Grazie a Carlo Levi è entrata nell’uso comune "Le parole sono pietre" e sono vere pietre se si utilizzate con odio e a sproposito, senza alcun rispetto per chi legge o ascolta, ma spesso si aggiunge anche dell’astio verso l’oggetto del servizio giornalistico.
Di per se stessa
la parola "clandestino" non è denigratoria e offensiva, ma sui media italiani assume un significato negativo, ricolmo di sottointesi negativi e a sfondo razzista. Sostituire "clandestino" con il termine "immigrato", come in altri casi, è ciò che già nel 2008 si era consigliato con la redazione della Carta di Roma e che si è ribadito nell’incontro promosso il 19 luglio scorso, presso l’Associazione stampa estera, dall’
Osservatorio Carta di Roma per illustrare i risultati della ricerca realizzata nell’ultimo semestre sull’informazione italiana in materia di
immigrazione e di asilo, con particolare attenzione al modo in cui i telegiornali delle reti generaliste e i quotidiani hanno seguito i fatti di Rosarno, in Calabria, all’inizio di quest’anno.
Una giornata di riflessione che ha coinvolto, oltre a Laura Boldrini (portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati
www.unhcr.it/), Enzo Iacopino (presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti) e Roberto Natale (presidente della
Fnsi), giornalisti di numerose testate, per un confronto sul “Protocollo deontologico concernente immigrati, rifugiati, richiedenti asilo e vittime della tratta”.
La campagna "Mettiamo al bando la parola clandestini" è cosa buona e giusta, se impiegata con cattiveria, ma è altrettanto utile riflettere sull’utilizzo, in certi contesti, del vocabolo “diverso”, dando maggior risalto a quello di “differente”, per evidenziare le uguaglianze dell’umanità nel essere dotati delle stesse caratteristiche, ma con modifiche culturali e variegate tonalità di colore della pelle, dei capelli e degli occhi.
Giornalisti stranieri, oltre agli italiani, per racconteranno come nei loro Paesi viene affrontato il problema. Studiosi e politici, ma soprattutto rappresentati di associazioni e organizzazioni (Caritas, Fondazione Migrantes, Consiglio Italiano per i Rifugiati, Centro Astalli), impegnate nell’ambito dell’immigrazione e in una posizione privilegiata per osservare il pressappochismo del linguaggio dei media nell’informare e rappresentare l’immigrazione.
Usare con leggerezza i vocaboli, quasi come se fossero pescati casualmente dall’elenco delle banalità, per confezionare un titolo eclatante o un occhiello sensazionale, è un cattivo servizio all’informazione. Etichettare gli stranieri in fuga e indigenti con tutti gli appellativi riconducibili alla criminalità, è indice di superficialità e cinismo, quanto l’utilizzare Shoah o conflitti di religione ogni volta che può far rima con l’incoerenza giornalistica.