L’ombra fatiscente di un vecchio mondo | La schiatta cainesca e un femminile ingeneroso
Camminando per i vicoli e le vie, a tratti intimamente suggestivi, di un borgo, Sapri all’anagrafe, nel Golfo di Policastro, l’occhio cade inevitabilmente, si adagia, indugia, poi si scontra inesorabilmente con la dimensione, quell’infausta e lacerante, detta della fatiscenza.
Non ci fai caso solo di passaggio, vuoi per distrazione o indifferenza, cronica e innata; ma ti cinge e ti ammanta, se in seno ti attardi, ivi residente, vuole il fato connivente. Ogni angolo che volti, pochi metri che ti inoltri, ecco che ammicca gravida e assillante in ogni veste sua imponente…
cascate di fogli di vernice che sbucciano le pareti
colate di intonaci a far la ragna mestamente
schiere di facciate crepate, screpolate, vasti sentieri a fendere la pianura, per sovraccarico, alterazione e infiltrazione
volti anneriti da turbe confuse di funghi colonizzatori
drappelli di serrate che nell’avvicendamento delle fasi di transizione e permanenza si tingono di rossiccio a perenne memoria
case chiuse vecchie e nuove, lungi dall’evocazione di antichi lupanari nell’immaginario comune, che in odor di abbandono languono senza vita nel tepore di un’aria abulica, unica luce la decadenza, una morte per inedia. (Galleria fotografica reperibile su Flickr al link)
L’occhio attento, il cuore avvezzo non è insensibile alle lusinghe di un tal convegno, sublime ombra di un’anima in travaglio, tormentata, afflitta e reietta che chiama al mondo e alla memoria il sussurro di quel Sisto che qui vi avverte “un silenzioso lamento delle strutture sopraffatte da eccessivi e sempre più gravi cimenti” e vi sollecita l’intervento esperto. Sono strutture or dell’anima incancrenite e guastate, corrotte e infiltrate di un veleno che ci scorre dentro a riflettere quel gemito da sopraffazione barbarica e indiscriminata. Quella convivenza con le cose, così dette, il nome più indeterminato e insieme più comprensivo della nostra lingua, indicativo di tutto quanto esiste nella realtà e altrove, raramente utilizzato per esseri animati, lo stare con esse, co-abitarvi, l’essenza stessa della relazione con le cose che ci circondano e ci riflettono si è fatta malaccorta, incerta e sgraziata. Nella bugiarda pretesa di uno spirito che eleva l’uomo astraendosi dalla materia, incurante del fatto che ne risulta determinato, egli si scopre nell’impossibilità di realizzarla se la sconfessa e la muta a oggetto rinnegando la sua stessa anima.
Il risultato si palesa tristemente allo sguardo vivo, l’immaturo e invano spettacolo di un possesso fisico e la sua compagna, la frustrazione: scenari a tal punto avvilenti con le pitture che si congedano, dalle tinte ormai stanche, sporche, vestite di strati di muschi e alghe, che sembrano riflettere una terra notoriamente definita “dei tristi” in quell’accezione tentata da Leuzzi di espressione “di un dolore misto a cruccio, a dispetto e talora pieno di astio e malumore”. E narra chi è più esperto la storia di un paesaggio qui in pena, ostaggio di un’orda di eredi perennemente ingaggiati nella battaglia per ogni metro di porzione conteso e di un femminile ingeneroso, abbarbicato alla sostanza come l’edera al muro, soffocandola e impedendone ogni ascesa e fioritura.
Non a caso certi addetti ai lavori, ben più ferrati della sottoscritta, hanno adottato l’eguale verbo acconcio quando guardano all’edificio qui malato come al paziente la cui sofferenza non è comunicata in maniera esplicita, eppure “parlano, dicono di tutto, raccontano le origini, il passato, se sono ricchi o poveri, vecchi o giovani, narrano grandi gioie e grandi sofferenze… rivelano infine il loro attuale stato di salute, basta comprendere loro e il loro linguaggio”. E muovendo, via dicendo, a sconfinare in uno spazio clinico è nota da decenni la sindrome da edificio malato che identificando una serie di fattori di rischio quali ventilazione insufficiente, emissione di sostanze odorose e irritante da parte di materiali e apparecchi, danni dovuti all’umidità, oltre ad un clima sgradevole nel locale, va a determinare effetti a carico di
apparato respiratorio
apparato cardiovascolare
cute e mucose esposte
sistema nervoso
sistema immunologico,
quella stessa sindrome familiare anche al Ministero dalla salute italico.
D’altro canto in quanto facie evoluta e pur avanzata di un tempo nostro, noi umani, ci conciamo a prestare attenzione al cadavere che ci vive dentro solo nell’istante in cui il lezzo sfiora il cielo e la tragedia il capo di un frutto ingenuo.
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