello stesso branco non provocano uccisioni ma creano gerarchie che servono proprio ad evitare, mediante spontanee sottomissioni, ulteriori combattimenti. Anche fra individui di branchi diversi o di specie diverse le uccisioni sono eccezioni: chi penetra in un territorio altrui è naturalmente disponibile alla fuga: l’aggressività e il coraggio vengono dosati dalla paura. I combattimenti mortali sono rari e quasi sempre riguardano soltanto combattimenti fra individui; le madri che difendono i loro cuccioli sono particolarmente aggressive, ma quasi sempre basta la fuga dell’intruso a fermare l’aggressione. Sono stati osservati anche combattimenti mortali fra branchi per il possesso di un territorio, quindi considerabili come guerre, ma sono vere rarità. Sono stati osservati fra branchi di lupi, e una guerra famosa è stata osservata a Gombe fra gli scimpanzè studiati dalla J. Goodall: il branco sconfitto è stato sterminato fino all’ultimo scimpanzè, malgrado fossero parenti stretti dei vincitori. L’etologia, che non studia i fossili ma soltanto le specie attualmente esistenti e osservabili, ci dice che soltanto per due tipi di animali la guerra è normale: per l’uomo (oggi di una sola specie) e per le formiche (di diversi generi, ciascuno di tante specie).

L’analogia fra uomini e formiche non è soltanto nel fatto che praticano normalmente le guerre, ma anche nel come lo fanno. I soldati non hanno il sapiente equilibrio fra coraggio e paura: devono essere soltanto coraggiosi e aggressivi perchè così sono stati predisposti (predisposte istintivamente le formiche ed educati culturalmente gli uomini), pronti ad uccidere il nemico, senza bisogno che esista alcuna inimicizia individuale: pronti ad uccidere uno sconosciuto. I soldati vengono reclutati, sottoposti a riti che rinforzano l’identità, la compattezza di branco e l’obbedienza ai superiori. Questi riti ancestrali sono osservabili e riconoscibili sia in alcuni mammiferi predatori sia negli umani attuali che convivono civilmente e pacificamente praticando sport di squadra: sopratutto, ma non solo, nel calcio: le antiche parate militari sul campo delle esercitazioni si sono evolute in incruenti giochi di squadra tipo football e rugby.

Le formiche invece non si sono autodomesticate sui campi di gioco, ma in guerra i loro comportamenti sono fortemente analoghi ai comportamenti guerreschi umani: costruiscono fortini, compiono esplorazioni per valutare le forze del potenziale nemico, effettuano ritirate e assedi bloccando con sassi le uscite, massacrano i nemici strozzandoli e smembrandoli con le

chimiche; ci sono perfino formiche specializzate kamikaze, dotate di due grandi ghiandole gonfie di veleno. Se in combattimento si trovano in difficoltà, contraggono quelle ghiandole fino a farle esplodere, uccidendo così se stesse e tutti i nemici dei dintorni. Il loro essere kamikaze è frutto di evoluzione biologica invece che del fanatismo culturale umano, ma l’analogia è perfetta.

DM cita studi etologici su come il fanatismo riesce ad accrescere l’aggressività umana fino al punto di aggredire se stessi e qui ricompare la pseudospeciazione culturale: una popolazione, o anche una associazione umana delinquenziale, si crea una sua etica per cui gli “altri” sono disumanizzati: qualsiasi segnale di resa, di sottomissione o di empatia viene inibito. La paura della propria morte in guerra viene superata con l’invenzione religiosa di un “al di là” in cui il suicidio (che sia con le colonne di Sansone oppure con una cintura esplosiva) verrà premiato con una vita paradisiaca. La trasmissione culturale e l’accettazione di quelle verità religiose avviene con riti solenni per cui quelle “verità per fede” divengono indiscutibili, così come indiscutibile è l’autorità di chi le predica. E così la popolazione o l’associazione fanatica seguirà compatta tutte le iniziative dei suoi indiscutibili capi.

Noi, pur essendo culturali più di ogni altro animale, siamo coscienti della nostra evoluzione umana soltanto da poco più di un secolo (per la precisione: ne è cosciente soltanto una sempre più piccola avanguardia culturale dell’umanità). E’ il caso di cominciare a domandarsi anche cosa questa evoluzione significhi e perchè socialmente noi ci siamo evoluti proprio come si sono evolute le formiche.

E’ anche interessante che nell’etica umana il progresso e in particolare le domesticazioni (pastorizia e agricoltura) siano considerati favorevolmente, mentre lo sfruttamento di una classe da parte di un’altra, lo schiavismo e le guerre siano considerate vergogne umane. Eppure, dal punto di vista della storia naturale, il progresso umano, così come il progresso delle formiche, non si sarebbe avuto senza domesticazione, schiavismo e guerre.

L’attuale etica umana è essa stessa un traguardo (in cui anch’io mi riconosco e che considero irrinunciabile) del progresso umano, ma non ci aiuta affatto a capire la nostra storia evolutiva, perchè considerare oggi riprovevoli certi comportamenti umani storicamente accertati induce a ritenere che sarebbe stato possibile e meglio che l’umanità fosse “progredita” altrettanto ma senza quei comportamenti. Forse, se noi oggi possiamo permetterci un’etica diversa da quella delle formiche è soltanto perchè abbiamo avuto la loro stessa storia evolutiva. Forse, la nostra etica pacifista ed egualitaria trova così poco riscontro nell’attuale effettivo comportamento umano proprio perchè non fa parte della nostra storia evolutiva.

Infine: l’osservazione di così tante e forti analogie fra uomini e formiche ci aiuta ricostruire un lato oscuro della storia umana: perché negli ultimi due milioni di anni sono convissute tante diverse specie umane e invece adesso ne esiste una sola? L’osservazione delle guerre fra specie diverse di formiche rende drammaticamente chiara ed evidente la risposta.

 

GeriSteve

 

Commenti all'articolo

  • Di GeriSteve (---.---.---.120) 10 settembre 2017 19:50

    rileggo adesso e mi accorgo che nel testo era saltata una riga, rendendo il tutto poco comprensibile.

    Correggo qui, in grassetto la riga saltata :

    ... Le formiche invece non si sono autodomesticate sui campi di gioco, ma i loro comportamenti in guerra sono fortemente analoghi ai comportamenti guerreschi umani: costruiscono fortini, compiono esplorazioni per valutare le forze del potenziale nemico, effettuano ritirate e assedi bloccando con sassi le uscite, massacrano i nemici strozzandoli e smembrandoli con le loro acuminate e taglienti mandibole, utili soltanto per uccidere. Producono e usano armi chimiche; ci sono perfino formiche specializzate kamikaze, dotate di due grandi ghiandole gonfie di veleno. Se in combattimento si trovano in difficoltà contraggono quelle ghiandole fino a farle esplodere, uccidendo così se stesse e tutti i nemici dei dintorni. Il loro essere kamikaze è frutto di evoluzione biologica invece che del fanatismo culturale umano, ma l’analogia è perfetta.


    Scusate il refuso

    GeriSteve

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