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L’Expo dell’Italia clericale

I politici italiani hanno un’anormale passione per i “grandi eventi”. E un tasso di clericalismo assai superiore a quello dei colleghi dell’Unione Europea. Inevitabili conseguenze delle due premesse: ogni evento cattolico è per definizione “grande”, e ogni “grande evento” si rivela inevitabilmente clericale.

Sogni irrazionali di grandeur che nemmeno i cugini transalpini osano più coltivare. E vai, ogni volta, con la previsione di folle immani, di profitti fantamiliardari, di benefici protratti per decenni. Fosse vero, per organizzare i “grandi eventi” ci sarebbe la fila. Voi vedete per caso qualche fila? Per organizzare l’Expo 2015 Milano ha dovuto vincere la concorrenza della sola İzmir. Non per caso. I grandi eventi si concludono quasi sempre in perdita ovunque si svolgano. Basterebbe dare un’occhiata ai bilanci delle ultime Olimpiadi, che il governo Renzi vorrebbe comunque organizzare a Roma, nel 2024. Con quale utilità e quali credenziali non è dato sapere, visto che non è stato nemmeno in grado di approntare tutti i padiglioni fieristici per l’inizio dell’Expo.

Una manifestazione, quest’ultima, che è a sua volta paradigmatica di una deleteria attitudine italica. “Il ristorante più grande al mondo”, ammicca la pubblicità per l’evento. Come se la dimensione contasse. Come se l’innovazione del paese potesse passare soltanto per un aggiornamento del menu con aumento dei prezzi al seguito. Per il resto, nulla di nuovo da segnalare. A cominciare dalla religione. Unico capo di stato estero a prendere la parola alla cerimonia di apertura? Il papa.

Il “sobrio” padiglione del Vaticano è costato tre milioni (chissà quanto sarebbe costato se non fosse stato sobrio), ma erano pronti milioni di euro anche per il faccendiere ciellino amico del ministro ciellino, stoppato soltanto dalla magistratura. La pubblicità dell’Expo anche sui foglietti della messa è perfettamente in linea con il clima da fiera paesana (ma hi-tech) assicurato dalla presenza di una copia della madunina a grandezza naturale. A poca distanza da Mc Donald’s, sponsor ufficiale di Expo 2015. I più solerti difensori dell’identità cristiana sembrano più efficaci degli anticlericali nel cercare di demolirla.

È un problema di cultura, probabilmente. Possiamo anche vincere qualche premio Oscar, ma solo con film che evocano l’immagine arcaica e stereotipata del nostro paese, che facciamo di tutto per coltivare. Qualche decennio fa inviavamo i nostri magliari alla conquista del mondo, ora i loro nipotini offrono ai “nuovi mercati” null’altro che il più vieto folklore nostrano. Oggi che la pizza se la mangiano anche a casa loro e il mandolino (almeno quello) non lo chiede più nessuno, ai turisti a caccia di foto esotiche continuiamo a proporre gondole e finti gladiatori, lasagne surgelate e monache di clausura. Very pitoresko.

Ci lamentiamo di quanto siamo lontani dagli standard europei in materia di diritti civili, ma è solo un problema di prospettiva. È sufficiente usare come termine di paragone le nazioni del Maghreb, la Turchia, o la Bielorussia, e magicamente tutto quadra. I grandi eventi mostrano al mondo quanto piccine sono le istituzioni italiane.

Raffaele Carcano

Questo articolo è stato pubblicato qui

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