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L’importante non è quando usciremo dalla crisi, ma come...

Più volte, negli ultimi giorni, ho letto ed ascoltato interventi dei nostri rappresentanti di Governo, associazioni e centri studi, in cui si è annunciata, in qualche caso persino con numeri alla mano, la prossima uscita dalla crisi del paese, col ritorno, nei primi mesi del 2014, ad una piccola crescita del Pil, più o meno tra lo 0,5% e lo 0,7%. E' tutto vero? Sì, o quasi, ma in ogni caso manca il dato più importante di tutti: il "come" si possa arrivare a questa ripresa.

Mi spiego. L'Italia ha bruciato negli ultimi anni di crisi produzione, occupazione, valore industriale, culturale e sociale del paese, arrivando al punto di riportarci, in termini di benessere procapite, indietro di quasi 30 anni. Abbiamo letteralmente divorato, consumato quelle antiche rendite costruite da generazioni di lavoratori, imprenditori, professionisti che avevano generato nel tempo gran parte della ricchezza materiale e morale che aveva reso questa nazione davvero grande nel mondo. Un esempio su tutti è il nostro povero Made in Italy, promosso egregiamente negli anni del boom sul modello culturale di un paese agricolo/artigiano/industriale capace di valorizzare le sue migliori qualità, in primis la perfezione del prodotto e la sua inimitabilità, poi mestamente svenduta in Asia tra gli anni '90 e il 2000 con quella delocalizzazione industriale che oggi ci si è ritorta contro e concorre a penalizzarci. Peggio è accaduto alla produzione agroalimentare, messa periodicamente in dubbio da continui scandali ed inquinamenti, mentre la produzione di cultura e di ricerca scientifica è ormai quasi sparita a causa di una cattiva spesa pubblica e dalla scomparsa di veri mecenati. A tal proposito, è ormai impossibile frenare la fuga continua di uomini e donne capaci che trovano troppe incertezze in un organismo statale troppo macchinoso e vessatorio, che al tempo stesso porta alla mancata realizzazione di progetti politici moderni, giovani, democratici...

Insomma, usciamo male sul serio da questa crisi, un po' come fossimo stati azzoppati poco prima di una maratona, quella della ripresa, che paesi come la Spagna (per indicare nazioni vicine geograficamente e culturalmente) con scelte coraggiose hanno saputo anticipare.

Certo è che l’Italia non dovrebbe essere seconda a nessuno. Basti pensare che in recenti studi si sono stimati, su una spesa pubblica di 850 miliardi di euro l’anno, sprechi per 300 miliardi. Come evitarli? Dovremmo attenerci a poche e ferree condizioni, come il rispettare qualche antica promessa, equiparare settore pubblico e privato rendendo merito a chi si impegna e non livellando sempre tutti gli atteggiamenti verso la mediocrità (come i premi a pioggia per tutti i dipendenti pubblici), tagliare sul serio l'inutile spesa statale (non quella che realizza investimenti sul futuro, tipo ricerca e infrastrutture), alias gli sprechi rappresentati da Province, Enti intermedi, municipalizzate in perdita.

Occorre tenere, invece, le aziende strategiche ed in utile come Eni, Enel e simili. In questo quadro ancor più insopportabili risultano gli sperperi della sanità pubblica, come il costo che si moltiplica di 100 volte sull'acquisto del materiale sanitario passando da nord a sud. Rimediando a uno scempio del genere andremmo a favorire, con i risparmi conseguiti, investimenti in ricerca, personale medico e strutture, premiando il merito così come andrebbe fatto in politica, dove una riforma elettorale degna di questo nome deve porre le basi per un paese migliore, che magari si fondi non più sulla fedeltà al partito o al segretario di turno, ma su quella all'Italia...

Potrei continuare a lungo questo elenco, ma penso sia più interessante e giusto raccontare anche altro. Nel nostro paese, nonostante i tanti problemi, si continua ad incontrare tanta, tantissima gente che si impegna nel fare il proprio dovere, persone integerrime di tutte le età, le estrazioni sociali, i ruoli e le parti. Gente arrabbiata che coltiva dentro di sé quella voglia di riscatto che continua a trovare stimoli e speranze, che invece di considerarsi parte del problema preferisce diventare parte della soluzione, riscoprendo la cittadinanza attiva, il valore di impegnarsi nel proprio lavoro e nella propria comunità, che più che predicare insiste nel praticare.

Certo, molti a volte si sentono sconfitti e rassegnati a causa di una società che sembra non voler mai cambiare. Ma se si vuole ci si rialza e si tenta comunque di fare la differenza. Capita a volte anche a me, lo confesso, che pure mi sento e sono un fortunato, di sentire la stanchezza, il dispiacere, anche il disgusto per quella vecchia e brutta storia che mette insieme il debito, l'ingiustizia, i mancati pagamenti, la cattiva burocrazia, la peggiore politica d’Europa. Poi basta uno sguardo al nostro panorama, una passeggiata in mezzo ai cittadini, e ritrovo negli occhi di un passante e anche di chi amo la spinta, la voglia di sfidare quegli ostacoli mettendomi in gioco, buttando il cuore oltre le staccionate dei mille problemi che a dimensioni diverse tutti affrontiamo. E mi viene da pensare che dopotutto siamo italiani, e l'essere capaci di imprese eccezionali ci è riconosciuto dalla storia e dal mondo, anche quando l'impresa più grande da affrontare è quella di cambiare noi stessi.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.182) 2 dicembre 2013 10:30

    Per favore non tirare in ballo la Spagna.

    Ci vivo e vedo le code alla Caritas per mangiare, i bambini a scuola senza libri, i malati di cancro che muoiono aspettando un’operazione...
    La crisi spagnola è talmente profonda (quasi il 30% di disoccupati) che ci vorrà una generazione o più per uscirne.
    Il governo spagnolo riesce solo a fare leggi per favorire i licenziamenti e per bloccare le proteste di piazza. 
    La burocrazia è macchinosa come quella italiana, le tasse sempre più alte, però la priorità del governo è vietare ai ragazzi di giocare a pallone per strada e vietare di filmare la Polizia quando ammazza la gente per strada.
    Se si licenzia qualche dipendente statale è nella sanità e nella scuola, mai da ministeri o enti inutili, proprio come in Italia.
    La Spagna sta andando di corsa verso un futuro nero, molto nero, anche politicamente.
    L’Italia dovrebbe guardarla per evitare gli stessi errori, altro che prenderne esempio!

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