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L’ingiustizia epocale della riforma dei Giudici

La disinformazione è lo strumento attraverso il quale un “potere” rappresenta falsamente la realtà in funzione di un proprio specifico interesse. Questo avviene, però, con una scientifica manipolazione dei dati, delle circostanze e dei fatti; così da rendere credibile una tesi o, peggio, la necessità di un intervento finalizzato al raggiungimento di uno scopo “altro” da quello effettivamente utile o indispensabile.

Il progetto di riforma della giustizia avanzato dalla maggioranza, le reazioni dell’opposizioni e, per certi, versi della stessa Magistratura sono la quint’essenza del meccanismo operativo della disinformazione. Un caso accademico che consente di comprendere il funzionamento del processo di disinformazione.

Ma tanto è l’affanno con il quale ognuno (singoli e poteri) si agita nel sostenere miracolosi “rimedi” che, incredibilmente, finisce con il tradire gli stessi concetti di logica e consequenzialità delle cose. Infatti, se la giustizia soffre di un sovraccarico di procedimenti e di tempi lunghi è fin troppo semplice comprendere che questo possa essere dovuto ad una scarsità di mezzi e di uomini. Naturalmente avendo cura di verificare se, a monte, si assomma anche un problema di natura organizzativa. 

Appare ovvio che risorse umane, mezzi ed organizzazione sono il primo tassello da inserire in una ipotetica riforma del sistema giustizia.

Nel dibattito che coinvolge maggioranza ed opposizione – tristemente privo di concretezza – non si fa mai cenno, ad esempio alla Cepej: la commissione istituita appositamente in seno all’Unione europea per monitorare i dati sul funzionamento della giustizia nei diversi stati dell’Unione.

Nelle quasi 400 pagine del rapporto pubblicato nel mese di novembre 2010 si legge tra l’altro che il numero dei giudici e dei pubblici ministeri italiani, se rapportato al numero di abitanti, non è così alto, anzi è nella fascia bassa della graduatoria, e che anzi molti Paesi hanno un numero molto superiore al nostro di giudici e pubblici ministeri onorari, ossia non di carriera. Quindi, il fatto che i magistrati italiani siano troppi è una leggenda metropolitana. E discorso identico vale per il personale di cancelleria e amministrativo. Si scopre poi che nella giustizia civile, e ancor più in quella penale, le cause che ogni anno arrivano sulle scrivanie dei magistrati italiani sono molte, molte di più di quelle affidate ai colleghi di quasi tutti gli altri Paesi europei; è tuttavia non altrettanto elevato il numero di processi che ogni anno vengono esauriti dai nostri giudici. Accade quindi che il numero di casi definiti , in rapporto a quelli che arrivano, sia del 94% nei contesti definiti dall’UE come “litigiosi” e del 96% per i “non litigiosi”. Si aggiunga a questo un altro elemento: il numero di sentenze pronunciate in un anno ogni cento giudici nel 2008 è 0,7 a fronte dello 0,6 della Spagna (che ha un più elevato numero di magistrati) ma anche a fronte di una media europea dell’1,2. Quanto poi al capitolo retribuzioni, i magistrati italiani viaggiano poco oltre la metà classifica rispetto agli altri Paesi dell’UE: ma va considerato che in graduatoria ci sono i magistrati dell’Est europeo (i cui bassi stipendi risentono delle condizioni economiche di quei Paesi); mentre ad esempio i nostri giudici e pm sono meno pagati dei colleghi francesi, spagnoli e anche greci, per non parlare di quelli inglesi, specie considerando gli stipendi al netto delle tasse.

Questo senza considerare la pochezza e l’arretratezza tecnologica dei mezzi. Circostanza che è, almeno, incomprensibile, atteso il costo, per il privato, del servizio “giustizia”. Nel settore civile, ad eccezione di specifiche materie come il diritto di famiglia o il diritto del lavoro, l’instaurazione di una causa è preceduta dal pagamento del c.d. “contributo unificato”: l’entità varia con il variare del valore della causa. Ma già un contenzioso di valore superiore ad Euro 5.200,00 ha un onere iniziale di 187 euro. Richiedere la copia semplice di un documento ha un prezzo almeno tre volte superiore a quello di una normale fotocopia; se poi quel documento è urgente o deve essere autenticato si giunge anche fino a sei volte e più. Ogni sentenza e diversi tipi di provvedimenti del Giudice sono sottoposti ad imposta di registro.

A ciò si aggiunga la circostanza della materiale impossibilità di riscuotere denaro, per cauzioni o confische, già nella disponibilità dello Stato.

Sentiamo sempre parlare dei costi della giustizia e mai degli incassi, quando invece un sistema giudiziario efficiente potrebbe far entrare nelle casse dello Stato tanti soldi da coprire i costi e forse anche di più. Ma nessuno ha mai fatto questi calcoli. Sappiamo che sono miliardi di euro che vanno da quelli sequestrati agli spacciatori a quelli provenienti dai reati finanziari, ai patrimoni immobiliari. Nell'attesa che le sentenze diventino definitive chi gestisce questi soldi e chi li fa fruttare?

È il 6 ottobre del 1993: vengono sequestrati dalla magistratura italiana 621 milioni di lire da un conto svizzero e trasferiti sul conto corrente della BNL del tribunale di Milano. Primo Greganti, titolare di quel conto, viene accusato di aver ricevuto quei soldi per conto della segreteria nazionale del Pci. Era la tangente pagata dalla Ferruzzi per ottenere gli appalti ENEL, estesa anche alla DC e al PSI. I tre gradi di giudizio lo hanno confermato. Nel 2006 quel denaro, tradotto in 390 mila euro, si trovava ancora sul conto della banca.

In un intervista di quell’anno il Pubblico Ministero Dott. Ielo (Procura di Milano) confermava l’esistenza di numerosi casi analoghi.

Ma gli sprechi, frutto di disorganizzazione e mala gestio, son infiniti. In Italia vi sono 374 Tribunali e 220 Sezioni distaccate in Comuni con poche migliaia di abitanti. In Piemonte esiste un Tribunale ogni 20 chilometri in linea d’aria. Sono anni che si parla di accorpamento ma nulla viene fatto

Provvedere ad una razionalizzazione del sistema, alla corretta dotazione di uomini e risorse sarebbe davvero una riforma epocale.

In questo contesto disquisire di costi delle intercettazioni, separazione delle carriere, responsabilità dei magistrati è una vera e propria manipolazione della realtà. Ma altrettanto gravi sono le reazioni delle opposizioni: la mancanza di una reale rappresentazione della realtà, l’esaurirsi dei contenuti nella pratica degli slogan.

In realtà parlare di processo breve o prescrizione ridotta equivale a coprire la sporcizia con un tappeto; nascondere il problema.

Ciascuna delle parti sa bene che non sono queste le condizioni per parlare di riforma della giustizia: sono stati necessari quasi vent’anni per riformare il codice di procedura penale (dal 1970 al 1989) con risultati, tecnicamente, assai discutibili. Nei successivi dieci anni l’intero impianto è stato stravolto dagli interventi della Corte Costituzionale e da leggine emanate sull’onda di una qualche emergenza. Tutti i governi che si sono succeduti hanno poi speso centinaia di migliaia di Euro nella riforma del codice penale (Commissioni, Consulenze , Studi ecc… ) senza giungere ad alcun risultato concreto.

In un mondo “perfetto” con un sistema giustizia efficiente ed organizzato potrebbe essere utile ragionare di separazione delle carriere o di responsabilità dei Magistrati. Non si tratta di questioni faziose o inutili, ma oggi è come pensare di far correre in pista un auto di serie appena incidentata. 

Il principio della responsabilità civile dei magistrati è sacrosanto: chi sbaglia paga. Vale per il medico, come per l’avvocato. La responsabilità per colpa grave è indubbio che debba sussistere per chiunque: l’avvocato che dimentica di proporre una impugnazione nei termini di legge, un medico che lascia la garza nel corpo del paziente, un magistrato che per negligenza o imperizia emana un provvedimento radicalmente sbagliato. Oggi per procedere nei confronti di un Magistrato occorre richiedere l’autorizzazione al Ministero ed avviare un iter particolarmente complesso. Così da rendere sostanzialmente inutile qualsiasi richiesta di un eventuale danneggiato (che pure ci sono e che non rivestono alcuna carica istituzionale). 

E’ però altrettanto sacrosanto che un magistrato debba, innanzitutto, essere posto nelle condizioni di operare in un sistema “minimamente” efficiente e funzionale. Ma pure nell’ambito di leggi chiare e precise. La confusione legislativa, la mancanza di coordinamento fra diverse norme, la palese illogicità di numerosi provvedimenti di legge consentono, oggi, ad un Giudice di assumere, per un identico caso, decisioni opposte. Ciascuna di esse logiche, congruenti al diritto anche se frutto di una attenta analisi. Se poi quella decisione venisse ribaltata e modificata in un giudizio di appello potrebbe risultare altrettanto “giusta” e giuridicamente corretta.

Piero Calamandrei scrisse il famoso “Elogio dei Giudici” in quattro distinte edizioni: la prima uscì nel 1935, la seconda nel 1938, la terza nel 1954 e l’ultima (postuma) nel 1959. Racconta di vizi, virtù, debolezze, coraggio, capacità, corruzione, invidia di politici, magistrati, avvocati e parti del processo: oggi non è cambiato quasi nulla.

Ed è assai triste vedere che tra i banchi del legislatore sono seduti numerosi avvocati ed anche molti magistrati che sembra non conoscano affatto ciò di cui , così animatamente, discutono.

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