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 Home page > Tribuna Libera > L’Avvenire e la palpabile violenza della dottrina cristiana

L’Avvenire e la palpabile violenza della dottrina cristiana

Un’interessante intervista all’ordinario di teologia fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce, Giuseppe Tanzella-Nitti, è stata recentemente pubblicata su l’Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani.

L'incipit chiarisce subito di cosa si parla: "Certi nuovi teologi mettono in dubbio il peccato originale, che è la sola parte del cristianesimo che può essere veramente provata".

Tutto il resto sarebbe indimostrabile quindi (e su questo avevamo pochi dubbi), ma già il titolo "Il peccato non è un mito" è un assurdo. La vicenda delle piante proibite, del trasgressore che le mangia e della grande dea madre che lo punisce è la storia di Enki e Ninhursag che è proprio un mito; sumerico per la precisione.

Ma l'articolo forse vuole intendere che non si tratta di "racconti favolistici", quanto di profonde verità umane in quanto si sostiene che "l’esistenza di un peccato all’origine del genere umano si accorda con quanto l’uomo può verificare empiricamente, nella storia dei popoli e nella sua esistenza personale".

Vista la spesso tragica storia degli esseri umani - dice il teologo - non si può non pensare che all’origine della natura umana stessa vi sia un qualcosa che “non funziona in noi”. E questo qualcosa è definito canonicamente come "peccato originale".

Che poi ha avuto diverse e varie ricadute in ambito filosofico, psicanalitico e antropologico di cui la tradizione culturale dell'occidente è letteralmente strapiena.

Ma, attenzione, “non si tratta di un retaggio della nostra biologia animale: ad essere onesti è molto di peggio. Non è pura bestialità, ma intelligenza che concepisce il male e lo persegue razionalmente”.

Il problema non è, ovviamente, che tradizioni arcaiche abbiano trasmesso così la loro lettura mitologica (tutta da interpretare) di fatti altamente drammatici come la storia degli antichi popoli insegna.

Il "problema" è che ancora oggi, anno domini 2013, ci sia qualcuno che va sostenendo: “qualcosa è misteriosamente avvenuto alle origini e qualcosa continua ad avvenire in ognuno di noi”, accomunando così miliardi di persone che hanno vissuto e vivono l’intera loro vita senza far male ad una mosca a quella minoranza (che nessuno nega che esista e sia esistita) capace di fare del male; che ha attuato un comportamento violento, vessatorio o prevaricatorio verso i suoi simili.

Non è così; ci sono gli oppressi e gli oppressori, i violentatori e i violentati. I deboli e i forti che spesso, troppo spesso, usano la loro forza per umiliare, ferire, prevaricare, offendere. E uccidere, come capita con inaudita frequenza alle donne ammazzate da mariti, fidanzati, "amanti".

Ma pensare che da sempre “il violento domina il non violento” (è una frase di Massimo Fagioli in Istinto di morte e conoscenza) significa dire che l’umanità ha, o potrebbe avere, tutte le possibilità di imparare a riconoscere e contrastare la violenza di quei pochi, spezzando i sottili legami di connivenza che conferiscono ai violenti dominatori il loro potere reale.

Sostenere invece, delirando, che tutti gli esseri umani sono accomunati da una origine nefasta e assassina - definita "naturale" - significa affossare definitivamente ogni speranza di riscatto e di liberazione. E significa equiparare le vittime e i carnefici, entrambi umani e quindi entrambi con qualcosa che “non funziona” dentro.

Ideologia culturalmente tanto devastante quanto insostenibile. Ovverossia ideologia che "non sa” ciò che è vero, ma che “vuole” che ciò sia vero.

Ed è proprio così, insiste il teologo: “Il testo sacro può essersi servito anche del linguaggio del mito per trasmettere questa verità originaria”. Così la chiama: "verità originaria". Lo sa lui, interpretando a casaccio i miti della Mesopotamia antica, che cosa è la verità umana.

Onestamente l’intervistatore si lascia andare a qualche dubbio “Uno potrebbe dire che la fondazione biblica di questa verità è debole e la Chiesa ci abbia ricamato sopra” ripetendo timidamente quello che un grande biblista e filologo contemporaneo, Carlo Enzo, ebbe a dire - molto più decisamente - sulle pagine di Repubblica in merito al peccato originale: nel testo ebraico il peccato originale “non esiste” perché è un’interpretazione tarda (cioè cristiana) del racconto biblico, ricordando come nella tradizione ebraica “peccato” abbia un senso più vicino a “omissione di fare qualcosa di buono” piuttosto che “offesa al Dio per aver fatto qualcosa di sbagliato”.

Una sostanziale differenza che porta la "verità originaria" alle sue reali origine storiche che non sono "originarie" per niente, ma solo storicamente determinate in un preciso contesto culturale.

Ma poco dopo ecco che, sottilmente, la drammaticità dell’evento che spiegherebbe come l’uomo sia “molto peggio” di una bestia vira verso il più mieloso buonismo: “La storia dei nostri peccati, e dunque anche del peccato originale, più che rivelare l’ira di Dio, rivela la sua misericordia”.

Siamo tutti peccatori, fin dalla nascita - e quindi perversi, violenti, potenzialmente assassini come Caino - ma non importa, perché siamo dei “miserabili”, cioè degni dell’altrui misericordia. Quella che il neo papa vuole riservare ai gay, alle donne che hanno scelto di abortire, ai divorziati, eccetera.

Peccatori sì, ma accolti con un sorriso di beata condiscendenza verso i poveri di spirito sulla porta della casa di Dio, anche se, per un paio di millenni, ogni neonato morto prima di essere battezzato era considerato anima destinata ad arrostire all’inferno per l'eternità. Tanto per parlare dell’excursus storico di detta "misericordia".

Sempre più dubbioso (ma è una finta, è pur sempre un giornalista de l’Avvenire) l’intervistatore osa “...si può essere cattolici e non credere al peccato originale?”.

Ebbene no - Vito Mancuso è avvertito - il peccato di origine fa parte di quegli insegnamenti “pari ai dogmi cristologici” che non si possono mettere in dubbio. E la cosa è ovvia. Se non ci fosse stata questa paranoia secondo la quale la colpa di Adamo si trasmetterebbe ad nuovo nato successivo (inventata nei termini che conosciamo da Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani) perché mai la divinità del Nuovo Testamento avrebbe dovuto incarnarsi, subìre una dolorosa persecuzione e morire sulla croce se non per redimere l’umanità da quella stessa colpa di Adamo ? Non è forse quello che la Chiesa ci insegna da venti secoli?

Quindi tutto il castello di carte dell’ideologia cristiana si regge su questa banale affermazione tautologica: siamo tutti colpevoli fin dalla nascita e tutti necessitiamo di una redenzione che possiamo ottenere solo se crediamo di essere tutti colpevoli fin dalla nascita e quindi bisognosi della redenzione stessa.

Ed è una tautologia terrificante perché ci vuole far credere che i pochi pazzi e violenti che hanno dominato la storia umana non sono solo pochi pazzi e violenti dall’enorme potere persuasivo, ma siamo tutti noi. Fin dalla nascita.

Una chiamata di correo assoluta, onnicomprensiva, che investe la natura umana stessa e che impedisce perciò di cercare, individuare, allontanare, neutralizzare o anche curare - cioè sottoporre a cure psichiatriche - i pericolosi oppressori degli esseri umani.

Anche quel bambino appena nato che ci guarda con tutta la speranza e il calore che un essere umano può esprimere, se lo osservate bene - dice in sostanza il teologo - è un peccatore perverso, pazzo, violento e potenzialmente assassino; non perché impazzisce, ma perché tale è la natura umana. Vi ricordate di Rosemary’s baby?

Questo è l’insegnamento di amore universale della Chiesa cattolica, apostolica e romana. Diffuso con le parole empatiche del Papa venuto dalla fine del mondo a spiegarci come siamo tutti quanti peggio delle bestie.

 

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