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L’Aquila: le linee guida per la ricostruzione - Prima parte

L'Aquila - I primi giorni nei quali si iniziò a sentir parlare di Linee Guida per la ricostruzione furono a fine luglio 2009, dalla Conferenza dei Comitati Cittadini. Essi, in un breve documento, (“Linee Guida per la Ricostruzione/Riconversione della città dell’Aquila”), affermarono che “La ricostruzione deve essere raccolta in un grande documento strategico di sintesi capace di indirizzare ed ottimizzare ciascuna singola azione ricostruttiva/trasformativa con la convergenza di tutti gli attori istituzionali secondo una strategia per “innesti” urbani ed architettonici e l’adeguamento alle prerogative ed alle normative vigenti.

Gli interventi dovrebbero essere realizzati “senza snaturare l’identità storica della città-territorio, proseguiva il documento. Tra i punti principali di quel documento spiccava la richiesta di “riconversione territoriale ai princìpi di sostenibilità mediante riduzione dei consumi, salvaguardia del territorio, ricL'Aquila: le Linee Guida - Prima parteorso a tecnologie a basso impatto, autosufficienza energetica e filiera corta alimentare, sistemi alternativi di mobilità no-cars in grado di conciliare il diritto alla mobilità ed alla accessibilità con l'esigenza di ridurre l'inquinamento e le esternalità negative, messa a reddito del territorio, smart grid energetica, riduzione delle emissioni di gas serra, risparmio ed uso responsabile delle risorse naturali locali che non compromettano la fruizione per le generazioni future e che inneschino processi economici e culturali virtuosi prioritari nelle scelte amministrative della città-territorio.

Altro concetto chiave di quelle prime linee guida, “bottom-up”, ossia dal basso verso l’alto, era l’utilizzo di “una infrastruttura tecnologica comunitaria e aperta (open source) progettata con la partecipazione dei cittadini basata sulle più avanzate tecnologie informatiche e di comunicazione nella direzione di una città intelligente (smart city) che oltre a facilitare tutte le attività ed i processi urbani ottimizzandoli nel segno della sostenibilita’ (energia, acqua, trasporti, gestione differenziata dei rifiuti, etc.) consenta la realizzazione e la fruibilita’ di servizi innovativi per il cittadino.”

Il Primo Programma d’Intervento Sperimentale della Stm (marzo 2010)

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A marzo 2010, la Struttura tecnica di missione (Stm) del commissario per la ricostruzione, fece uscire il Primo Programma d’Intervento Sperimentale con fattibilità a breve termine. Nella premessa era riportato il concetto di condivisione: “rappresentazione condivisa del progetto”, “visione condivisa del futuro”, “condivisione delle politiche pubbliche della città”, ma di queste finora non si è avuta traccia, tutto avvenendo nelle oscure stanze della struttura commissariale. Gli interventi nel cratere sismico si ipotizzano in più aree (o “scale” come sono chiamate nel documento): restauro e reintegrazione dei tessuti urbani antichi (centri storici); territori di transizione tra i nuclei antichi e le espansioni tardo novecentesche (prime periferie: aree industriali, scali ferroviari, caserme eccetera); territori “periurbani” costituiti dai cinquantotto “insediamenti grandi e piccoli in cui si articola la “città-territorio””(frazioni e comuni).

Successivamente, a proposito dei tempi della Ricostruzione, la Stm asseriva che la priorità “è riportare nella misura più elevata possibile, nel minor tempo possibile, le famiglie nelle loro case e le attività economiche nelle loro sedi. (…) Il tempo è misurato dalla messa in sucurezza dei tracciati, di riattivazione dei servizi a rete, di verifica conclusiva dell’agibilità degli edifici meno colpiti dal sisma.”

Qui nascono i due primi interrogativi: che vuol dire la “misura più elevata possibile” ? che non si pensa alla totalità della popolazione colpita e dei soggetti - fisici e giuridici- interessati ? e se è così perché e quali sarebbero i criteri di inclusione ed esclusione ? dipende forse dalla limitatezza delle risorse finanziarie a disposizione per la ricostruzione ?

Il secondo interrogativo è sul significato del “minor tempo possibile”. Un anno, cinque anni, dieci anni ? Si tratta degli interventi a breve termine come prevede il titolo, ma è un termine non indicato.

Interessante come la priorità assoluta sia, secondo il documento, quella della “vita che ritorna nelle “zone rosse””.

Il documento proseguiva, a proposito del Programma d’Intervento, con una serie di “valutazioni fondamentali” e per definire un percorso pianificato di interventi e per poter accogliere gli interventi a medio lungo termine. Tali valutazioni riguardano: le condizioni delle diverse parti del tessuto urbano, le condizioni di sicurezza e protezione dal progressivo degrado degli edifici, le condizioni di percorribilità in sicurezza delle strade e della loro progressiva agibilità in rapporto alle parti individuate del tessuto urbano, la funzionalità delle reti dei sottoservizi (energia, acqua, fognature, gas e comunicazioni), il cui ripristino è indispensabile per l’effettivo riuso degli edifici.

La strategia di intervento delineava gli obiettivi e le conseguenti azioni per conseguirli: ridurre progressivamente la zona rossa, individuandointerventi a fattibilità semplificata o a breve termine; facilitare le opere di ripristino per edifici isolati o interclusi; favorire interventi di densificazione e/o rarefazione per un nuovo assetto dello spazio pubblico. Tra le azioni sullo spazio fisico: riattivare celermente la rete dei sottoservizi (luce, gas, acqua, acue bianche e nere, telefonia) per consentire il rientro nelle abitazioni non danneggiate o con minori danni; completare la messa in sicurezza dei percorsi principali; avviare e proceder alla selezione/rimozione delle macerie; eseguire i lavori di ripristino degli edifici isolati e/o interclusi. Tra le azioni di sistema: rendere pubbliche le analisi ed il loro progressivo aggiornamento e completamento; rendere disponibile una sede Infopoint per facilitare l’accesso alle informazioni; attivare un sito web per modulistica, report, aggiornamenti.

A seguire venivano delineati i criteri per la progressiva riduzione della zona rossa: presenza di edifici con esito A o B, presenza di costruzioni isolate, minore complessità per la messa in sicurezza dei percorsi, scarsa interferenza con zone più complesse a più alto livello di danneggiamento, scarsa presenza di macerie da rimuovere, maggiore facilità di accesso ai nodi dei sottoservizi e minore difficoltà di un loro ripristino. In base a questi criteri sono state individuate delle aree di intervento ed alcuni Punti di intervento prioritari con la finalità di ripristinare a breve alcuni percorsi e funzioni essenziali nel quadro generale (ponte Belvedere, frana collina Belvedere, mura fronte stazione FS fino al ponte sull’Aterno, ponte Sant’Apollonia, centrale Telecom).

Le 6 aree con fattibilità a breve individuate:

1) e 2) Area Porta Napoli Est e Ovest,

3) Area Santa Maria di Farfa,

4) Area ex San Salvatore,

5) Area Lauretana,

6) Area Belvedere-Banca d’Italia.

Gli edifici di ciascun’area sono stati caratterizzati da: classe di agibilità, necessità di opere provvisionali e/o demolizioni necessarie al ripristino della funzionalità dell’area, presenza di vincoli del Ministero per i beni artistici e culturali (Mibac), livello di danno delle strutture verticali, livello di danno alle tamponature, presenza di finanziamento già approvato dal Cipe, messa in sicurezza.

Le modalità di attuazione degli interventi previsti prevedevano la messa in sicurezza attraverso opere provvisionali o demolizioni, finalizzate alla riapertura dei percorsi di quelle aree per permettere l’accesso in sicurezza agli edifici con esito A e l’esecuzione degli interventi di riparazione, con eventuale miglioramento sismico, adeguamento o ricostruzione, sia degli edifici che delle reti.

di Paolo Della Ventura

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