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L’inedia del Governo e le priorità di Confidustria

La retorica della crescita coperta dalla demagogia della crisi

La reazione dei governi dell'area euro alla crisi economica globale si è dimostrata largamente insufficiente ed inadeguata. Nondimeno gli USA hanno evidenziato incertezze sulle concrete misure da adottare.

Al di là delle obiettive difficoltà concrete è indubbio che la Politica Economica dei Paesi in questione è caratterizzata dall'incertezza sulle scelte più che da una valutazione sull'efficacia dell'una rispetto all'altra.

L'aspetto inquietante è che una simile incertezza prescinde dalla capacità delle misure da adottare di intervenire positivamente rispetto alla crisi, ma trae origine dalla difficoltà di individuare la classe economica da “colpire” ed i soggetti destinati a subire gli effetti maggiormente drammatici delle misure.

La destabilizzazione sociale della Grecia e della Spagna, le imponenti manifestazioni di disagio e malessere che iniziano a caratterizzare il nostro Paese, ma pure la Francia e la Germania non consentono ai sistemi economici di Europa ed USA di imporre sacrifici al ceto medio produttivo e, quindi, alla piccola borghesia (comprendendo in questa classificazione ormai anacronistica la stessa classe operaia).

L'intervento monetario che si impone (quello più strettamente economico ha altre prerogative) necessità per qualità e quantità una tale entità di tagli alla spesa pubblica e di entrate da non poter essere gestito sul modello greco

I timidi approcci che ipotizzano interventi sui patrimoni – e non solo in Italia – appaiono essere più un “sondaggio” per misurare le reazioni che una effettiva alternativa in fase di studio.

Questo rileva la pochezza culturale e la assoluta mancanza di uomini di Stato (gli statisti appunto) nell'intera classe politica del “vecchio occidente”.

La partita è giocata sul tavolo della irresponsabilità. Da un lato i governi esclusivamente preoccupati della loro sopravvivenza alle prossime elezioni; dall'altro il sistema finanziario ed economico che immagina di poter ritornare al tossico benessere degli ultimi lustri che hanno preceduto il crollo. 

Il dramma di questa irresponsabilità è nella piena consapevolezza e coscienza delle ragioni della crisi e delle misure obiettivamente utili e necessarie alla soluzione.

Non troppi anni fa la stessa classe politica economica americana – immediatamente seguita dagli europei – ha urlato la necessità di riformare il sistema finanziario ed il mercato dei titoli. Si è parlato di regole, di gioco pulito ed in ultimo di titoli tossici ed inquinanti. Alla prova dei fatti non è seguito nulla.

Nessuna concreta sanzione agli inquinatori e si continua, invece a parlare, di generici speculatori che attaccano i Paesi, omettendo di fornirne nome e cognome.

Percorrendo un dirupo che conduce allo sfascio si possono, forse, tollerare come indispensabili gli aiuti al sistema bancario per evitare un ancora peggiore ruzzolare, ma non si può ammettere l'arroganza e la protervia con la quale ci si ostina a non cambiare le regole del gioco sul mercato finanziario, a non prevedere una disciplina ispirata ad un preciso ed indefettibile principio: il sistema finanziario come specchio reale del sistema economico e produttivo che riflette. Fin tanto che ciò non accadrà parlare di speculatori o di tossicità come fenomeno immanente ed inevitabile sarà esercizio retorico.

Purtroppo l'Italia – nella classe politica ed economica che tiene il gioco in mano – rappresenta l'esempio accademico di una tale irresponsabilità. Abbiamo il record di minor tassazione delle rendite finanziarie rispetto agli altri Paesi dell'area Euro; ed abbiamo un sistema bancario che, fino all'altro ieri, ha finanziato l'impresa rifilando a garanzia swap e derivati (avendo cura di ottenere fideiussioni personali di migliaia di piccole aziende), salvo poi chiudere ogni rubinetto sbandierando gli accordi di Basilea.

Ma pure nei dettagli – non per questo minori – la classe dirigente italiana si distingue per irresponsabilità: la nomina del vertice della Banca d'Italia diviene affare politico. Proprio il ruolo che per definizione dovrebbe caratterizzarsi per imparzialità ed equidistanza.

Il segnale che più di ogni altro mette a nudo irresponsabilità ed incapacità della politica è quello che proviene dalla Confindustria. Le cinque priorità indicate dall'associazione degli industriali non possono certo definirsi una novità nel panorama delle ricette economiche offerte negli ultimi decenni (di interventi sulle pensioni e di riforma fiscale, così come di privatizzazioni e liberalizzazioni se ne discute da sempre). Ma nonostante questo, e nel confronto con l'inedia del governo, esse appaiono anche rivoluzionarie: qualcosa di concreto.

Nella realtà non solo vi è poca novità in quelle proposte, ma sono ben lontane dal concetto di efficacia.

FISCO. Non è sufficiente una riforma: è necessario un ribaltamento dei principi.

L'evasione fiscale non si contrasta solo con il sistema sanzionatorio (l'Amministrazione finanziaria è priva di una struttura idonea ad operare efficaci controlli) ma con norme capaci di assicurare l'effettività delle entrate. Recentemente in Brasile è stata introdotta una disciplina premiale per i consumatori: dagli scontrini, dalle ricevute e dalle fatture potranno detrarre una percentuale pari al 30% di quanto pagato per l'imposta locale simile alla nostra IVA. Ciò che è espressione di un principio assai elementare: determinare un interesse contrario a quello del potenziale evasore. Nel conflitto delle due posizioni si genera comunque una dinamica virtuosa.

La detassazione degli utili reinvestiti in attività produttive capaci di generare occupazione deve essere ampia e con pochi limiti. A patto che l’investimento sia reale.

La tassazione delle rendite finanziarie dovrebbe essere il fulcro intorno al quale costruire nuove regole per il mercato finanziario.

Le imposte sui patrimoni – legittime in momenti di emergenza – dovrebbero agire sempre secondo un sistema premiale: la capacità di produrre reddito ed occupazione riduce l'intervento fiscale. Ciò avendo ben chiaro che ipotesi di patrimoniale non sono altro che sistemi distorti per recuperare fette di evasioni colpendo nel mucchio. In teoria il patrimonio di un soggetto è espressione della capacità economica di quel soggetto dopo il pagamento delle tasse: si acquista una casa con i soldi ricavati dal proprio lavoro.

Se invece il patrimonio è il frutto di una evasione fiscale imporre su di esso una tassa consente di recuperare, almeno parzialmente la quota di evasione. Ma questo serve solo a dimostrare l'incapacità dello Stato a fronteggiare il fenomeno con una azione indiscriminata capace di colpire anche chi ha adempiuto ai propri obblighi tributari.

Infine sarebbe necessaria una struttura statale capace di colpire il lavoro sommerso con sanzioni particolarmente pesanti e gravose. Ma soprattutto capace di recuperare la produttività di quel sommerso che esiste ed è reale. Un tema sul quale la Confindustria dovrebbe avere maggiore sensibilità, atteso che il “lavoro nero” è anche una odiosa forma di concorrenza sleale.

PRIVATIZZAZIONI. Non può essere negato che gran parte del patrimonio pubblico sia praticamente abbandonato a se stesso. Ma è altrettanto vero che il patrimonio pubblico dovrebbe avere la funzione di assicurare, attraverso una corretta gestione, una entrata allo Stato derivante dalla rendita di quel patrimonio. Forse sarebbe prioritario “governare” nel senso più autorevole di questa espressione ed operare affinché questo si realizzi.

LIBERALIZZAZIONI. Tutti siamo d'accordo per una migliore regolamentazione della concorrenza anche assicurando un ampliamento delle possibilità di accesso al mercato. Altra e diversa cosa è questa specie di giungla imprenditoriale che si vuole irresponsabilmente introdurre eliminando dei c.d. “ostacoli alla concorrenza”. Viene da sorridere ad una simile ipotesi solo che si consideri lo stato di corruzione e clientelismo nel quale opera l'intero mercato. Innanzitutto deve essere chiarito che i controlli demandati agli Ordini professionali (medici, avvocati, notai, ingegneri ecc...) non hanno affatto una radice corporativa. Essi assicurano che servizi particolarmente delicati per la collettività vengano svolti da soggetti non solo capaci, ma pure responsabili. Per latro verso è forse possibile lasciare totale improvvisazione nell'apertura di attività commerciali in un centro abitato, senza pensare ai servizi ed alla concreta situazione ambientale, urbanistica e territoriale del luogo? Il vero ostacolo alla concorrenza sono i sistemi di intreccio e di interessi che si creano su base illecita: viene escluso ogni valore al merito ed alle capacità.

PENSIONI.  Sicuramente verrebbe meno la necessità di intervenire sulle pensioni a fronte di un serio intervento in materia di fisco e privatizzazione, almeno per le ingenti risorse che si andrebbe a recuperare. Ma prima di agire sui trattamenti di anzianità e sull’età lavorativa sarebbe opportuno considerare le pensioni ricche, fissare ad esse un tetto concreto ed adeguato ed evitare duplicazioni di benefici.

Ciò senza considerare che quanto proposto da Confindustria determina, almeno aritmeticamente, una chiusura occupazionale.

Non è retorico e nemmeno demagogico domandarsi se esiste una effettiva volontà di intervenire o se l'unica priorità della classe dirigente (economica e politica) è la sola conservazione di uno status di privilegi

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