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L’Aquila: Dampyr, non chiamiamolo solo fumetto

Davvero lodevole l’iniziativa dello sceneggiatore Diego Cajelli di ambientare il n. 155 di DAMPYR - testata di punta della storica Casa Editrice Bonelli che negli anni ha saputo magistralmente riservarsi un posto di primo piano nell’empireo dei “mostri sacri” Dylan Dog, Tex, Zagor e Martin Mystere - nella città di L’Aquila violata dal terremoto, presentando al lettore un affresco magistralmente dettagliato dall’assoluta bravura e maniacale cura dei particolari del disegnatore Fabrizio Russo.

Al di là dei riferimenti fantastici (come le insondabili cripte templari nascoste nel sottosuolo della Zona Rossa) che un fumetto del genere impone allo svolgersi delle proprie vicende, la città di L’Aquila è mostrata nella sua attuale ferita condizione, senza alcuna ombra di commiserazione per quanto accaduto ma mettendo principalmente in risalto l’orgogliosa ostinazione ad andare avanti, soprattutto da parte di coloro che stanno coraggiosamente tentando di tornare a quella “normalità” che ormai già da quasi quattro anni è stata negata.

Ed in seguito a tale intento narrativo, il lettore non solo viene colpito da un’innumerevole miriade di particolari - dagli ormai familiari motti “RicostruiamolAQ”, “I love L’Aquila”, “Terremotosto”, alle insegne delle attività commerciali riaperte al limite della Zona Rossa, come il Bar Nurzia, il Bar del Corso e The Moon - ma viene condotto a chiedersi come mai, dopo tutto questo tempo, lo stato della ricostruzione del Capoluogo d’Abruzzo sia ancora ad uno stato poco più che embrionale.

Gli autori sottolineano quindi, per bocca dei loro personaggi Harlan Draka e Kurjak protagonisti del fumetto (pag. 41), la persistenza di “una storia molto italiana”, in cui nonostante gli aquilani abbiano “cercato di ricominciare a vivere le loro vite” non arrendendosi e non abbandonando la loro città, “sembra che le istituzioni si siano dimenticate di loro”. Da tale oggettiva evidenza nasce il giusto malcontento, poiché (pag. 46) “più soldi vengono messi sul piatto, più spariscono in fretta… qualcuno si arricchisce ma tutto rimane uguale”.

Nonostante tale desolante quadro, viene ribadito che gli aquilani, pur avendo “capito che qualcuno si sarebbe messo in tasca tutte le loro speranze” (pag. 46), “non si sono arresi, sono rimasti qui, cercando di vivere le loro vite…” con rabbia ma senza rassegnazione, facendo “di tutto per ricordarsi come era la loro città prima del terremoto, prima che venissero abbandonati dalle istituzioni… e stanno lottando per riaverla” (pag. 47): perfetta sintesi di un sentimento comune.

Una città antica ed orgogliosa, ideata e costruita per essere una nuova Gerusalemme (pag. 37) al punto da ricalcarne in maniera sorprendente la planimetria e l’ubicazione di alcuni punti tradizionalmente fondamentali, come il Tempio di Salomone e l’Orto del Getsemani, rispettivamente rappresentati dalla Chiesa di Santa Giusta e dalla Basilica di Collemaggio. Una città attraverso le cui secolari leggende il lettore viene condotto varcando i cancelli della Zona Rossa - rappresentata sulla copertina dell’albo dall’ottimo Enea Riboldi - ed addentrandosi nelle passate e maestose vestigia, nella speranza che qualcosa cambi in fretta, in quanto chi ha perso la normalità della propria esistenza rivolge il proprio dignitoso e sentito appello (pag. 49) “a tutti quelli che vogliono ascoltare”.

di Christian del Pinto 

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